mercoledì 29 marzo 2017
Edizione 2003. Nota V Parte I
massimo Coltrinari
(centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)
Se lo scontro del 18 settembre 1860, fosse stato risolutivo le disposizioni di far convegere su Ancona tutte le forze di invasione sarebbero state assurde.
Tutte le forze d’invasione
in marcia
Dopo cinque giorni dall'inizio delle operazioni il quadro operativo
generale si era delineato: il gen. Manfredo Fanti ormai aveva ben compreso che
l'Esercito Pontificio avrebbe fatto ogni
sforzo per concentrare tutte le sue forze disponibili su Ancona e qui cercare
di dar vita ad un assedio il più lungo possibile, in attesa degli aiuto
austro-francesi.
Per
il gen. Fanti si presentò l'opportunità, con la decisione del De la Moricière
di raggiungere Ancona, di proseguire con il V Corpo, che già stava
avanzando senza ostacoli reali in Umbria verso il sud, perseguendo l'obbiettivo
primario della campagna, oppure concentrare
tutte le forze d'invasione per
eliminare l'Esercito Pontificio. In questa seconda ipotesi, il V Corpo
dall'Umbria doveva convergere su Ancona.
In
verità Fanti non aveva dubbi. Fin dall'inizio della campagna il suo obbiettivo
era quello di rendersi padrone delle Marche e dell'Umbria, per rendersi sicure
le spalle, e questo significava dover
venire a battaglia con le forze pontificie.
Nella sua relazione Fanti scrive:
"..saputo il concentramento di
De la Moricière su Macerata ( mentre la nostra colonna di sinistra già era
padrona della bassa valle d'Esino[1],
fece eseguire il cambiamento di direzione a sinistra per chiudere il passo
all'avversario in Val di Chienti, facendo in pari tempo scendere la colonna che
si avanzava per la cresta dell'Appennino in Val Potenza. Ad assicurarmi
frattanto le spalle, io lasciava una colonna mobile su Spoleto, con missione di
impadronirsi di quella rocca e della lunga stretta che va a Terni, onde far
fronte alle truppe che per avventura potessero sopraggiungere da Roma e dalla
Comarca "[2]
Gli ordini furono eseguiti ed il V Corpo si dispose per passare gli
Appennini . Il generale Morozzo della Rocca il 17 settembre 1860 emise il
seguente ordine del giorno, che era in realtà un vero e proprio pacchetto
d'ordini:
"Ordine
del giorno 17 settembre 1860
Il V copro d'armata si avanzerà
oggi per la strada di Ancona fino a Colfiorito ove prenderà posizione. Le
colonne sarà formata nell'ordine
seguente, senza la benché menoma variante che io proibisco assolutamente:
Divisone di Riserva
- Avanguardia,. Reggimento "Piemonte Reale",
XXIII Battaglione Bersaglieri, XXIV Battaglione Bersaglieri,. 11a Batteria, 1a
e 5a compagnia Genio ( con i soli loro cassi d'utensili)
- Grosso del Corpo d'Armata
. Truppe della divisione di Riserva, Brigata
"Bologna",. XXV Battaglione Bersaglieri, 7a Batteria,
- Truppe della 1a divisione
. XIV
Battaglione Bersaglieri, 5a Batteria, Brigata
"Granatieri di Sardegna", 4° Reggimento "Granatieri di
Lombardia", 16 ° Battaglione bersaglieri, due squadroni di Nizza
Cavalleria, tutte le ambulanze del corpo d’armata riunite
- Retroguardia ( la quale non raggiungerà il suo posto che domattina ) :
. 3° Reggimento granatieri di Lombardia,. 6° Batteria d’artiglieria, 9°
Battaglione Bersaglieri, due squadroni di Nizza Cavalleria, Viveri ed equipaggi
( per oggi seguiranno subito dopo il grosso del corpo d’armata ).
- La colonna viveri ed equipaggi sarà formata come segue:
. Viveri e foraggi dei diversi corpi nell’ordine che stanno in colonna
le truppe,. Quartieri generali,
Equipaggi e tende dell’ufficialità, Tutti gli altri carri dell’armata,.
Parco dell’artiglieria
Il parco d’artiglieria starà a distanza di quattro o cinque ore di
marcia dietro il corpo d’armata.
Le truppe non avranno con loro altre vetture che quelle dei vivandieri
ed i capi-corpo invigileranno alla severa esecuzione di questo ordine.
Nelle posizioni che si prenderanno d’ora in avanti per pernottare non
saranno fatti venire al campo d’ogni corpo che dietro comando espresso del
comando generale del corpo d’armata.
Li carri degli equipaggi degli ufficiali e le
loro tende non raggiungeranno i corpi che dietro comando espresso del comando
generale del corpo d’armata.
La colonna dei carri d’ogni genere si parcherà
o resterà sulla destra della strada, lasciandone ben libera e sgombra la
sinistra, a seconda degli ordini che riceverà per pernottare.
Li signori generali comandanti le divisioni
prenderanno le maggiori precauzioni possibili affinché regni il più
grand’ordine in marcia e non permetteranno a nessuno che s’arresti nel traversare
i villaggi ed abitati.
La testa di colonna si metterà in marcia alle
ore 10 e mezza precise.
Io pongo in avvertenza i signori comandanti le
divisioni nonché le truppe tutte che stiamo in prossimità dell’inimico, quindi
dev’essere cura di ognuno che gli ordini siano più che mai eseguiti colla
massima puntualità.
Della
Rocca
Alla vigilia della Battaglia di Castelfidardo il V
Corpo d’Armata era impegnato in una marcia senza il contatto con il nemico. In
questa marcia le unità di Morozzo della Rocca diedero prova di coesione e di
amalgama e nei 31 chilometri percorsi, necessari per superare l’Appennino non
si ebbero inconvenienti di sorta.
Nella stessa giornata la colonna del generale
Frignone dava l’assalto alla rocca di Spoleto. Questa era difesa da una
guarnigione di 800 uomini al comando del magg. O Really, del battaglione di San
Patrizio. Il combattimento fu violento e durò parecchie ore. Al termine la
guarnigione si arrese e fu stipulata una convenzione di resa. Si ebbero nella
fila della colonna Frignone 14 morti ( 11 bersaglieri e 3 granatieri) e 49
feriti ( 26 fra i bersaglieri e 23 fra i granatieri). Fra i caduti il tenete
Boyer della 35° compagnia bersaglieri. Fra i pontifici si ebbero 3 morti e 10
feriti; tra questi ultimi il capitano Coppinger e il tenente Crean.
Con la presa di Spoleto tutta l’Umbria era sotto
controllo delle forze Sarde. Sarebbe stato logico, se non si accetta il fatto
che l’obbiettivo della campagna fosse Ancona, che le forze del V Copor anziché
superare l’Appennino e puntare sulla Dorica, proseguissero compatte verso il
Sud, incontro a Garibaldi. Era vitale, per i sardi, rendersi padroni della
piazzaforte e per questo si assunsero l’onere di far marciare un intero corpo
d’armata su Ancona, a rinforzo di quello del Cialdini impegnato a contrastare
l’azione delle forze mobili pontificie.
[1] Fanti
condusse la campagna tenendo sempre presente il quadro generale di situazione:
le sue colonne, collegate tra loro, dovevano agire sempre di concerto: quella
di destra era il V Corpo operante in Umbria, quella di sinistra era il IV Corpo
ed era quella operante nelle Marche. Una divisione aveva avuto l'ordine ".. di agire sulla cresta dell'Appennino,
impadronendosi di Urbino, aveva per oggettivo Gubbio, affine di tenere legati i
due Corpi che operavano separati dall'Appennino." Come scrive lo
stesso Fanti nella sua relazione
[2] Relazione gen. Manfredo
FANTI
mercoledì 22 marzo 2017
Edizione 2003 Nota IV Parte I
massimo coltrinari
(centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)
Una battaglia d’incontro:
la
fase esecutiva
Alla sera del 10 Settembre il Comando Pontificio
dirama le disposizioni per la raccolta e 1'adunata delle forze mobili dislocate
in Umbria, sull'asse Terni - Spoleto - Foligno. L'incertezza nella quale il
Generale De La Moricière fu lasciato per tutta la giornata del 10 Settembre non
permise di inviare ordini precisi e tassativi alla Brigata Schmid che 1'll
Settembre, quando ormai era troppo tardi.
Quindi si
incolonnarono verso le Marche le Brigate Cropt e De Pimodan, in totale circa
8.500 uomini. La giornata dell'11 Settembre fu spesa per i preparativi e la
messa in campagna delle truppe. A sera la situazione era la seguente:
2a Brigata (De Pimodan): a Terni; 4 a
Brigata o di riserva (Cropt): a Spoleto; 1 a Brigata (Schmid): a
Città della Pieve; e 3 a Brigata (De Courten): nelle Marche.
Le notizie giunte nella giornata dell'11 Settembre al
Quartier Generale Pontificio a Spoleto ormai sono chiare: 1'insurrezione sarda
era cominciata e Pesaro e Fano, investite. De La Moricière conferma gli ordini
di radunata di tutte le forze a Spoleto, poi di marciare su Colfiorito e,
quindi, su Macerata. Nel diramare questi ordini, il Comandante in Capo
Pontificio valutava che 1'invasione sarda sarebbe stata di molto rallentata
dall'investimento e dalla resistenza delle piazzeforti di Pesaro e quella di Fano. L'ipotesi minima era
individuata in due, tre giorni per Pesaro ed uno-due giorni per Fano. Riteneva,
quindi, di avere tempo sufficiente, sull'ordine di quattro, cinque giorni, per radunare tutte le forze.
Confermava
1'ipotesi di non effettuare nessuna azione contro le truppe del V Corpo
d'Armata sardo che dalla Toscana scendevano in Umbria, incentrando tutta la
manovra sul prevenire quelle del IV Corpo che, era
evidente, puntavano su Ancona.
Alle ore 24 del
12 Settembre le truppe Pontificie iniziarono il movimento: la Brigata Cropt da
Foligno, via Colfiorito, per Serravalle; la Brigata De Pimodan da Spoleto
doveva serrare su Foligno. Iniziava alle ore 24 del 12 Settembre la manovra che
portò i Pontifici al combattimento di Castelfidardo.
I movimenti erano per lo più a forte connotazione
logistica: la Brigata De Pimodan non incontro difficoltà, mentre la Brigata
Cropt ebbe inconvenienti con 1'artiglieria nel tratto Foligno - Scopoli e Case
Nove - Cantoni, data la forte pendenza. Si dovette aggiogare un paio di buoi ad
ogni traino, non essendo sufficienti le due pariglie regolamentari. Alla sera
del 13 Settembre 1860 la Brigata Cropt era tutta a Serravalle e la Brigata De
Pimodan a Foligno.
La Brigata Cropt ricevuti ordini verbalmente dal
Generale De La Moricière inizio all'alba il movimento da Serravalle a
Tolentino. In testa marciava un battaglione di linea e due pezzi di artiglieria
al Comando del ten. col. Blumenstihl; a 400 metri marciava il resto della
colonna. Non vi era necessità di adottare misure di sicurezza accurate:
informazioni prese presso i contadini davano la strada per Macerata libera; a
sera la Brigata Cropt era a Tolentino. La Brigata De Pimodan lasciava Foligno e
giunse senza intralcio a Serravalle incontrando gli stessi inconvenienti per
1'artiglieria che ave va incontrato Cropt. L'apprezzamento di situazione a
Tolentino, la sera del 14 settembre, era il seguente: la manovra per
raggiungere Ancona era iniziata senza inconvenienti: affinché riuscisse si
doveva ulteriormente accentuare la celerità di ogni movimento, e contare ancora
sulla efficienza del servizio informazioni, al fine di evitare
sorprese.
De La Moricière da Tolentino emanava gli ordini
conseguenti a questo apprezzamento di situazione. Le truppe rimaste in Umbria
le pose alle dirette dipendenze del Ministero della Guerra, a Roma. Ordina al
Comandante di Ancona, Colonnello Gady, di presidiare Monte Polito, Monte Pelago
e la Lunetta Scrima e di comunicare a mezzo manifesti a tutta la popolazione di
Ancona che il Generale francese Goyon con 25.000 uomini, il 17 Settembre sarà a
Roma con tutta la sua truppa, ovvero i francesi stanno arrivando in aiuto ai
Pontifici.
Telegrafò anche al Colonnello Zambelli ad Ancona: “
Ho ricevuto le vostre lettere del 13 corrente. Inviate tutte le vostre spie in
giro e tenetemi informato esattamente e continuamente delle mosse e delle
posizioni del nemico: non risparmiate denaro.”
Evidente 1'esigenza di essere ben informato sulle
mosse del nemico. De La Moricière cura anche il morale delle sue truppe.
Insiste presso Mons. Gasparoli, Com. Apostolico del Santuario di Loreto per
avere la bandiera così detta di Lepanto:
avere questa insegna alla testa delle truppe è sicuramente un fattore positivo
per il morale. Infine non trascura il fattore celerità; impone una velocità
operativa di ritmo elevato. Ordina a Cropt di proseguire nella notte del 14 sul
15 verso Macerata e di raggiungerla, ed alla Brigata De Pimodan di raggiungere
Tolentino. Le truppe rispondono bene agli ordini.
Nei giorni 12, 13, 14 Settembre hanno percorso, quelle
di Cropt i 97 chilometri, che separano Spoleto da Tolentino e si stanno
avviando a raggiungere Macerata, distante 17 chilometri; quelle del De Pimodan
ne hanno percorsi 87, (Terni - Serravalle) e si stanno accingendo a per corre i
37 chilometri per poter raggiungere Tolentino. Una velocità operativa di tutto
rilievo, ancora più da sottolineare se si considera che le truppe Pontificie
non erano allenate e non avevano i necessari mezzi logistici completi.
Alla sera del 14 Settembre la situazione è la
seguente: la 1a Brigata ormai circondata a Perugia, la 2 a,
De Pimodan, in marcia su Tolentino, la 3
a , De Courten, interamente riunita ad Ancona, la 4 a, Cropt
in marcia su Macerata.
Durante la giornata del 15 Settembre 1860 la manovra
Pontificia si attua senza intoppi o difficoltà. Cropt arriva a Macerata alle 7
di mattina de1 15 settembre e a questa brigata si aggregano 120 gendarmi del
Capitano Zampieri.
De Pimodan raggiunge Tolentino. Da Macerata De La
Moricière manda un messaggio a Roma, ove fa il punto di situazione. La prima
parte della manovra Pontificia era riuscita: le truppe del V Corpo del Generale
Morozzo Della Rocca non sono riuscite ad agganciare quelle del De La Moricière,
pur distanti solo due giornate di marcia. E’, questo, un insuccesso dei Sardi,
dovuto in primo luogo alla carenza di informazioni, alla scarsa conoscenza dei
luoghi ed infine a ritardi dovuti al fatto di accettare combattimenti isolati,
contro forze Pontificie disperse, alla ricerca di successi facili e parziali.
Una risoluta azione su Foligno, prima che il De La Moricière avesse avuto modo
di iniziare il movimento verso Macerata, avrebbe di molto abbreviato la
campagna.
Macerata non distava che due giornate di marcia da
Ancona. Cropt vi era giunto nella prima mattina del 15: con azione risoluta
poteva esserci a metà della giornata del 17 Settembre. De Pimodan il giorno dopo,
il 18 Settembre: per De La Moricière la realizzazione del suo piano non pareva
proprio impossibile. Nel pomeriggio del 15 Settembre si tiene a Macerata un
Consiglio di Guerra a cui partecipò il Gen. De Pimodan che aveva lasciato
Tolentino a cavallo, scortato da pochi uomini.
Al consiglio partecipano, oltre a Cropt anche il
Colonnello Blunemstihl ed altri Ufficiali Superiori. Nella conferenza si
presero le seguenti decisioni:
proseguire il 16 Settembre su Ancona in due scaglioni, Cropt su Loreto,
De Pimodan su Macerata; seguire, con la
prima colonna la strada più sicura, la seconda avrebbe scelto la stessa strada;
riunire tutte le forze a Loreto; non impegnarsi assolutamente in combattimento; vagliare le decisioni alla luce delle
informazioni ricevute.
Ancona distava 56 chilometri ed occorreva scegliere
bene le successive mosse, in quanto i Sardi erano in veloce movimento verso
Sud. De Pimodan ritornò alla sua brigata, a Tolentino, non senza aver fatto una
ulteriore analisi della situazione con De La Moricière: conclusero che la
miglior cosa da fare era quella di riunire tutte le forze a Loreto. Alle 2
antimeridiane del 16 Settembre 1860 al Generale De La Moricière giunsero
ulteriori informazioni e notizie sui movimenti delle truppe sarde.
Si seppe che Cialdini puntava con il grosso delle
truppe su Filottrano. Era la manovra diversiva attuata fittiziamente dal
Cialdini, di cui si dirà quando analizzeremo la manovra del IV Corpo, volta a
confondere il nemico.
Su questa informazione, le truppe sarde su Filottrano,
il De La Moricière, alle 3 antimeridiane del 16 Settembre, decideva i seguenti
movimenti: la colonna Cropt prendesse la
strada sul dorso dei colli fra il Chienti e il Potenza e, per Monte Santo,
Santa Maria in Potenza, raggiungesse Porto Recanati; la colonna De Pimodan, seguisse la medesima
strada.
Le ragioni di questo ordine tattico, complesse.
Pressato dalla necessità di giungere a Loreto il più presto possibile, De La
Moricière prese la strada più lunga, mentre la via diretta era quella per
Recanati. Le ragioni di questo ordine tattico, non certo chiaro a prima vista,
sono da ricercarsi più che nella giustificazione della salvaguardia del tesoro,
nel fatto che De La Moricière era convinto che Cialdini puntasse su Filottrano.
Infatti, De La Moricière saputo che il grosso dell'Esercito Sardo sarebbe stato
presto a Filottrano, ritenne, passando per il Chienti e il Potenza, di
mantenersi il più lontano possibile dal nemico: inoltre aveva il dominio delle
quote, e, quindi, la possibilità di respingere eventuali attacchi di
cavalleria, combattendo su posizioni solide.
Oltre a queste ragioni sarebbe riuscito a porre in
salvo il tesoro dell’Armata.
La decisione di porre in salvo il tesoro, che poteva
essere inviato a Porto Recanati con buona scorta, e che De La Moricière pone,
nel la sua relazione, a fondamento della decisione di prendere la strada più
lunga, non può giustificare la decisione del Comandante in Capo di non prendere
la strada più corta per Loreto. La presenza presunta su Filottrano dei Sardi,
la salvezza del Tesoro, più ragioni di ordine puramente tattico sono alla base
della decisione delle ore 2 del 16 Settembre 1860 e che influenzo in modo
determinante i successivi avvenimenti.
Si arriva, così, all'antivigilia della battaglia di Castelfidardo
I movimenti sono posti in essere dalle 3
antimeridiane: la Brigata Cropt si pone in marcia ed alle ore 18 del 16
Settembre arriva a Porto Recanati, distante da Macerata 31 chilometri. Qui
imbarca il tesoro dell'Armata e, dopo ricognizione, provvede ad occupare
Loreto, distante 5 chilometri, alle ore 24. In totale nel al giornata del 16
Settembre la Brigata aveva percorso 36 chilometri: tale risultato permette una
considerazione.
Se il De La Moricière avesse preso la via di retta
Macerata-Loreto, (23 chilometri) nella giornata del 16 Settembre la colonna
Cropt, essendo la via non occupata dalle truppe sarde poteva giungere ad Ancona
o per lo meno a ridosso di essa. Ovvero la manovra del De La Moricière almeno
per la Brigata Cropt avrebbe potuto aver successo. Più difficile sarebbe stato
per la colonna De Pimodan giungere il 17 ad Ancona, in quanto sicuramente
intercettata dalle avanguardie del Cialdini. Ma in questo caso le opportunità
erano tutte intatte, potendo De La Moricière operare anche con 1e forze di
Ancona, con sortite dalla Piazzaforte.
La Brigata De Pimodan, lasciata all'alba Tolentino
alla sera del 15 Settembre era a Macerata. In testa marciavano solo due
compagnie; in retroguardia un battaglione con due pezzi: segno evidente che si
temeva un qualche attacco della Cavalleria sarda alle spalle proveniente da
Filottrano. E questo avvalora ancor più il fatto che la presunta occupazione di
Filottrano era alla base delle decisioni Pontificie.
La sera del 16 Settembre 1860 la Brigata Cropt era a Loreto e quella De Pimodan a
Macerata.
La giornata del 17 Settembre fu dedicata completamente
a rettificare le posizioni: ormai De La Moricière aveva deciso di aspettare De
Pimodan a Loreto e qui radunare tutte le sue forze. Dispose quindi che a Loreto
si creasse un semicerchio difensivo di avamposti, con punti di osservazione e
di presidio alcuni verso la strada per Recanati e altri verso quella per Porto
Recanati. Osservatori furono posti nei luoghi più alti della città. Nel primo
pomeriggio giunse a Loreto la colonna De Pimodan, stanca, affamata, ma con il
morale alto e ben saldo.
Uno degli interrogativi che a questo punto si possono
porre è quello relativo alla domanda se la manovra del De La Moricière riuscì?
Secondo i presupposti di base occorre rispondere
negativamente: non gli riuscì di giungere ad Ancona con tutte le forze
stanziate in Umbria. La sera del 17 Settembre era costretto a prendere in esame
1'ipotesi di impegnare un combattimento, cosa che voleva assolutamente evitare.
Aveva, però, il Generale De La Moricière colto successi parziali: era sfuggito
alle truppe del V Corpo che, indecise, non riuscirono ad agganciarlo; aveva
dimostrato che in pochi mesi era riuscito a forgiare un esercito degno di
questo nome con 1'aver percorso, dal 12 al 16 Settembre, una notevole distanza,
senza che le truppe si sfaldassero.
Infatti tutte quelle partite dall'Umbria raggiunsero Loreto e potevano ancora
raggiungere Ancona, combattendo. Il Generale De La Moricière aveva giocato le
sue carte abbastanza bene, anche se, occorre rilevare che abbia abboccato con
troppa facilità al tranello tesogli dal Cialdini con la notizia che Filottrano
era occupato. Cristoforo De La Moricière
aveva accettato il comando delle truppe papali 1'8 Aprile 1860, dopo insistenze
da parte del Pro Ministro per 1e Armi Xavier de Merode, suo parente.
mercoledì 8 marzo 2017
Edizione 2003 Nota III Parte II
PARTE II
La carriera militare del De La Moricière fu brillante ed ebbe il suo massimo splendore nelle campagne in Algeria e Tunisia condotte dall'Esercito Francese tra il 1830 e il 1840. Meno brillante fu la carriera politica: oppositore di Napoleone nel 1848-1852 fu emarginato progressivamente dalla scena politica francese. Nell'assumere il Comando delle truppe Pontificie era conscio di non avere appoggi diretti da Parigi; contava però sull'appoggio del partito cattolico molto influente in Francia, anche tramite 1'imperatrice Eugenia e sull'aiuto fattivo del1'Austria. La sua attività come Comandante fu frenetica: modellò progressivamente le truppe di campagna Pontificie sulle istituzioni francesi: riordinò la Fanteria, istituì il Corpo dei Bersaglieri Pontifici, in cui fece affluire i volontari austriaci, rimise ordine nell'Artiglieria e nell'Arsenale del Belvedere, e diede una configurazione operativa alla Cavalleria ed alle altre Armi.
contatti:
massimo coltrinari
(centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
La carriera militare del De La Moricière fu brillante ed ebbe il suo massimo splendore nelle campagne in Algeria e Tunisia condotte dall'Esercito Francese tra il 1830 e il 1840. Meno brillante fu la carriera politica: oppositore di Napoleone nel 1848-1852 fu emarginato progressivamente dalla scena politica francese. Nell'assumere il Comando delle truppe Pontificie era conscio di non avere appoggi diretti da Parigi; contava però sull'appoggio del partito cattolico molto influente in Francia, anche tramite 1'imperatrice Eugenia e sull'aiuto fattivo del1'Austria. La sua attività come Comandante fu frenetica: modellò progressivamente le truppe di campagna Pontificie sulle istituzioni francesi: riordinò la Fanteria, istituì il Corpo dei Bersaglieri Pontifici, in cui fece affluire i volontari austriaci, rimise ordine nell'Artiglieria e nell'Arsenale del Belvedere, e diede una configurazione operativa alla Cavalleria ed alle altre Armi.
La sua opera fu coronata da successo: infatti al
momento della dichiarazione di guerra riuscì a radunare e portare le truppe
mobili Pontificie dall'Umbria alle Marche con una marcia degna dei migliori
eserciti del tempo. Quindi a livello professionale si può dire che il de La
Moricière non aveva deluso le aspettative di chi lo aveva scelto, anche
relazione a quello che era il livello operativo dell’Esercito Pontificio prima
della sua assunzione del comando.
Certamente poteva anche riuscire, senza sparare un colpo,
arrivare ad Ancona ed evitare lo scontro aperto.
Uno dei motivi per cui il Generale De La Moricière
prese la strada che da Macerata porta a Porto Recanati per le alture del
Chienti e del Potenza, e che nella sostanza gli fece perdere quella mezza giornata
di vantaggio che aveva su Cialdini, è
senza dubbio quello di porre in salvo il Tesoro dell'Armata papale.
De La Moricière aveva mandato nella primavera del 1860
una somma di 500.000 mila franchi ad Ancona; questa somma, custodita nella
Cittadella dell'Astagno, doveva servire solo per casi estremi. Il Comando
Piazza di Ancona, invece, per superare le momentanee deficienze di cassa,
attinse a questa somma, non riconoscendone l'intangibilità. Di modo che, al
momento della invasione sarda, l'11 Settembre 1860, il Comandante civile di
Ancona, Conte di Quattrebarbes, fece presente al Generale De La Moricière che
Ancona aveva urgentemente bisogno di denaro.
Il Comandante in Capo si vide costretto a chiedere a
Roma, al Pro Ministro per le Armi De Merode, il denaro necessario per Ancona.
Al momento di mettersi in marcia da Spoleto, avendo immediatamente ricevuto
varie casse di monete d'argento, il Generale De La Moricière si trovò
appesantito da un considerevole “treno
di cassa”, come allora si definiva l’amministrazione militare.
Al Generale De La Moricière stava molto a cuore
preservare questo tesoro; aveva chiesto ad Ancona delle cannoniere;
all'appuntamento a Porto Recanati si presentò il postale San Paolo, con a bordo
il Sig. De La Perraudiere, volontario di cavalleria. Il tesoro fu imbarcato in gran fretta:
infatti notizie ultime davano i Sardi a Loreto; inoltre il mare ingrossava;
furono imbarcate tutte le casse, compreso il denaro che serviva all'Armata per
i servizi ordinari.
Con il Tesoro si imbarcava anche il Sottointendente
Ferri. La fretta fu all'origine di un grave inconveniente: a Loreto De La
Moricière aveva bisogno di farina, ma non aveva soldi per pagarla, essendo
tutti i molini caduti in mano nemica. “Gli abitanti” , riferisce nella
sua relazione , “nonché a noi bene affetti, vedendo 1'inferiorità delle
nostre forze, volevano essere pagati in contanti, ed abbiamo già detto come la
cassa di servizio era stata trasportata ad Ancona. Eravamo quasi senza denaro.”[1]
Ovvero 1'Armata Pontificia, dopo aver allungato la via per imbarcare il Tesoro
e salvarlo, perdendo ore preziose, si trovava quasi a digiunare, il 17
Settembre a Loreto, per mancanza di denaro. La vicenda del Tesoro è
sintomatica: scarsa previdenza amministrativo - logistica da parte dei
sottordini incidono fortemente nelle scelte operative del Comando Pontificio.
De La Moricière, forse, però giustifica 1'aver scelto
la strada più lunga per andare da Macerata a Loreto con la scusa di porre in
salvo il Tesoro, per non ammettere di essere stato tratto in inganno dal
Cialdini con la diversione, fittizia, su Filottrano.
La manovra del Cialdini rappresenta una delle migliori
esecuzioni sul terreno del generale nativo di Castelvetro e che varrà
l’imperitura memoria nelle nostre terre.
Il Generale Cialdini, agli ordini del Comandante in
Capo Manfredo Fanti era al Comando del IV Corpo sardo. Tale grande unità era
ordinata su tre Divisioni: la 4a, la 7 a e la 13 a.
Secondo il piano generale doveva operare nelle Marche e conquistare al più presto
Ancona e battere in campo aperto le eventuali forze Pontificie. Poi, passare ad
operare verso il Sud. Fin dal 9 Settembre il IV Corpo era pronto ad operare. La
7 a e la 4 a Divisione dovevano investire Fano e Pesaro;
la 13 a operare in soccorso e sostegno dei rivoluzionari operanti
nel Montefeltro. Le operazioni iniziarono all'alba dell'11 Settembre e presto
il ritmo delle operazioni fu sostenuto. Nella giornata dell'11 e del 12
Settembre le truppe sarde investirono e conquistarono sia Pesaro che Fano. Nella
giornata del 13 Settembre, la 4 a e 7 a Divisione
marciarono lungo la strada adriatica verso Senigallia, mentre la 13 a
Divisione, dopo aver portato soccorso ai patrioti raggiunse ed oltrepassò
Cagli.
Questo ritmo elevato delle operazioni aveva di molto
allungato le linee di rifornimento dei Sardi. I vari parchi erano rimasti
indietro, mentre quello d'assedio addirittura era per mare, nel Tirreno, ed il
carreggio ancora in Emilia. Il Comando sardo valutò che occorreva una sosta al
fine di riorganizzare le truppe. Con tale decisione, dettata del resto dalla
necessità, si concessero altre 24 ore di vantaggio, nella corsa verso Ancona,
al Generale De La Moricière, che in quel 14 Settembre aveva la Brigata Cropt in
marcia verso Macerata e la Brigata De Pimodan verso Tolentino. La sosta del 14
Settembre fu conveniente mente utilizzata, però, dal Cialdini, per mettere a
punto le operazioni dei giorni successivi, alla luce delle informazioni
acquisite sui movimenti Pontifici. Nella sua relazione a Fanti, il Cialdini
così spiega le ragioni che lo convinsero ad adottare il suo piano, dando inizio
a quella manovra che lo portò successivamente a Castelfidardo:
“Tali notizie mi turbarono assai, giacché m'era
ormai difficilissimo, se non impossibile, di precludergli la strada di Ancona.
Avrei potuto da Sinigallia portarmi addirittura su Torretta e di là andarmi a
collocare a Castro, onde tener così le due strade da Macerata per Osimo e le
Crocette di Castelfidardo mettono ad Ancona. Ma oltreché un tal movimento in tanta
prossimità della piazza, che pur doveva contenere settemila uomini di truppe
buone e fresche, era in se stesso pericoloso per il mio grave attiraglio di
carri; era poi impossibile d'altronde trasportare rapidamente da Torretta in
Val Baracola questo stesso attiraglio, dovendo sormontare 1'elevato
contrafforte che da Sappenico [Sappanico] discende a Posatore sottu Ancona,
traversato da strade senza fondo di ghiaie, rotte in molti luoghi e con
frequenti pendenze maggiori del 15 per cento. Oltreciò io non aveva sufficienti
forze per disporre di una divisione a tutela delle mie comunicazioni che
sarebbero state prontamente tagliate, qualora mi fossi collocato la dove
accennai.
Per ultimo era evidente che, volendo io collocarmi fra
la piazza e il Generale De La Moricière, non dovevo mai farlo in tanta
vicinanza di Ancona, che la guarnigione udendo il cannone, potesse in men di
due ore venirmi alle spalle, ed unirsi con facile concerto all'attacco di
fronte del Generale De La Moricière. Riflettei poi che le marce forzate
avrebbero stancato le truppe da lui condotte, e che in numero di tre o quattro
mila non oserebbero esporsi ad incontrarmi, ne vorrebbero abbandonare il
Generale Pimodan, che le seguiva di un giorno con altre cinque o sei mila. Era
naturale che il generale nemico non amasse perdere gran parte delle sue truppe
senza combattere, ed ammettendo che nella notte del 14 egli dormisse a Macerata
potendo così la sera seguente trovarsi in Val Musone, ei doveva assolutamente
scegliere uno dei due partiti: o passare oltre e condursi in Ancona, Castro dista da Ancona poco più di sette
chilometri coi 4.000 uomini che aveva sotto la mano, od attendere in Loreto o
Recanati, la riunione del generale Pimodan che non poteva sfuggirmi; nel
secondo caso, io passando per Jesi sarei arrivato a tempo a pormi fra Ancona e
lui.
La somma di queste riflessioni mi decise a dirigermi
su Jesi, città che poteva mettersi brevemente in istato di difesa, che aveva
alle spalle una strada per le mie sussistenze, troppo lontana dalla piazza
perché la guarnigione fosse in grado di spingere una sortita sino ai miei
magazzini”. [2]
I concetti espressi si attuarono in una manovra che è
all’origine della
Battaglia di Castelfidardo
All'alba del 15 Settembre le forze sarde erano in movimento:
la 7a Divisione procedette per la via Flaminia, fino alle foci
dell'Esino, poi si diresse verso 1'interno nella direzione di Chiaravalle. La 4
a Divisione procedeva nella stessa direzione percorrendo le alture tra il
Misa e 1'Esino. Fu disposto che un battaglione del 23 Reggimento percorrendo le
strade a mezza costa tra Torre Albani, Montignano in direzione di Jesi,
assicurasse la necessaria protezione. I “Lancieri di Milano”, con due
battaglioni del 23° Reggimento Fanteria presero posizione al ponte di Rocca
Priora per fronteggiare una eventuale sortita Pontificia da Ancona.
La Brigata “Bergamo” ebbe 1'ordine di presidiare Monte
Marciano. Un dispositivo di sicurezza degno di nota, nel segno del rispetto che
Cialdini nutriva per i Pontifici e per mettersi al riparo da ogni sorpresa. In
ogni caso gli ordini che il Comandante del IV Corpo emanava erano perentori. Ad
esempio, al Comandante della Riserva, il 14 Settembre da Senigallia concludeva
un ordine con queste parole, che certamente non erano tenere: “Raccomando
che non succedano sbagli ne male intelligenze che io assolutamente non saprei
tollerare una seconda volta. Se vi sono dubbi la S.V. Ill.ma mandi a chiedere
spiegazioni, ma si guardi seriamente dal fare passi falsi che finirebbero per
riuscirle funesti.”[3]
[3] Relazione
Cialdinicontatti:
massimo coltrinari
(centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
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