sabato 21 marzo 2015
Atanasio de Charette. L'ultimo crociato di Pio IX. VII. L'anno di Mentana
VII.L’anno di Mentana
L’anno 1867 doveva
lasciare un’impronta negli annali pontifici. Giuseppe Garibaldi, che andava
predicando il suo “O Roma o Morte” aveva reclutato nuovi volontari e voleva
tentare un colpo di mano su Roma. Alle frontiere degli Stati Pontifici le bande
andavano organizzandosi: il 18 ottobre, in Sabina, Menotti Garibaldi figlio
primogenito del generale, ed Achille Fazzari, comandante dei volontari
garibaldini, ebbero modo di misurarsi tra Nerola e Montelibretti con gli zuavi
pontifici comandanti dal tenente colonnello Charette. La battaglia fu violenta,
Fazzari fatto prigioniero ed i garibaldini dispersi non poterono proseguire il
loro cammino. Tuttavia il concentramento di volontari garibaldini proseguiva
alacremente. Garibaldi riprese il comando delle forze volontarie, il 23 ottobre
1867 arriva a Passo Corese ed il giorno successivo a Monterotondo, dove occupa
la stazione ferroviaria.
Il col, Charette era
arrivato da Roma con i suoi Zuavi, ma prima ancora di potersi misurare in
combattimento, dovette riguadagnare Roma in tutta fretta richiamato dai tragici
avvenimenti accaduti nel frattempo. Lasciò a Monterotondo una piccola
guarnigione agli ordini del capitano Cortes, il quale riuscì ad organizzare
un’energica resistenza che ritardò di due giorni l’avanzata di Garibaldi.
Quei terribili
avvenimenti ebbero immediata ripercussione a Firenze ed a Parigi. Malgrado i rischi di un
conflitto armato con il Governo Italiano, l’Imperatore Napoleone III decise, il
24 ottobre, di inviare un corpo di spedizione forte di 25.000 uomini agli
ordini del gen. de Failly.
Il 29 ottobre le truppe
francesi facevano la loro entrata a Roma. Garibaldi dà ordine ai suoi di
concentrarsi su Tivoli e di ripiegare verso il confine. Le truppe, forti di
circa 10.000 uomini, furono sorprese il 3 novembre quando la testa della
colonna giunse a Mentana.
Garibaldi, accorso a
Mentana, non si rese contro di avere di fronte l’armata pontificia, sostenuta
dal contingente francese. I Garibaldini si fortificarono nel borgo di Mentana e
nelle proprietà vicine. L’attacco fu sferrato nella tarda mattinata. Uno degli
episodi più salienti della battaglia doveva essere l’assalto alla vigna
Santucci, proprietà situata sulle alture di fronte a Mentana.
Gli Zuavi vanno
all’assalto trascinati da Charette. Il combattimento è aspro, i Garibaldini si
difendono strenuamente. La battaglia continua dentro le case della cittadina e
di piano in piano. Dopo duri scontri l’occupazione della proprietà è portata a
termine ed il gen. Kanzler vi stabilisce il suo quartier generale.
A quel punto il grosso
delle truppe si dirige su Mentana dove i Garibaldini si erano nel frattempo
attestati dietro barricate alzate nelle stradine del borgo, nelle case e
nell’antica roccaforte.
Gli Zuavi, comandati da
Allet e da Charette si impadroniscono delle prime case. Garibaldi decide di
ritirarsi e dà il comando al figlio Menotti, il quale tenta un’ultima carta: fa
uscire dalla piazza due colonne di tremila uomini ciscuna, una ai suoi ordini e
l’altra agli ordini del col. Cantoni, con l’intento di intraprendere una
manovra di aggiramento sulle ali. A questo punto il gen. Kanzler fa appello al
gen. Polhes che, avendo ricevuto l’ordine di dar sostegno all’armata pontificia
senza portare alcun attacco, si era tenuto nelle retrovie. Polhes che, avendo
ricevuto l’ordine di dar sostegno all’armata pontificia senza portare alcun attacco,
si era tenuto nelle retrovie. Pohles invia contro le colonne garibaldine due
battaglioni, l’uno, da destra, al comando del colonnello Fremont, l’altro da
sinistra al comando del tenente colonnello Saussier. Queste truppe erano armate
con i nuovi fucili Chassepot che sparavamo dodici colpi al minuto.
Davanti a questo
contrattacco e soprattutto alla potenza di fuoco delle armi, i Garibaldini
dovettero ripiegare, lasciando sul terreno numerosi morti e feriti. Tuttavia a
Mentana il castello resisteva ancora e solo l’indomani, 4 novembre 1867, la
guarnigione del castello si arrese.
I garibaldini avevano
perduto molti uomini tra monti e feriti, e 1500 erano stati fatti prigionieri.
I Pontifici ebbero 30 morti e 103 feriti.
Era questa per la Santa Sede una vittoria
incontestabile, ma fu anche l’ultima. Le truppe che avevano combattuto a
Mentana fecero il loro ingresso a
Roma il 6 novembre, attraverso Porta Pia. Due giorni dopo fu
celebrato nella Cappella Sistina un ufficio funebre alla memoria dei soldati
uccisi a Mentana. Il giorno succesivo il col. Allet indirizzava agli Zuavi un
ordine del giorno che, dopo aver ricordato le fasi più drammatiche della
campagna, terminava con queste parole
“Tutto quello che era umanamente lecito attendersi dai cuori più
energici, voi l’avete dato! E nell’ultima ora di una lotta durata 45 giorni,
sul campo di battaglia che aveva cosparso di cadaveri l’armata francese,
giudici incorruttibile, si è trovata lì per applaudire al vostro valore e
rendervi di questo incontestabile testimonianza! Perdite dolorose hanno
accompagnato il successo: il capitano de Veaux e 23 vostri compagni sono morti
a Mentana, i nostri feriti riempono gli ospedali; ma il loro sangue è stato versato
è stato versato per la più nobile delle cause. Questi sacrifici costituiscono
il ricordo più prezioso di ogni corpo militare e avranno come conseguenza certa
quella di portare alla causa papale le simpatie ed il rispetto che potranno
assicurale l’avvenire!
Soldait! Nulla è ancora risolto e grandi pericoli si
addensano sull’orizzonte della Chiesa. Ricordatevi! Voi non siete soltanto
qualche migliaio di uomini riuniti in un reggimento:voi rappresentate nel mondo
un principio, la difesa volontaria e disinteressata della Santa Sede! Voi siete
il nerbo attorno al quale, nel momento del pericolo, faranno quadrato le preghiere,
gli aiuti, le speranze del mondo cattolico!
Siamo dunque dei veri soldati di Dio! Il vostro non è
solo un dovere; è una missione e non perverrete ad ottemperarle che attraverso
l’unità, la disciplina, la condotta e l’istruzione.
Un terzo battaglione sta per essere formato, cosicchè i
vostri quadri potenziandosi, assicureranno una più larga azione nelle a venire.
Vi marceremo insieme al grido di Viva Pio IX”
I feriti dell’una e
dell’altra parte erano stati trasportati a Roma dove medici, infermieri e cappellani militari
si prodigarono nella cure del caso. Pio IX tenne a visitare i feriti d’ambo le
parti: “visitare i prigionieri” ecco un’opera di carità che ilPapa amava
praticare. E il suo augusto esempio fu seguito. Il col. Charette rendeva visita
giornaliera sia ai feriti d’ambo le parti che ai prigionieri garibaldini. Si
trattava di una vecchia abitudine. Un giorno un giovanissimo garibaldino gli
disse:
“Signor colonnello, io stò per morire, do che voi siete buono e vorrei
domandarvi un favore.
-
Parla, lo sollecitò Charette
-
Vorrei che dopo morto la mia famiglia potesse avere almeno il mio corpo da far riposare vicino ai miei
cari.
-
E’ promesso
Charette non mancò di
ottemperare alla promessa fatta al morente e questo fece gran rumore al paese
del giovane garibaldino.
Un giorno Charette
ricevette una lettera del conte di Chambord che egli doveva considerare come la
più preziosa delle ricompense:
“Nel momento in cui, mio caro Charette, voi, i vostri confratelli e un
numeroso stuolo dei nostri amici hanno combattuto e vinto per la più santa
delle cause, provo il bisogno di dirvi come il mio cuore ed il mio pensiero
fossero con voi, poiché, con mio gran dispiacere, non ero in grado di esservi
di presenza. Grazie alla meravigliosa devozione e al coraggio sublime, la
rivoluzione, per la prima volta dopo lunghi anni, è stata obbligata ad
indietreggiare e, fino a questo momento, la sovranità del Santo Padre è salva.
Gloria a voi e ai vostri compagni d’arme!
Coloro che sono caduti in questa eroica lotta non dovranno
essere pianti: stanno ricevendo in Cielo la ricompensa per il loro generoso
sacrificio; ma noi sì, li piangeremo, ricolmi di ammirazione per loro! Dite in
questa occasione a tutti i valorosi accorsi a Roma da tutti gli angoli del mondo nell’ora del pericolo,
che io onoro la loro eroica condotta e che li invidio. Quando a voi, avete dato
prova una volta ancora di quanto degnamente portate il vostro nome. Crediate
come non mai alla mia viva gratitudine ed alla mia imperitura amicizia”
Gli avvenimenti d’Italia
erano seguiti giorno dopo giorno sulla stampa d’opinione. La difficile
situazione e la necessità della Santa Sede, nonché il reclutamento e
l’armamento degli Zuavi vi erano abbondantemente commentati. Si formarono
comitati nazionali e regionali; collette per il “Dernier de Sant Pierre” e per
le “Etrennes pontificiales” raccolsero somme considerevoli.
I cattolici francesi, che
avevano stabilito di rinnovare l’artiglieria pontificia, diedero mandato alla
frontiera di connoni di Liegi di approntare se cannoni-obici rigati. Il 19 novembre
1868, in
piazza San Pietro, il tenente colonnello Charette, assistito dal signor
Mollat di Nantes e da mons. Daniel,
cappellano degli zuavi, si avvicinò al Pontefice e gli consegnò ufficialmente
la batteria d’artiglieria e un convoglio di ambulanze offerti dalla “Bretagna e
dalla Vandea da lungo tempo sorelle, in fede e devozione.”
A Parigi il 5 dicembre
1867, il ministro Eugène Rouher dalla tribuna del Corpo legislativo , per
sollecitare gli applausi della maggioranza, dice:
“Noi qui dichiariamo, a nome del Governo francesi, che l’Italia non si
impadronirà mai di Roma. Mai la Francia sopporterà questa violenza al suo onore
ed alla sua cattolicità.”
Frattanto a Roma , Giuseppe Monti ed il suo
complice Gaetano Tognetti, con un gruppo di persone che avevano avuto a che
fare con esplosione della caserma Sirristori, furono arrestati. Il processo,
istruito nel 1868, condannò a morte per ghigliottina Monti e Tognetti. La
sentenza venne eseguita il 2 novembre di quello stesso anno.
La sera della vigilia, il
col. Charette fu avvertito che bisognava predisporre il servizio per prendere
il comando del distaccamento militare che doveva assistere all’esecuzione.
Monti, prima della esecuzione, chiese come estremo favore di poter conferire
con il col. Charette, richiesta che venne accordata. Entrato il col. Charette
bella cella del condannato, questi si rivolse dicendo:
“Prima di comparire davanti al tribuna ledi io, tengo a domandar
eperdono agli uomini del crimine abominevole che ho commesso. Poiché voi siete
il colonnello del Reggimento, vi prego di partecipare alle famiglie delle
vittime il mio pentimento. Io morirò; ma non per colpa mia diretta, bensì per
colpa della setta che, mio malgrado, mi ha trascinatoa questo. Povero me.”
Ad un gesto del
confessore, riprese:
“So bene di essere colpevole, ma voglio che il colonnello mi rassicuri
che egli non me ne vuole e tanto meno il suo reggimento.”
Charette fece un gesto di
diniego
“Vi prego di informare tutti che la colpa è della setta! Ah, se tutti
gli amici potessero sapere dove questa setta trascina! Poveretto me. E ciò che
mi riempe veramente di dolore è il pensiero di quelle anime che ho trascinato
davanti al tribunale del giudice supremo, senza che io abbia avuto il tempo di
preparasi. Voi non me ne vorrete veramente? Allora volete abbracciarmi.”
E Charette lo abbracciò-
Pio IX con un brev del 14
novembre istituì la Croce di Mentana, detta medaglia “Fidei et Vrtuiti” per
ricompensare le truppe che avevano preso parte alla battaglia. Le truppe
francesi che avevano fatto sostegno all’azione dell’esercito pontificio a
Mentana, avevano avuto modo di ammirare il coraggio degli zuavi e dei loro
capi. Il gen. de Failly e il gen. de Polhes, così come il col. Saussir, si
erano pubblicamente felicitati con gli zuavi pontifici, con i loro ufficiali ed
in modo particolare con Charette. I resoconti erano unanimi ed arrivarono a
Parigi. L’imperatore Napoleone III ne prese conoscenza e decise di conferire la
Croce della Legion d’Onore ad alcuni ufficiali degli zuavi, cominciando proprio
da Charette.
Costui fu dunque chiaato
presso l’ambasciata di Francia, dove il conte Armand, primo segretario che
reggeva ad interim l’ambasciata, gli domandò se era disposto ad accettare la
Legion d’Onore conferitagli dall’Imperatore, assegnatagli però cone ufficiale
straniero.
Charette si alzò e
malgrado intuisse che stava per privare molti camerati di questo onore, non
esitò a rispondere:
“In questo caso rifiuto. Sono francese e penso di
essere un buon francese, se accettasi questo onore con la condizione che lei mi
propone. Sarebbe un mio disonore, poiché sarebbe omologate la radiazione del mio
status di francese.”
La notizia che Charette
aveva rifiutato la Croce offerta dall’Imperatore si diffuse a Parigi e fu una
levata di scudi nei salotti buonapartisti: nel rifiuto si volle soltanto vedere
il rifiuto di una decorazione francese.
Un giorno Charette viene
chiamato alla Consulta ed introdotto alla presenza di tre gesuiti che cercarono
di convincerlo della necessità di accettare questa decorazione concessa ad
ufficiali stranieri.
“Reverendi padri- rispondeva Charette – avete certamente degli argomenti meravigliosi, ma io sono un bretone
e non riuscirete certamente a farmi uscir
di testa l’idea che io ho di restare francese malgrado voi,malgrado il governo
imperiale e malgrado il mondo intero, se fosse necessario.”
Così come aveva
annunciato il col. Allet, nel mese di novembre il reggimento degli zuavi
pontifici, in seguito all’affluenza di nuove leve, fu portato a tre battaglioni
di otto compagnie, pi quattro compagnie di deposito.
Il 18 dicembre 1868 con
decreto pontificio il reggimento fu portato a cinque battaglioni, di cui uno di
deposito. Il cap. de Saisy fu posto al comando del nuovo battaglione.
A questa data, dunque, il
Corpo contava 4500 uomini ma poco dopo l’effettivo si riduceva a 3050. Da
questo momento, eccenzion fatta per alcune promozioni, non vi sarano più
modifiche.
Nel settembre 1870 il
Corpo degli Zuavi contava 5 battaglioni, 4attivi di sei compagnie ed un deposito
di 4 compagnie, in tutto 3050 uomini.
Massimo Coltrinari
(massimo.coltrinari@libero.it)
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