giovedì 22 dicembre 2022
mercoledì 30 novembre 2022
La campagna nelle marche 1860 I Martiti di Castelfidardo
Mentre le
autorità sanitarie dell’esercito rilasciavamo attestati di lode al
comportamento della popolazione di Osimo nei confronti dei feriti di entrambe
le parti dello scontro del 18 settembre, da parte legittimista pontificia
arrivarono pesanti accuse verso gli osimani.
In numerose
testimonianze raccolte i feriti pontifici ebbero a lamentarsi del trattamento ricevuto.
Queste lamentele furono raccolte in un volume, I Martiri di Castelfidardo” da parte del De Segur, dando vita al mito dei
legittimisti francesi e belgi che accorsero in Italia a salvare dalla
rivoluzione la Cattedra di San Pietro e sacrificarono tutto, anche la loro
vita, come i primi martiri durante le persecuzioni degli imperatori romani. Un
mito molto forzato, anche in relazione a certi comportamenti dei soldati che,
soprattutto a Loreto il 16 ed il 17 settembre non si comportarono in modo corretto
verso la popolazione. DE Segur, che avrebbe fatto meglio ad intitolare il suo
volume i “Martiri di Loreto” non avvalorando il nome di quello che “i nemici”
avevano scelto per il combattimento del
18 settembre, porta varie testimonianze.
Riguardo
alla morte di Arturo, conte di Chalus, da Nantes scrive;
“Fu con altri feriti
trasportato allo spedale di Osimo e stette calmo ed intrepido sopra
l’insanguinario convoglio del suo dolore …. Dopo morto fu spogliato di tutto
quello che aveva e non si si pote pure trovare la corona per mandarla alla
famiglia. Fu sepolto ad Osimo. I Piemontesi non vollero che fosse scolpita sul
suo sepolcro una iscrizione in memoria del suo valore e del suo coraggio.”[1]
La testimonianza di Giacinto Lanascot è la seguente
“.. finita la
battaglia, i Piemontesi ci si cacciarono addosso come tigri per depredarci, e
senza punto guardare se eravamo feriti ci malmenarono in modo orribile. Io
portavo in dosso seicento franchi, e me li rubarono senza lasciarmi un soldo.
Mi strapparono da dosso la medaglia datami dal Papa quindi le mie due pistole.
Eccovi caro padre detto in buona parte come mi trovo”.
domenica 20 novembre 2022
La campagna nelle Marche 1860 Il dopo
OSIMO E LE CONSEGUENZE DEI COMBATTIMENTI
DEL 18 SETTEMBRE 1860
Osimo visse la giornata del 18 settembre con apprensione,
immediata retrovia del campo di battaglia.
Terminati i combattimenti, nel primo pomeriggio del 18
settembre questi “era nel più completo
abbandono per la fuga dei pontifici e per la scarsità dei servizi di cui poteva
disporre l’esercito piemontesi, molti concittadini si recarono con vetture sul
luogo e diedero a soccorrere i feriti, portandone in parte a Loreto e negli
istituti, non solo ed un po' nelle varie chiese ad eccezione della Cattedrale
(di Osimo) e di quelle troppo piccole, ed un po' nelle case private. Le signore
e le donne della autocrazia e del popolo fecero a gara nel preparare le bende e
nell’assistere i degenti. Quel giorno (18 settembre ) era la festa del nostro
patrono San Giuseppe da Copertino ma, come ci raccontano i nostri vecchi che ne
furono testimoni mentre sul presbiterio si salmodiava e si dava la benedizione
ai pochi fedeli, si udivano i lamenti dei feriti giacenti sui lettucci di
fortuna, sistemate nella parte della chiesa più prossimi all’ingresso
principale e separata dal resto a mezzo di un tendone”[1]
Dal 13 settembre, come detto, il Gonfaloniere Bonfigli aveva
assunto i poteri civili a seguito del ritiro dei gendarmi e degli ausiliari e
di ogni autorità pontificia su Ancona. Su sua iniziativa il 18 settembre fu
costituito un Comitato, di assistenza e soccorso composto da FR.E. Lor.
Fiorenti, B.Bellini, Aug. Sinibaldi, Ant. Landinelli e Fr. Mazzoleni conb Fr.
Petrini come segretario.
All’indomani del 18 settembre, passato il primo momento della
raccolta e della sistemazione dei feriti, la situazione fu presa in mano in
Osimo dal Cav. Alessandro Landinelli aiutato da suo fratello Antonio. I feriti
furono smistati tra l’ospedale Comunale, detto anche Ospedale Vecchio, un
ospedale allestito alla chiesa di San Marco, un terzo ospedale allestito a San
Niccolò, un quarto ospedale a San Silvestro, un quinto all’Orfanatrofio femminile, che aveva
un appendice nel vicino Palazzo Pini, ed il sesto a San Francesco.
La organizzazione sanitaria dell’esercito sardo seguiva le
connotazioni logistiche dell’epoca. Prevedeva una assistenza ai combattenti
dall’indietro in avanti. Un ospedale da campo era stato impiantato ad Osimo
diretto dal dott. Zavattaro, mentre un ospedale di prima linea , diretto dal
sottointendente Luino, era stato dispiegato a Castelfidardo.[2]
Alla Chiesa di Crocette erano dislocate le ambulanze della 4a Divisione (dott.
Lai) e della 7a Divisione (Dott. Loretti) ed altri elementi dei servizi
sanitari comprese le ambulanze reggimentali dei reparti ivi gravitanti. La
Chiesa delle Crocette divenne il centro ove affluivano i feriti e presto si
trasformò in un vero e proprio luogo di degenza. Nel suo cortile si provvide a
sotterrare i Caduti.
Secondo la ricostruzione di Don Carlo Grillantini il 15
ottobre ad Osimo erano ancora degenti 315 feriti. A San Francesco, anche se non
vi sono documenti scritti ma solo una testimonianza orale, Padre Cesanelli,
afferma che i frati dovettero per qualche tempo girare nel loro convento
camminando tra i letti dei feriti. Negli ospedali di Osimo prestavano servizio
una decina di medici, oltre agli infermieri ed a quattro cappellani cappuccini,
mentre le suore, Figlie della Carità, ed altro personale civile coadiuvavano il
personale medico.
Nelle prime ore dopo i combattimenti emerse un dato che trova
riporto nella relazione di Cialdini a Fanti. Vagavano sul campo di battaglia loschi
figuri tutti intenti a spogliare i cadaveri e a depredare i feriti. Questa
situazione può aver innescato un comportamento di reazione dei feriti verso chi
li voleva soccorrere, scambiati per predatori. . Nel rapporto di Cialdini a
Fanti la sera del 18 settembre viene evidenziato il comportamento dei soldati
pontifici feriti di origine tedesca o svizzera di lingua tedesca che
continuarono a combattere anche dopo essere stati feriti o essere fatti passare
per finti feriti. Il rancore che questi provavano verso l’elemento indigeno,
come lo chiamavano, ovvero italiano era al di sopra delle righe. Molto di
questo personale, peraltro, proveniva da un reclutamento verso individui che
volevano correre certe avventure, quindi moralmente deficitario. Aggiunto al
fatto che elementi locali si diedero allo sciacallaggio si ha un quadro
abbastanza esaustivo di questi tristi episodi.
Questo diede vita a una serie di polemiche sulla stampa
nazionale e internazionale, soprattutto In Francia e in Belgio, a tutto danno
della immagine delle nostra terra e dei suoi abitanti. Osimo, divenne la metà di tanti viaggio,
intrapresi dai parenti che volevano andare a visitare i proprii cari feriti o
ammalati. (continua)
[1][1]
Grillantini C., Storia di Osimo, Pinerolo, Scuola di Tipografia Cottolengo,
1969, Vol II dal 1860 ad oggi. Pag. 703.
[2] Il
Personale sanitario dell’esercito era considerato civile assimilato alla
organizzazione militare. Prevdeva medici divisonali di 1° e 2° classe. Medici
reggimentali di 1° e 2° classie, medici di battaglie di 1° e 2° classe e medici aggiunti. CFr. Ales S., Dall’Armata sarda all’Esercito Pontificio
1843 -1861, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito,
Ufficio Storico, 1990 pp. 157 e segg.
giovedì 10 novembre 2022
lunedì 31 ottobre 2022
Da una storia a La Storia
La cattura del generale De La Moriciére non fu voluta?
18 settembre 1860 (II
Parte)
A sostegno della tesi che il generale De La Moricière non fu
volutamente catturato dalle truppe sarde su ordine superiore del Comando Sardo,
ovvero di Cialdini o uno dei suoi sottordinati per evitare complicazioni
internazionali o altro l’Autore di questo scritto[1]
porta testimoni oculari. Riportiamo le loro testimonianze:
“Doga Celeste fu
Antonio, pensionato garibaldino, ora ( 1910 n.d.a) residente al Poggio (frazione del Comune di Ancona) ascrisse di essere
stato guida di una compagnia di soldati partiti da Camerano per troncare la
ritirata del Lamoricère[2] . Al
capitano gli disse che la strada breve e sicura per riuscire, era la strada di
terra, tuttora esistente, detta dei Molini (lungo il torrente Boranico) che
mena a quella del Trave, precisamente per dove più tardi avrebbe dovuto transitare
il generale nemico. Da notarsi che il Doga per il suo mestiere di calderaio
specialmente della campagna di Camerano e dintorni era molto pratico. Ma il
capitano rispose che aveva l’ordine di andare a Massignano[3] e vi
si fece guidare. Ivi giunto seppe che il Lamoriciere s’era fermato al convento
dei Camaldolesi[4]
sulla vetta del Conero da dove dopo una breve refezione era partito seguendo i
sentieri del monte e costeggiando la frazione di Poggio fino al Trave.
Esclamò allora quel
capitano “Che sbaglio abbiamo fatto.” come testimonia Giovanni Tangherlini fu
Angelo ottantenne (siamo
sempre nel 1910) ora residente al Poggio,
e in quei tempi a Massignano.[5]
Questi lo guidò al
Poggio stesso, ma troppo tardi che già il Lamoriciere s’era avvicinato ad
Ancona, senza che si potesse più sperare di raggiungerlo.
Del tragitto percorso
da Lamoriciere, come ho indicato più sopra, ho raccolto numerose testimonianze
le quali tutte confermano che assolutamente si è cercato di inseguirlo, senza
volerlo mai raggiungere, col troncagli la strada.[6]
Ora resta a domandarsi.
Proprio vero che quel capitano di cui nessuno ha saputo dirmi il nome[7],
s’era sbagliato, o è vero invece ch’egli avesse avuto ordini tassativi dai suoi
superiori di lasciare liberamente entrare il Lamoriciere in Ancona per tutto
predisporre alla difesa? [8]
Se fosse vera questa seconda ipotesi, quali ragioni devono aver influito su
tale decisione? [9]
Nella ricostruzione già fatta[10]
emerge nella sua oggettività tutta la cronologia degli eventi, che permette già
di rispondere a questa ricostruzione: l’intera vicenda si svolse dalle 13,30-14
alle 17,30 del 18 settembre 1860. Dal momento in cui il De La Moriciére, rendendosi
conto della situazione tattica, ormai compromessa, da l’ordine di raggiungere
Ancona o di mettersi in salvo a Loreto a tutte le sue truppe, fino a che non
giunse in Ancona, alla Piazza del Teatro delle Muse alle 17,30. Le vie di
scampo per i soldati pontifici erano tre: verso nord, verso Ancona che era
l’obbiettivo per cui si erano messi in marcia il 13 settembre dall’Umbria, la
via verso sud, lungo la litoranea, detta della “marina”, oppure ritornare a
Loreto, da dove erano scesi quella mattina del 18 settembre.
De La Moriciére scelse delle tre vie, quella nord, verso
Ancona; passato per i poggi di Umana (Numana) raggiunse il convento dei Camaldolesi
introno alle 15, si fermò quindici minuti e intorno alle 15,45-16 era al Poggio
per poi proseguire su Ancona, dove arrivo alle 17,30, raccolto dai comandanti
pontifici sulla piazza davanti al Teatro delle Muse.
Un dato viene dato per scontato. Nelle prime ore del
pomeriggio come faceva il Doga a sapere che De La Moriciére sarebbe transitato
per quella strada? Come faceva a sapere gli esiti degli scontri della mattinata
a ridosso del Musone e la decisione del De La Moricière di prendere la via nord
per raggiungere Ancona? Così pure, il generale Cugia di Sant’Orsola da Camerano
mandava elementi della sua brigata in avanti dando l’ordine di catturare tutti
i soldati pontifici incontrati impedendo loro di raggiungere Ancona. Nel
contempo, verbalmente, perché per iscritto non risulta, dare l’ordine che se si
fosse incontrato il gen De La Moriciére (ma lui come faceva a sapere che era
per la via di Ancona?) lo si doveva tassativamente lasciarlo passare?
Nel momento in cui alle 14 - 14,30 Cialdini giunse sul campo
degli scontri, che erano praticamente terminati, giungendo da Osimo, i suoi
subordinati avevano già dato gli ordini per sfruttare il successo. Su ordine
del generale comandante la Brigata Regina, Colonnello Brigatiere Avenati, il 9°
Reggimento fanteria[11]
mosse verso l’Aspio e passatelo, puntò decisamente su Numana che a quel tempo
si chiamava Umana. Raggiuntela, riuscì a intercettare e disarmare 19 ufficiali
e 223 soldati pontifici.[12]
Il Generale Cugia di Sant’Orsola, alle prime luci dell’alba
del 18 settembre, come visto nella precedente nota, aveva occupato Camerano, ma
aveva assunto un atteggiamento prettamente difensivo, dovendo garantire le
spalle ai reparti che combattevano fronte sud. L’evolversi della situazione
fece sì che non prima delle ore 14 il Cugia cambiasse atteggiamento, passando a
quello offensivo. Da Camerano era facile bloccare ogni litoranea per Ancona.
Infatti, come detto, fu dato ordine ad elementi della brigata di procedere per
colonna ad occupare Massignano. Occupatela intorno alle 15,30-16, un drappello
di 25 uomini al comando del cap. di Stato Maggiore Mazzoleni si spinse oltre ed
occupava i poggi sopra Sirolo. Il cerchio era chiuso. Se si considera che i
combattimenti cessarono intorno alle 14 e due ore dopo tutte le vie litoranee
verso Ancona erano chiuse, si può dire che i comandanti Sardi agirono di
iniziativa in modo veramente encomiabile.
Nei quindici rapporti esaminati dei Comandanti presenti sul campo non vi
è traccia di ordini o altro relativi alla disposizione di non catturare il De
La Moricière.[13]
Soprattutto quello del generale Cugia di Sant’Orsola, che inviò elementi della
sua Brigata a Massignano, né in quello del cap. Mazzoleni. Gli ordini erano
chiari per tutti: catturare il maggior numero possibile di soldati pontifici impendo
che questi raggiunsero Ancona.
Una grande operazione di omertà tacere questo ordine? Favorire
l’arrivo in Ancona del Comandante in Capo, affinchè organizzasse al meglio la
difesa. Certamente Fanti avrebbe chiesto precise spiegazioni a Cialdini di
questo ordine che contraddiceva tutti quelli emanati in precedenza. Nel
rapporto delle ore 21 del 18 settembre 1860 a Fanti, Il Cialdini, nel
descrivere la giornata appena trascorsa, scrive…
“IV Gran Comando
Militare. Osimo[14]
18 settembre 1860 ore 9 sera.……ho battuto De La Moricière che è tornato a
Loreto……
Le mando direttamente
questo rapporto onde l’E.V. manovri per tagliare la ritirata al corpo di La
Moriciére che non ha altra via fuorché quella che da Loreto per Porto Recanati
lungo il mare conduce a Fermo. Le sue truppe devono essere in uno stato di
completa demoralizzazione. Per conto mio farò quello che posso per inseguirlo.”[15]
Cialdini mostra tutta la volontà di catturare il maggior
numero di soldati pontifici compreso il loro Comandante in Capo. Inoltre è
convinto che De La Moriciére sia a Loreto e l’unica via aperta è quella per
Fermo. Non sa che il De la Moriciére ha preso la via di Ancona, ove è arrivato
alle 17,30.
Il De La Moricière riuscì a raggiungere[16]
Ancona perché si muoveva a cavallo, mentre le truppe sarde che furono impiegate
per chiudere le strade per Ancona si muovevano a piedi. Nonostante la celerità
degli ordini e la loro esecuzione immediata, il De La Moriciére riuscì a non
farsi intercettare solo per poche decine di minuti, al massimo una mezz’ora. In
guerra avere un po' di fortuna non gusta mai.
Sul campo da parte pontificia vi erano solo due generali, il
De La Moriciére e il de Pimodan. Come facevano i testimoni oculari a sapere chi
dei due generali era il De La Moriciére? Come facevano a sapere che il de Pimodan
era stato ferito solo quattro ore prima ed ora era all’ambulanza delle
Crocette? Il fatto che tutti parlano decisamente
del De la Moricière é veramente sospetto. L’Autore conclude il suo articolo con
due bei paragrafi
“Non a me, umile
raccoglitore di notizie storiche è dato significare una risposta esauriente. Ad
altri quindi conoscitori profondi delle condizioni politiche nazionali ed
internazionali di quei tempi lascio la parola. A me basta aver trovato conforto
di testimonianze le quali ancora una volta assodino che se il generale
Lamoriciere nella sua ritirata si trova fuori della portata dei cannoni, non fu
abilità la sua, e che fu imperizia o altro da parte dell’esercito piemontese
l’essere riuscito senza moleste a scappare da Castelfidardo ad Ancona.”
Conclusione che non può essere accettata, per evitare che si
crei una nuova versione dei fatti basata su quello che si vuole che sia stato e
non quello che è stato: gli ingredienti ci sono tutti: i testimoni oculari
prima di tutto. Sono testimonianze da prendere con le molle. Dopo cinquant’anni
dagli avvenimenti si può raccontare di tutto ed il contrario di tutto. Il De La
Moriciére riuscì a sfuggire alla cattura perché aveva il vantaggio
dell’iniziativa e si muoveva a cavallo. Infatti in quel tardo pomeriggio del 18
settembre ad Ancona giunsero solo e solamente dei cavalieri; i soldati a piedi
giunsero nella nottata. Accusare di “imperizia l’esercito piemontese” è
offensivo; è vero il contrario: i comandanti furono intelligenti, attivi e
decisi. Per “o altro” (questa è dietrologia che è sempre un buon ingrediente
per storie accattivanti) non è necessario spendere parole. Accusare i
Comandanti sardi, non sapendo nemmeno dove fossero (Si cita il generale Morozzo
Della Rocca che il 18 settembre era a Perugia in quanto il 23 settembre prende
alloggio a Camerano) e quale era il loro ruolo, di aver dato l’ordine di non
catturare il De La Moriciére per ragioni oscure ed inconfessabili, si aggiunge
a tutto quel affastellamento di “fake news” che avvolge ancor oggi questi
eventi. Ed ancora in molti ci vanno dietro.
De La Moriciére poi
non mise mai piede a Castelfidardo. Lui raggiunse Loreto dall’Umbria ed operò
da Loreto e nella piana di Loreto; nelle sue memorie cita questa località poche
volte, e sempre in modo indiretto e subordinato.
E’ sempre un buon esercizio l’esegesi di testi e confrontarli
con le fonti, di tentare di scrivere la Storia, in generale, e la Storia
Militare in particolare.[17]
Ovviamente si è a disposizione per ogni eventuale approfondimenti.
[1] La Cattura
del generale Lamoriciere non fu voluta? In “Per il primo centenario della
liberazione delle marche, numero unico pubblicato dall’Associazione Marchigiana
per la Storia del Risorgimento italiano, Roma, 1910.
[2] Vedi
oltre. Erano i reparti della Brigata Como in azione su ordine del gen. Cugia di
Sant’Orsola
[3] Ordine
dato dal generale comandante la Brigata, volto a sbarrare la strada ai soldati
pontifici che avevano preso la via di nord est verso Ancona.
[4] Il De La
Moricière raggiunge il Convento dei Camaldolesi alle 15 circa e vi sosto 15
minuti. Come faceva il testimone a sapere quanto successo quarantacinque minuti
prima?
[5]
Certamente sarebbe stato un bel colpo aver catturato il Comandante in Capo
nemico. Forse il rammarico sta tutto qui.
[6] Sarebbe
interessante sapere le testimonianze raccolte, che certamente sono dei civili.
Nei rapporti dei comandanti sardi, come si dirà oltre, non vi è traccia di
questo argomento.
[7] Era il
cap. di Stato Maggiore Mazzoleni, che a Massignano ebbe il compito di
proseguire verso ovest e raggiungere i poggi di Sirolo con il compito di
fermare tutti i soldati pontifici che incontrava e farli prigionieri.
[8] Furono
impiegate diverse compagnie a comando dei loro capitani. Dare ordini tassativi
a livello di compagnia, cioè ai capitani, avrebbe significato, come si dirà,
che nei rapporti successivi dei predetti capitani questo sarebbe stato
rilevato. In nessun rapporto emerge questo dato.
[9] Il
fascino delle storie raccontate e non documentate è tutto qui: lanciare
interrogativi, mettere i dubbi, creare situazioni, sperando che il sassolino inizia
a rotolare e trasformarsi in valanga.
[10]
Coltrinari M., La Giornata di Castelfidardo 18 settembre 1860. Il passaggio
delle Marche dallo Stato preunitario allo Stato nazionale, Castelfidardo,
Fondazione Duca Roberto Ferretti di Castelferretto Italia Nostra Onlus Sezione
di Castelfidardo Lions Club Recanati Osimo, 2008, pag. 177 e segg.
[11][11]
Due battaglioni e se compagnie al comando del ten. col. Duranti.
[12]
Rapporto al Sig. Comandante generale la 4° Divisione attiva (al campo Quadrivio
di San Biagio, 22 settembre 1860. Il Comandante la Brigata Regina Colonello
Brigatiere Avenati, in Ministero della Guerra Corpo di Stato Maggiore Ufficio
Storico, La Battaglia di Castelfidardo, Roma Tipografia del Genio, 1903.
[13] Se
l’ordine era stato effettivamente dato, anche verbale, una traccia nel rapporto
del subordinato ci doveva essere a giustificazione che sì era stato
eseguito.
[14] Notare
che questo rapporto porta la data del 18 settembre 1860 ed indica come sede del
Quartier Generale del IV Corpo Osimo.
[15]
Coltrinari M., La Giornata di
Castelfidardo 18 settembre 1860. Il passaggio delle Marche dallo Stato
preunitario allo Stato nazionale, cit. pag. 190
[16]
Il totale dei soldati pontifici che raggiunsero Ancona furono 127 Cavalieri, 29
fanti, alla spicciolata favoriti anche dalla loro esiguità, e 17 via mare nei
giorni successivi. Questo risultato è la vera sconfitta per il De La Moricière:
degli 8500 uomini partiti dall’Umbria che dovevano rinchiudersi in Ancona e
dare vita ad una resistenza ad oltranza, giunsero solo 173 uomini pari a poco
più del 2%.
[17]
L’oggetto di queste due note sarà parte integrante dell’aggiornamento del
Modulo di Storia del Risorgimento al Master di 1° Livello in Storia Militare
Contemporanea dal 1796 al 1960. IV Edizione attivato presso la Università degli
Studi N. Cusano Telematica Roma (www.unicusano.it/master)
di cui l’Autore vi è il Direttore Scientifico e Docente.
giovedì 20 ottobre 2022
Da una storia ad una storia
Da una storia a La
Storia
La cattura del generale De La Moriciére non fu voluta?
18 settembre 1860 (I Parte)
Massimo Morroni dovrà mettere in campo tutta la sua cortesia
ed il suo autocontrollo se, dopo dieci anni dalla richiesta, provvedo a dargli
una risposta. Correva l’anno 2011 ed eravamo nel pieno delle celebrazioni del
150° anniversario degli avvenimenti del 1860. Si è sentito di tutto in quelle
rievocazioni, in una corsa davanti ai microfoni delle televisioni ed alle
pagine dei giornali a chi ne sapeva di più. Il livello, ovviamente, di tali
interventi non avrebbe fatto fare salti di gioia a ricercatori avvezzi al
rigore scientifico in tema di storia, mal la storia non è la medicina, per la
seconda tutti hanno un timore reverenziale e non ne parlano e leggono la
ricetta del medico come fosse il vangelo rilevato anche quando prescrive la
crema omeopatica per i calli, per la prima tutti si sentono autorizzati non
solo a parlare ma anche a dare interpretazioni definitive e assolute.
In questo bailamme onirico, mi arrivò la richiesta di Massimo
Morroni: chiedeva di dare una parere con risposta ad una pubblicazione dell’agosto
1910 dal titolo “La cattura del generale Lamoricière non fu voluta?”[1]
La conclusione dell’articolo così recita. “… a me basta aver trovato conforto di
testimonianze le quali ancora una volta assodino, che se il generale
Lamoriciere nella sua ritirata, si trovò fuori dal tiro dei cannoni non fu
abilità la sua, e che imperizia o altro da parte dell’esercito piemontese,
l’essere riuscito senza molestie a scappare da Castelfidardo ad Ancona”[2]
Lo Sgarbi che abbiamo ascoltato a luglio in Osimo avrebbe e
non solo avrebbe usato termini all’indirizzo dell’autore che il lettore
facilmente può immaginare quando è di fronte a tante bugie, insulti e
conclusioni frutto solo di ignoranza e arroganza. In questa conclusione non vi
è niente di vero, eppure quando si chiama in ballo “l’imperizia” di un
esercito, qualche relazione, qualche libro occorreva leggerlo e controllate con
dati di fatti tale asserzione.
Il tema, in ogni caso, è quanto mai intrigrante. Un vero
giallo. In pratica si sostiene che dopo gli eventi dello scontro del 18
settembre 1860 il Comando sardo diede disposizioni per non catturare il capo
dell’armata pontificia. A sostegno di ciò si portano testimonianze (raccolte
nel 1910) di testimoni oculari che asserivano questa tesi. Per giungere alla
conclusione di cui sopra.
Chi fa storia sa che, se si vuole avere successo, soprattutto
editoriale, non devi scrivere ciò che constati dai documenti oggettivi
raccolti, ma quello che il pubblico a cui ti rivolgi vuole che tu dica, che
l’editore ha le sue esigenze, che il marketing pure, che il “political correct”
va rispettato, che qualche piacere bisogna pur farlo, che il Presidente della
Fondazione, della Banca, dell’Istituto Onnicomprensivo ecc. ha un figlio che vuole scrivere di storia e via con le
note litanie del caso che non sono proprio lauretane. Ne abbiamo avuto una
testimonianza ad Osimo, il 16 luglio 2021, quanto il noto giornalista Paolo
Mieli, nel tessere le lodi degli scrittori locali, tra cui ovviamente Massimo
Moroni, sostenendo che le loro opere sono genuine, non sono condizionate ne
dall’editore, ne dal pubblico ne da altro e quindi questi scrivono quello che
credono sia giusto scrivere. Lodi giuste. Ovviamente è vero, se lo dice Paolo
Mieli, anche il contrario, che è la tesi sopra esposta se vuoi avere successo
non seguire la strada degli scrittori locali, scrivi quello che vogliono che tu
dica, come la “ritirata” di Lamoriciere” l’ordine di non catturalo, l’imperizia
di un esercito ecc., ovvero scrivi una storia, non La Storia
Passati dieci anni, insistendo per non cercare di acquisire
successo e notorietà popolari, e qui chiamo come testimone Luca, che sa quanti
dei miei libri sono venduti, rispondo a Massimo Morroni.
Capoverso per capoverso, scritto in corsivo, riporto il testo
inviatomi
“E’ noto come, non
appena decisa la battaglia di Castelfidardo. Il generale Lamoriciere, con parte
del suo Stato Maggiore tentasse la ritirata in Ancona, prendendo la via della
marina, cioè Numana, Sirolo, Monte Conero strada Trave Ancona”
Il comandante in capo dell’Esercito pontifico gen. Cristoforo
De la Moricière[3], che
aveva come obbiettivo di portare in Ancona il maggior numero di soldati, verso
le 12-12, 30 (lo scontro era iniziato alle 9,20) dopo il ferimento a morte del
gen De Pimodan alle 11,30, finalmente diede l’ordine a tutti i combattenti, di
cercare di svincolarsi dai combattimenti e puntare verso nord, cioè verso
Ancona. Non vi è qui lo spazio per la descrizione del bel piano tattico che
ideò e che verso le 11.00 era riuscito ad attuare. Un ordine arrivato troppo
tardi che costò caro ai pontifici. In Ancona degli 8500 uomini ne arrivarono
solo 127 il quel 18 settembre una decina nei giorni successivi. Non si tratto
quindi di una “ritirata”, ma di una “avanzata” per raggiungere Ancona, che è
alla base del piano strategico messo in atto il 12 settembre. Dato l’ordine, il
De La Morciere ed i suoi ufficiali e le truppe a lui vicine lo misero in atto.
“Ebbene, più volte mi
sono chiesto come da Camerano, dove erano 8 pezzi di artiglieria, ed un
generale, Il Della Rocca che risiedeva nella casa del marchese Giulio
Manciforte, non si fosse fermato il fuggiasco e catturato. Non sapevo spiegare
questo fatto se non con con l’ammettere che nessuno s’era accorto della
ritirata del Lamoriciere o che assolutamente, forser per evitare complicazioni
internazionali, non fi fosse voluto arrestare. Sempre piùm però mi venivo confermando
in questa seconda ipotesi perché contenporanei della battaglia, tuttora
viventi, tra il quali il segretario del comune di Caemrano, signor Leonardo
Zoppo, ricordano di aver veduto benissimo a occhio nudo, il Lamoriciere e gli
altri a cavallo e di aver scroto col cannocchiale perfino i filetti delle
monture. Dunque?
Di questi giorni,[4] In
questa rinnovata primavera della patria,ho voluto procedere ad una inchiesta
sul fatto, e bebche nulla ( mi è stato assicurato) risulti negli archivi del
Comune di Camerano, ne alcuna mermoria scritta risulti inpropositoin casa del
marchese Manciforte, da testimonianze di vecchi che conservano piena lucidità di
mente, m’è stato confermato che non si è voluto assolutamente arrestare il capo
delle orde papaline.”
La tesi oggetto dell’inchiesta è che il Comando Sardo diede
ordini di non catturare De La Moricière e di lasciarlo libero per raggiungere
Ancona.
Vedremo in una prossima nota le testimonianze oculari portate
a sostegno di questa tesi. Adesso si può inizialmente dire che dare ordine di
non catturare il comandante in capo nemico sul campo e lasciarlo libero di
entrare in Ancona, dove avrebbe assunto il comando della difesa, sarebbe stato
un grave errore. Si permetteva al nemico di avere un generale, il comandante in
capo, al comando della piazzaforte che si doveva investire, non è certo una
scelta intrelligente, contrari ali interessi propri. Cialdini pochi giorni
prima aveva fatto arrestare a Pesaro mons. Bella, delegato apostolico, e tratto
in modo insultante ed indecoroso. Si sostiene che potevano esserci delle
complicazioni internazionali. L?estensore dell’articolo sapeva che De La
Moricière fu fatto prigioniero il 29 settembre successivo ed imbarcato su una
nave il 3 ottobre ed inviato a Genova per essere messo in libertà.
Ma l’errore grave dell’estensoreè di carenza di conoscenza
dell’evolversi dei fatti. Il responsabile di tale ordine dovrebbe essere,
secondo lui, il gen. Morozzo della Rocca, che aveva preso alloggi a Camerano
nella villa dei marchesi di Manciforte.
Ebbene quel 18 settembre 1860 il gen. Morozzo della Rocca,
comandante il V Copro d’Armata era al suo Q.G. a Perugia. Il giorno dopo 19
settembre, lo raggiunse l’ordine, dopo gli esiti dello scontro di
Castelfidardo, di dirigere il suo Corpo d’Arma nelle Marche. Cosa che fce
ripercorrendo la strada che il De La Moriciere con i suoi uomini aveva percorso
dieci giorni prima. IL 23 settembre si incontrò a Lreto, con Cialdini, Persano
e Fanti, e ricevette l’rdine di portare lungo la marina le sue truppe, per dare
l’assalto finale ad Ancona. Raggiunge Camerano il 24 settembre e prese alloggi
presso la villa del marchese Manciforte.
Quindi un errore macroscopico asserire che Morozzo della
Rocca diede l’ordine di non catturare il De La Moricière per il semplice fatto
che era a Perugia.
Camerano, il 18 settembre 1860 era stata occupata dal 23° Reggimento
fanteria della Brigata “Como” con la sua batteria ( qui il dato è esatto, 8 pezzi) su ordine
del Generale Cuglia di Sant’Orsola, che ricevette gli elogi del Cialdini per
questa iniziativa. Ma era una mossa preventiva per contrastare eventuali uscite
pontificie da Ancona come era successo il giorno innanzi. Cugia occupò Camerano
nella prima mattina del 18 settembre, ma basta guardare la carta, non era
assolutamente in gradi di sbarrare il cammino di De La Moriciere , ammesso che
Cugia alle 16 del 18 settembre avesse avuto la notizie che De La Moriciere si
stava dirigendo su Ancona.
Tirando le somme di questa prima parte al commento dello
scritto si può dire che l’impianto di ricerca dell’Autore è completamente
errato, e quindi, le relative conclusioni errate. Vedremo nella prossima nota
come questa narrazione sia stata suffragata da testimoni oculari.
Meridiana settembre 2021
[1]
Pubblicata su “Per il primo cinquantenario della liberazione delle Marche”,
numero unico pubblicato dall’Associazione Mrchigiana per la Storia del
Risorgimento Italiano, Roma, 1910”
[2] Ibidem
[3] La
scritta “Lamoriciere” è una storpiatura del vero nome, De La Moricièere.
[4] Siamo
nel 1910 nei giorni che si celebravano il cinquatenario degli avvenimenti.
venerdì 30 settembre 2022
sabato 17 settembre 2022
La Campagna nelle Marche 1860
Osimo in mezzo al campo di battaglia:
16 - 17 settembre 1860
Alle 23 del 15 settembre le avanguardie del IV Corpo d’Armata
da Torre di Jesi si misero in marcia con destinazione Osimo, obiettivo primario
della manovra. In testa il VII Battaglione Bersaglieri seguiti da una sezione
della 4a Batteria, poi da tutta la Brigata “Como” e dal resto della 4a
Batteria. Le truppe si misero in marcia quasi digiune, non essendo potuto
arrivare a Torre di Jesi, per la tendenza della strada, il carreggio dei
viveri. La marcia durò fino alle 5 del mattino del 16 settembre. Via via che
arrivavano in Osimo le truppe prendevano posizione, ma vi arrivarono stremate.
Appena giunti i soldati si stendevano in terra, allentandosi le buffetterie e
slacciandosi la divisa. Non diedero un buon spettacolo e l’impressione, per gli
Osimani, non fu delle migliori. Si temevano reazioni scomposte, con la
diffidenza che si ha per truppe che erano considerate “straniere”. Anche per
questo, per evitare tali reazioni, la popolazione iniziò ad offrire pane,
formaggio, frutta e vino. Passate le prime ore, ci si accorse che queste truppe
erano saldamente in pugno ai propri ufficiali; presto corse voce che avevano
avuto precise disposizioni di rispettare ogni cosa, anche le proprietà
ecclesiastiche e di non reagire se non in presenza di azioni di fuoco.
Osimo fu presidiata nel seguente modo: col 24° Reggimento
fanteria della Brigata “Como” si pose in riserva al centro della città, pronto
ad intervenire. Due battaglioni del 23° Reggimento fanteria della stessa
brigata furono posti a presidio della porta che guardava verso Ancona (San
Marco); gli altri due battaglioni del 23° Reggimento Fanteria si misero a
presidio della strada proveniente da Filottrano. Metà della 4a Batteria a
sostegno del 23° Reggimento e l’altra a sostegno del 24° Reggimento. Una
sezione (due pezzi) fu messa in batteria a Piazza Nuova, ove oggi una targa
ricorda questo suo posizionamento. In pratica Osimo, con oltre 900 soldati
schierati, era fortemente presidiata. Per tutta la giornata del 16 continuarono
ad arrivare le truppe rimanenti
Come sempre in guerra, le notizie sono confuse,
contradittorie, parzialmente non vere e false. Cialdini nel movimento verso
Osimo ricevette la notizia raccolta da alcuni contadini che De La Moricière era
da Macerata in marcia su Filottrano e quindi puntava su Torre di Jesi. Non fu
creduta per vera, ma per precauzione fece presidiare dal 16° Reggimento
Fanteria Torre di Jesi. Il resto del IV Corpo ebbe l’ordine di raggiungere Osimo
nella giornata del 16 settembre. Jesi e Torre di Jesi divennero la base
logistica arretrata del IV Corpo d’Armata, mentre la linea operativa di
interposizione alla sera del 16 settembre era Osimo. Anche per questo Cialdini
riteneva con l’arrivo in Osimo che le posizioni raggiunte fossero sufficienti
per interporsi alle forze pontificie provenienti da sud e dirette ad Ancona. La
conquista di Osimo fu una brillante azione a carattere logistico che impegnò a
fondo le truppe sarde, che dovettero operare in condizioni non certo ottimali,
tanto che giunsero sulle posizioni stremate.
Si legge nel Diario
del IV Corpo d’Armata:
“Non fu mai vista
stanchezza che uguagliasse quella delle truppe in questa giornata (16
settembre 1860, n.d.a.). gettandosi nei
fossi e nelle campagne vicine, erano sorde alla voce dello stesso generale. Si
aggiunga che i carri ed i viveri, i parchi e le riserve viveri tutte rimaste
indietro per la natura del terreno e la rapidità della marcia. Onde che le
divisioni passarono letteralmente 24 ore senza mangiare.”[1]
Il Generale Cialdini nel suo rapporto al Generale Fanti ebbe
modo di scrivere:
“Le salite e le discese
di Torre di Jesi quindi l’erta di Osimo allontanarono di nuovo i viveri dai
battaglioni; il calore del giorno fu eccessivo; le truppe arrivarono rassegnate
fino ad Osimo, ma quelle che dovettero avanzare a Castelfidardo ed alle
Crocette oppresse dalla fatica dalla sete e dalla sferza del sole e dalla
mancanza si sufficiente alimentazione giunsero in uno stato di prostrazione che
le faceva assolutamente incapaci di sostenere il benché minimo combattimento”.[2]
Questa manovra di interposizione ricorda alla lontana la
manovra napoleonica di Ulm, in cui con marce estreme, il Corso riuscì a far
capitolare per manovra l’intera guarnigione austriaca di 30.000 uomini. Con la
sua manovra, Cialdini pose le premesse per la vittoria dello scontro del 18
settembre.
Via via che giungevano ad Osimo, le truppe a rincalzo
scavalcavano quelle che avevano preso posizione e proseguivo verso est. Fu
disposto che, al comando del Comandante la Brigata “Bergamo” proseguissero per
San Sabino, Castelfidardo Crocette il II ed il XXVI Battaglione Bersaglieri, il
Reggimento “Lancieri di Novara” e la 5a Batteria. Gli ordini per queste truppe
erano chiari: raggiunto il quadrivio delle Crocette, spingersi verso i ponti di
Loreto, se trovati intatti e sgombri da forze nemiche tagliarli e renderli
impraticabili. Indi organizzarsi a difesa, pronti a dare l’allarme e a
ritirarsi con reazioni dinamiche locali. Era il rafforzamento della linea di
interposizione che Cialdini aveva iniziato due giorni prima, che aveva Osimo,
ove Cialdini pose il 16 settembre il suo Quartier Generale, il perno centrale.
Ad Osimo furono gironi di tensione e paura. La città
presidiata da migliaia di soldati, che aumentavano di numero di ora in ora. Chi
arriva e chi partiva. Si comprendeva anche dalle parole dei soldati stessi che
un attacco poteva arrivare sia da Ancona che da Loreto, in pratica si era tra
due fuochi. Queste paure aumentarono quanto l’indomani le truppe sarde furono
poste in allarme in quanto era stata avvista in tarda mattinata una consistente
colonna pontificia uscita da Ancona verso Camerano e si dirigeva verso la
vallata. Nel pomeriggio si sparse la notizia che le avanguardie di questa
colonna erano arrivate a San Biagio. Uno scontro a fuoco era temuto da un
momento all’altro.
La notizia si rilevò poi falsa. La colonna al comando del De
Courthen era la III Brigata operativa che, rientrata in Ancona, era uscita
dalla piazzaforte per andare incontro al De La Moricière che si sapeva essere
giunto a Loreto, ma non scese in pianura; si arrestò dopo Camerano e a sera
rientro in Ancona. Mentre la stragrande maggioranza delle truppe sarde riposava
in quel 17 settembre 1860 il presidio delle posizioni della linea di
interposizione di completavano arrivando a Monte San Pellegrino e Colle Oro,
ultime propaggini collinose verso il mare. Osimo visse un altro giorno di
angoscia e incertezza, con la popolazione che constatava di essere in mezzo ad
un campo di battaglia.
sabato 10 settembre 2022
La Campagna nella MArche. 1860
La fine del
potere temporale dei Papi.
Osimo, abbandonata a se stessa (13 -16
settembre 1860)
Lo stato d’assedio proclamato il 7 settembre 1860 in tutte le
provincie delle Marche fece capire agli osimani che la situazione era diventata
critica. Le disposizioni delle autorità pontificie erano tassative. Nessuno
usciva più di casa. Il Gonfaloniere, come allora si chiamava quello che da là di
un mese si sarebbe chiamato Sindaco, Andrea Bonfigli stava vivendo quei gironi
di settembre con estrema angoscia. Le disposizioni erano severissime: bastava
un nonnulla che si finiva in carcere con pesanti accuse. Come tutti gli osimani
aveva compreso che qualcosa di molto grosso stava accadendo, ma non si sapeva
dove andare a parare. Si teneva una riedizione dei fatti di Perugia del 1859,
ovvero una strage fra quei civili che per superficialità od altro si mostravano
ostili: i soldati del Papa, che la tradizione dileggia, erano rudi e
determinati e non esitavano a sparare in presenza di una minaccia grave e la
rivolta per loro era da reprimere senza esitazione. Il Gonfaloniere sapeva che
in Osimo vi erano esponenti mazziniani e cavourriani, e simpatizzanti, molti
dei quali in contatto con i rivoluzionari di Ancona. Ma ormai il tempo delle rivolte
era finito. Il 13 settembre giunse in Osimo la notizia che Pesaro era caduta che
le truppe “piemontesi” erano in marcia su Ancona. Il giorno dopo giunse la
notizia che Perugia era anch’essa caduta. Giunse anche la notizia che il
Delegato Apostolico di Pesaro, Mons. Tancredi Bellà, a cui fu confiscato ogni
bene, tra cui la tanto curata ed amata cantina contenente oltre 3000 bottiglie
di vino, era stato fatto prigioniero e tenuto in mutande tutta la notte in
piedi nella piazza davanti al palazzo dell’Arcivescovado., mentre uscivano di
prigione tutti i detenuti, sia comuni che politici. Era ormai chiaro che le rivolte
di Pergola, Fossombrone ed Urbino erano state un’esca, quasi una trappola per
far uscire le truppe pontificie dalle loro fortezze, per affrontarle in campo
aperto. Ora erano in ripiegamento su Ancona. Di ora in ora la situazione si
aggravava e nella giornata del 14 settembre giunse la notizia che una colonna
“piemontese” stava marciando su Osimo. Gli ultimi soldati pontifici si
raccolsero in piazza e nessuno sapeva cosa fare. Inizialmente si pensava ad una
organizzazione di difesa di Osimo imbastita in modo dilettantistico, poi arrivò
l’ordine da Ancona che tutti i militari, gendarmi, ausiliari ed impiegati
civili pontifici dovevano raggiungere la piazzaforte e mettersi a disposizione
del col. O’ Gady. In breve Osimo fu lasciata sgombra da ogni militare
pontificio ed affidata a sé stessa. Il 13 settembre, quindi, si erano
allontanati da Osimo i gendarmi e gli ausiliari pontifici e la città si trovò
priba di autorità ed ogni abitante temeva per l’incertezza del domani. Il
potere civico fu preso in mano dal Gonfaloniere Bonfigli e dal Rossi che,
servendosi dei bandisti musicali in divisa e dei loro armati, iniziarono a dare
un minimo di sicurezza alla cittadinanza inviando staffette alle truppe
Sarde ed a perlustrare le strade dei
dintorni ed a predisporre l’ingresso delle truppe sarde che era dato per
imminente
Il IV Corpo d’Armata sardo, al comando del gen. Cialdini il
14 settembre aveva raggiunto Senigallia. Inviate truppe (i Lancieri di Milano e
due battaglioni di fanteria a Rocca Priora con compiti di sicurezza), il grosso
iniziò quella manovra di interposizione che sarà la chiave di volta di tutta la
campagna delle Marche. Avuta conoscenza che una forte colonna pontificia era
dall’Umbria in marcia su Ancona (erano 8500 pontifici al comando del De La
Moricière che intendeva raggiungere Ancona per organizzare una estrema difesa)
Cialdini scelse la linea di cresta delle colline antemurale ad Ancona per
intercettarla e dare battaglia in campo aperto, cercando di evitare quindi un
assedio della piazzaforte che sarebbe stato dispendioso in termini soprattutto
di tempo.
La 7a e la 4a Divisione si incolonnarono quindi da
Senigallia, lasciando la strada litoranea per Jesi e Torre di Jesi, che furono
raggiunte il 15 settembre. Secondo le valutazioni dello Stato Maggiore del IV
Corpo d’Armata, saputo che De La Moriciére era a Macerata, questi per
raggiungere Ancona poteva utilizzare la strada Macerata- Monte Cassiano - Monte
Fano-Osimo, circa 31 chilometri, che era la più diretta. Poteva anche
utilizzare la strada Macerata – Val Potenza – Recanati – Castelfidardo (30 chilometri)
ed infine la strada Macerata – Monte Lupone – Monte Santo – Santa Maria di Potenza
– Porto Recanati – Loreto (38 chilometri). Cialdini doveva assolutamente
occupare e presidiare le posizioni di cresta tra Osimo e Castelfidardo, mentre per
le posizioni in costa tra Castelfidardo ed il mare bastava occupare le
Crocette, bloccando la strada postale Roma- Ancona. Occorreva procedere,
nonostante la stanchezza, in avanti e mettere in atto stratagemmi affinchè il
Comando Pontificio prendesse decisioni contrari ai suoi interessi. Tenendo
presente questa esigenza, il Cialdini ideò ciò che poi fu chiamata “La diversione di Filottrano”
“Persuaso che le poche
forze del generale De La Moricière lo costringerebbero per qualche giorno ad
essere cauto” scrive il Cialdini, volli
tentare di spingerlo a scegliere la strada più lunga con uno di quei stratagemmi
volgari che però riescono quasi sempre in guerra. Feci partire subito uno
squadrone di Lancieri per Filottrano, che arrivò nel cuore della notte. Secondo
gli ordini avuti il capitano dello squadrone fece gran chiasso risvegliò e
spaventò tutto il paese trattò arrogantemente il Municipio ed ordinò 24.000
razioni che io intendevo di prendere l’indomani nel mio passaggio da Filottrano
per Macerata. La cosa fu certamente creduta poiché gran parte delle chieste
razioni fu preparata ed il municipio non mancò di mandare avviso al generale
nemico” [1]
Il “volgare stratagemma” riuscì alla perfezione. De La
Moricière prese la strada più lunga e giunse a Loreto solo la sera del 16
settembre, mentre la I Brigata del generale de Pimodan arrivò solo il giorno
dopo, la sera del 17 settembre. De La Moricière aveva perso il lieve vantaggio
che aveva. Se avesse preso la strada Macerata - Monte Cassiano – Monte Fano –
Osimo: (31 chilometri) i Pontifici sarebbero passati per Osimo circa 24 prima
dell’arrivo delle truppe del Cialdini ed avrebbero raggiunto senza combattere
Ancona. Per Osimo sarebbe stata una vera iattura. Infatti in poche ore
sarebbero arrivati 8500 soldati stanchi ed affamati che chiedevano viveri.
Queste truppe erano poco controllate, composta per lo più da francesi, belgi,
irlandesi ed “indigeni” come erano chiamato gli italiani. Si sarebbero svolte
le scene che si ebbero a Loreto tra il 16 ed il 17 settembre quando molto
soldati pontifici si abbandonarono a violenze a danno della popolazione ed
anche di alcuni ecclesiastici, violenze dettate per lo più dalla ricerca
disperata di qualcosa da mangiare.
In realtà Cialdini, che era a conoscenza che le truppe
pontificie avevano 24 ore di vantaggio su di lui si pose come obiettivo l’occupazione
di Osimo. Riuscire ad occuparla, nella speranza che lo stratagemma di
Filottrano avesse funzionato, vi era speranza di impedire che i Pontifici
giungessero in Ancona. Iniziò una corsa contro il tempo dove tutto fu
sacrificato pur di raggiungere la città dei senza testa. Per Osimo questo
significò la fine del potere temprale dei Papi.
[1]
Cialdini E., Rapporto a S.E. il Generale
in capo sulle operazioni del IV Corpo d’Armata dall11 settembre al 29 settembre
1860. Documenti. In Rivista Militare Italian Volume III, Anno, V giugno
1861. Per inciso da questo rapporto si deduce che Cialdini non era il comandante
delle truppe sarde operanti, ma un subordinato. IL Comandante in Capo era il
gen. Manfredo Fanti, che aveva preparato il piano strategico di operazioni
assegnando al IV Corpo (Gen Cialdini) di occupare le Marche ed al V Corpo
(generale Morozzo della Rocca) di occupare l’Umbria, sempre sotto il suo
diretto ed esclusivo comando.