L'Ultima difesa pontificia di Ancona . Gli avvenimenti 7 -29 settembre 1860

Investimento e Presa di Ancona

Investimento e Presa di Ancona
20 settembre - 3 ottbre 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860
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Onore ai Caduti

Onore ai Caduti
Sebastopoli. Vallata di Baraclava. Dopo la cerimonia a ricordo dei soldati sardi caduti nella Guerra di Crimea 1854-1855. Vedi spot in data 22 gennaio 2013

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860
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La sintesi del 1860

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Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il Volume di Massimo Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, 18 settembre 1860, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009, pagine 332, euro 21, ISBN 978-88-6134-379-5, è disponibile in
II Edizione - Accademia di Oplologia e Militaria
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sabato 21 marzo 2015

Atanasio de Charette. L'ultimo crociato di Pio IX. VII. L'anno di Mentana

VII.L’anno di Mentana

L’anno 1867 doveva lasciare un’impronta negli annali pontifici. Giuseppe Garibaldi, che andava predicando il suo “O Roma o Morte” aveva reclutato nuovi volontari e voleva tentare un colpo di mano su Roma. Alle frontiere degli Stati Pontifici le bande andavano organizzandosi: il 18 ottobre, in Sabina, Menotti Garibaldi figlio primogenito del generale, ed Achille Fazzari, comandante dei volontari garibaldini, ebbero modo di misurarsi tra Nerola e Montelibretti con gli zuavi pontifici comandanti dal tenente colonnello Charette. La battaglia fu violenta, Fazzari fatto prigioniero ed i garibaldini dispersi non poterono proseguire il loro cammino. Tuttavia il concentramento di volontari garibaldini proseguiva alacremente. Garibaldi riprese il comando delle forze volontarie, il 23 ottobre 1867 arriva a Passo Corese ed il giorno successivo a Monterotondo, dove occupa la stazione ferroviaria.
Il col, Charette era arrivato da Roma con i suoi Zuavi, ma prima ancora di potersi misurare in combattimento, dovette riguadagnare Roma in tutta fretta richiamato dai tragici avvenimenti accaduti nel frattempo. Lasciò a Monterotondo una piccola guarnigione agli ordini del capitano Cortes, il quale riuscì ad organizzare un’energica resistenza che ritardò di due giorni l’avanzata di Garibaldi.
A Roma, un comitato rivoluzionario, fedele a Mazzini, era riuscito ad introdurre armi e a fomentare attentati in diversi punti della città. Il 22 ottobre 1867, alle 7 di sera, una terribile esplosione fece trattenere il fiato a tutta la città. Un giovane, Giuseppe Monti, aveva dato fuoco ad un barile di polvere deposto nelle cantine della Caserma Serristori, vicino al Vaticano.
Quei terribili avvenimenti ebbero immediata ripercussione a Firenze ed a Parigi. Malgrado i rischi di un conflitto armato con il Governo Italiano, l’Imperatore Napoleone III decise, il 24 ottobre, di inviare un corpo di spedizione forte di 25.000 uomini agli ordini del gen. de Failly.
Il 29 ottobre le truppe francesi facevano la loro entrata a Roma. Garibaldi dà ordine ai suoi di concentrarsi su Tivoli e di ripiegare verso il confine. Le truppe, forti di circa 10.000 uomini, furono sorprese il 3 novembre quando la testa della colonna giunse a Mentana.
Garibaldi, accorso a Mentana, non si rese contro di avere di fronte l’armata pontificia, sostenuta dal contingente francese. I Garibaldini si fortificarono nel borgo di Mentana e nelle proprietà vicine. L’attacco fu sferrato nella tarda mattinata. Uno degli episodi più salienti della battaglia doveva essere l’assalto alla vigna Santucci, proprietà situata sulle alture di fronte a Mentana.
Gli Zuavi vanno all’assalto trascinati da Charette. Il combattimento è aspro, i Garibaldini si difendono strenuamente. La battaglia continua dentro le case della cittadina e di piano in piano. Dopo duri scontri l’occupazione della proprietà è portata a termine ed il gen. Kanzler vi stabilisce il suo quartier generale.
A quel punto il grosso delle truppe si dirige su Mentana dove i Garibaldini si erano nel frattempo attestati dietro barricate alzate nelle stradine del borgo, nelle case e nell’antica roccaforte.
Gli Zuavi, comandati da Allet e da Charette si impadroniscono delle prime case. Garibaldi decide di ritirarsi e dà il comando al figlio Menotti, il quale tenta un’ultima carta: fa uscire dalla piazza due colonne di tremila uomini ciscuna, una ai suoi ordini e l’altra agli ordini del col. Cantoni, con l’intento di intraprendere una manovra di aggiramento sulle ali. A questo punto il gen. Kanzler fa appello al gen. Polhes che, avendo ricevuto l’ordine di dar sostegno all’armata pontificia senza portare alcun attacco, si era tenuto nelle retrovie. Polhes che, avendo ricevuto l’ordine di dar sostegno all’armata pontificia senza portare alcun attacco, si era tenuto nelle retrovie. Pohles invia contro le colonne garibaldine due battaglioni, l’uno, da destra, al comando del colonnello Fremont, l’altro da sinistra al comando del tenente colonnello Saussier. Queste truppe erano armate con i nuovi fucili Chassepot che sparavamo dodici colpi al minuto.
Davanti a questo contrattacco e soprattutto alla potenza di fuoco delle armi, i Garibaldini dovettero ripiegare, lasciando sul terreno numerosi morti e feriti. Tuttavia a Mentana il castello resisteva ancora e solo l’indomani, 4 novembre 1867, la guarnigione del castello si arrese.
I garibaldini avevano perduto molti uomini tra monti e feriti, e 1500 erano stati fatti prigionieri. I Pontifici ebbero 30 morti e 103 feriti.
Era questa per la Santa Sede una vittoria incontestabile, ma fu anche l’ultima. Le truppe che avevano combattuto a Mentana fecero il loro ingresso a Roma il 6 novembre, attraverso Porta Pia. Due giorni dopo fu celebrato nella Cappella Sistina un ufficio funebre alla memoria dei soldati uccisi a Mentana. Il giorno succesivo il col. Allet indirizzava agli Zuavi un ordine del giorno che, dopo aver ricordato le fasi più drammatiche della campagna, terminava con queste parole
Tutto quello che era umanamente lecito attendersi dai cuori più energici, voi l’avete dato! E nell’ultima ora di una lotta durata 45 giorni, sul campo di battaglia che aveva cosparso di cadaveri l’armata francese, giudici incorruttibile, si è trovata lì per applaudire al vostro valore e rendervi di questo incontestabile testimonianza! Perdite dolorose hanno accompagnato il successo: il capitano de Veaux e 23 vostri compagni sono morti a Mentana, i nostri feriti riempono gli ospedali; ma il loro sangue è stato versato è stato versato per la più nobile delle cause. Questi sacrifici costituiscono il ricordo più prezioso di ogni corpo militare e avranno come conseguenza certa quella di portare alla causa papale le simpatie ed il rispetto che potranno assicurale l’avvenire!
Soldait! Nulla è ancora risolto e grandi pericoli si addensano sull’orizzonte della Chiesa. Ricordatevi! Voi non siete soltanto qualche migliaio di uomini riuniti in un reggimento:voi rappresentate nel mondo un principio, la difesa volontaria e disinteressata della Santa Sede! Voi siete il nerbo attorno al quale, nel momento del pericolo, faranno quadrato le preghiere, gli aiuti, le speranze del mondo cattolico!
Siamo dunque dei veri soldati di Dio! Il vostro non è solo un dovere; è una missione e non perverrete ad ottemperarle che attraverso l’unità, la disciplina, la condotta e l’istruzione.
Un terzo battaglione sta per essere formato, cosicchè i vostri quadri potenziandosi, assicureranno una più larga azione nelle a venire. Vi marceremo insieme al grido di Viva Pio IX”

I feriti dell’una e dell’altra parte erano stati trasportati a Roma dove medici, infermieri e cappellani militari si prodigarono nella cure del caso. Pio IX tenne a visitare i feriti d’ambo le parti: “visitare i prigionieri” ecco un’opera di carità che ilPapa amava praticare. E il suo augusto esempio fu seguito. Il col. Charette rendeva visita giornaliera sia ai feriti d’ambo le parti che ai prigionieri garibaldini. Si trattava di una vecchia abitudine. Un giorno un giovanissimo garibaldino gli disse:
Signor colonnello, io stò per morire, do che voi siete buono e vorrei domandarvi un favore.
-         Parla, lo sollecitò Charette
-         Vorrei che dopo morto la mia famiglia potesse avere almeno  il mio corpo da far riposare vicino ai miei cari.
-         E’ promesso
Charette non mancò di ottemperare alla promessa fatta al morente e questo fece gran rumore al paese del giovane garibaldino. 

Un giorno Charette ricevette una lettera del conte di Chambord che egli doveva considerare come la più preziosa delle ricompense:
Nel momento in cui, mio caro Charette, voi, i vostri confratelli e un numeroso stuolo dei nostri amici hanno combattuto e vinto per la più santa delle cause, provo il bisogno di dirvi come il mio cuore ed il mio pensiero fossero con voi, poiché, con mio gran dispiacere, non ero in grado di esservi di presenza. Grazie alla meravigliosa devozione e al coraggio sublime, la rivoluzione, per la prima volta dopo lunghi anni, è stata obbligata ad indietreggiare e, fino a questo momento, la sovranità del Santo Padre è salva. Gloria a voi e ai vostri compagni d’arme!
Coloro che sono caduti in questa eroica lotta non dovranno essere pianti: stanno ricevendo in Cielo la ricompensa per il loro generoso sacrificio; ma noi sì, li piangeremo, ricolmi di ammirazione per loro! Dite in questa occasione a tutti i valorosi accorsi a Roma da tutti gli angoli del mondo nell’ora del pericolo, che io onoro la loro eroica condotta e che li invidio. Quando a voi, avete dato prova una volta ancora di quanto degnamente portate il vostro nome. Crediate come non mai alla mia viva gratitudine ed alla mia imperitura amicizia”

Gli avvenimenti d’Italia erano seguiti giorno dopo giorno sulla stampa d’opinione. La difficile situazione e la necessità della Santa Sede, nonché il reclutamento e l’armamento degli Zuavi vi erano abbondantemente commentati. Si formarono comitati nazionali e regionali; collette per il “Dernier de Sant Pierre” e per le “Etrennes pontificiales” raccolsero somme considerevoli.
I cattolici francesi, che avevano stabilito di rinnovare l’artiglieria pontificia, diedero mandato alla frontiera di connoni di Liegi di approntare se cannoni-obici rigati. Il 19 novembre 1868, in piazza San Pietro, il tenente colonnello Charette, assistito dal signor Mollat  di Nantes e da mons. Daniel, cappellano degli zuavi, si avvicinò al Pontefice e gli consegnò ufficialmente la batteria d’artiglieria e un convoglio di ambulanze offerti dalla “Bretagna e dalla Vandea da lungo tempo sorelle, in fede e devozione.”
A Parigi il 5 dicembre 1867, il ministro Eugène Rouher dalla tribuna del Corpo legislativo , per sollecitare gli applausi della maggioranza, dice:
Noi qui dichiariamo, a nome del Governo francesi, che l’Italia non si impadronirà mai di Roma. Mai la Francia sopporterà questa violenza al suo onore ed alla sua cattolicità.”

Frattanto a Roma, Giuseppe Monti ed il suo complice Gaetano Tognetti, con un gruppo di persone che avevano avuto a che fare con esplosione della caserma Sirristori, furono arrestati. Il processo, istruito nel 1868, condannò a morte per ghigliottina Monti e Tognetti. La sentenza venne eseguita il 2 novembre di quello stesso anno.
La sera della vigilia, il col. Charette fu avvertito che bisognava predisporre il servizio per prendere il comando del distaccamento militare che doveva assistere all’esecuzione. Monti, prima della esecuzione, chiese come estremo favore di poter conferire con il col. Charette, richiesta che venne accordata. Entrato il col. Charette bella cella del condannato, questi si rivolse dicendo:
Prima di comparire davanti al tribuna ledi io, tengo a domandar eperdono agli uomini del crimine abominevole che ho commesso. Poiché voi siete il colonnello del Reggimento, vi prego di partecipare alle famiglie delle vittime il mio pentimento. Io morirò; ma non per colpa mia diretta, bensì per colpa della setta che, mio malgrado, mi ha trascinatoa questo. Povero me.”
Ad un gesto del confessore, riprese:
So bene di essere colpevole, ma voglio che il colonnello mi rassicuri che egli non me ne vuole e tanto meno il suo reggimento.”
Charette fece un gesto di diniego
Vi prego di informare tutti che la colpa è della setta! Ah, se tutti gli amici potessero sapere dove questa setta trascina! Poveretto me. E ciò che mi riempe veramente di dolore è il pensiero di quelle anime che ho trascinato davanti al tribunale del giudice supremo, senza che io abbia avuto il tempo di preparasi. Voi non me ne vorrete veramente? Allora volete abbracciarmi.”
E Charette lo abbracciò-
Pio IX con un brev del 14 novembre istituì la Croce di Mentana, detta medaglia “Fidei et Vrtuiti” per ricompensare le truppe che avevano preso parte alla battaglia. Le truppe francesi che avevano fatto sostegno all’azione dell’esercito pontificio a Mentana, avevano avuto modo di ammirare il coraggio degli zuavi e dei loro capi. Il gen. de Failly e il gen. de Polhes, così come il col. Saussir, si erano pubblicamente felicitati con gli zuavi pontifici, con i loro ufficiali ed in modo particolare con Charette. I resoconti erano unanimi ed arrivarono a Parigi. L’imperatore Napoleone III ne prese conoscenza e decise di conferire la Croce della Legion d’Onore ad alcuni ufficiali degli zuavi, cominciando proprio da Charette.
Costui fu dunque chiaato presso l’ambasciata di Francia, dove il conte Armand, primo segretario che reggeva ad interim l’ambasciata, gli domandò se era disposto ad accettare la Legion d’Onore conferitagli dall’Imperatore, assegnatagli però cone ufficiale straniero.
Charette si alzò e malgrado intuisse che stava per privare molti camerati di questo onore, non esitò a rispondere:
“In questo caso rifiuto. Sono francese e penso di essere un buon francese, se accettasi questo onore con la condizione che lei mi propone. Sarebbe un mio disonore, poiché sarebbe omologate la radiazione del mio status di francese.”
La notizia che Charette aveva rifiutato la Croce offerta dall’Imperatore si diffuse a Parigi e fu una levata di scudi nei salotti buonapartisti: nel rifiuto si volle soltanto vedere il rifiuto di una decorazione francese.
Un giorno Charette viene chiamato alla Consulta ed introdotto alla presenza di tre gesuiti che cercarono di convincerlo della necessità di accettare questa decorazione concessa ad ufficiali stranieri.
Reverendi padri- rispondeva Charette – avete certamente degli argomenti meravigliosi, ma io sono un bretone e non riuscirete certamente a farmi uscir di testa l’idea che io ho di restare francese malgrado voi,malgrado il governo imperiale e malgrado il mondo intero, se fosse necessario.”
Così come aveva annunciato il col. Allet, nel mese di novembre il reggimento degli zuavi pontifici, in seguito all’affluenza di nuove leve, fu portato a tre battaglioni di otto compagnie, pi quattro compagnie di deposito.
Il 18 dicembre 1868 con decreto pontificio il reggimento fu portato a cinque battaglioni, di cui uno di deposito. Il cap. de Saisy fu posto al comando del nuovo battaglione.
A questa data, dunque, il Corpo contava 4500 uomini ma poco dopo l’effettivo si riduceva a 3050. Da questo momento, eccenzion fatta per alcune promozioni, non vi sarano più modifiche.

Nel settembre 1870 il Corpo degli Zuavi contava 5 battaglioni, 4attivi di sei compagnie ed un deposito di 4 compagnie, in tutto 3050 uomini.

Massimo Coltrinari
(massimo.coltrinari@libero.it)

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