L'Ultima difesa pontificia di Ancona . Gli avvenimenti 7 -29 settembre 1860

Investimento e Presa di Ancona

Investimento e Presa di Ancona
20 settembre - 3 ottbre 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860
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Onore ai Caduti

Onore ai Caduti
Sebastopoli. Vallata di Baraclava. Dopo la cerimonia a ricordo dei soldati sardi caduti nella Guerra di Crimea 1854-1855. Vedi spot in data 22 gennaio 2013

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860
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La sintesi del 1860

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Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il Volume di Massimo Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, 18 settembre 1860, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009, pagine 332, euro 21, ISBN 978-88-6134-379-5, è disponibile in
II Edizione - Accademia di Oplologia e Militaria
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giovedì 22 dicembre 2022

mercoledì 30 novembre 2022

La campagna nelle marche 1860 I Martiti di Castelfidardo

 


Mentre le autorità sanitarie dell’esercito rilasciavamo attestati di lode al comportamento della popolazione di Osimo nei confronti dei feriti di entrambe le parti dello scontro del 18 settembre, da parte legittimista pontificia arrivarono pesanti accuse verso gli osimani.

In numerose testimonianze raccolte i feriti pontifici ebbero a lamentarsi del trattamento ricevuto. Queste lamentele furono raccolte in un volume, I Martiri di Castelfidardo”  da parte del De Segur, dando vita al mito dei legittimisti francesi e belgi che accorsero in Italia a salvare dalla rivoluzione la Cattedra di San Pietro e sacrificarono tutto, anche la loro vita, come i primi martiri durante le persecuzioni degli imperatori romani. Un mito molto forzato, anche in relazione a certi comportamenti dei soldati che, soprattutto a Loreto il 16 ed il 17 settembre non si comportarono in modo corretto verso la popolazione. DE Segur, che avrebbe fatto meglio ad intitolare il suo volume i “Martiri di Loreto” non avvalorando il nome di quello che “i nemici” avevano scelto  per il combattimento del 18 settembre, porta varie testimonianze.

Riguardo alla morte di Arturo, conte di Chalus, da Nantes scrive;

“Fu con altri feriti trasportato allo spedale di Osimo e stette calmo ed intrepido sopra l’insanguinario convoglio del suo dolore …. Dopo morto fu spogliato di tutto quello che aveva e non si si pote pure trovare la corona per mandarla alla famiglia. Fu sepolto ad Osimo. I Piemontesi non vollero che fosse scolpita sul suo sepolcro una iscrizione in memoria del suo valore e del suo coraggio.”[1]

La testimonianza di Giacinto Lanascot è la seguente

“.. finita la battaglia, i Piemontesi ci si cacciarono addosso come tigri per depredarci, e senza punto guardare se eravamo feriti ci malmenarono in modo orribile. Io portavo in dosso seicento franchi, e me li rubarono senza lasciarmi un soldo. Mi strapparono da dosso la medaglia datami dal Papa quindi le mie due pistole. Eccovi caro padre detto in buona parte come mi trovo”.

 



[1] DE Segur, A., I Martiri di Castelfidardo”, cit., pag. 173

domenica 20 novembre 2022

La campagna nelle Marche 1860 Il dopo

 

OSIMO E LE CONSEGUENZE DEI COMBATTIMENTI DEL 18 SETTEMBRE 1860

Osimo visse la giornata del 18 settembre con apprensione, immediata retrovia del campo di battaglia.

Terminati i combattimenti, nel primo pomeriggio del 18 settembre questi “era nel più completo abbandono per la fuga dei pontifici e per la scarsità dei servizi di cui poteva disporre l’esercito piemontesi, molti concittadini si recarono con vetture sul luogo e diedero a soccorrere i feriti, portandone in parte a Loreto e negli istituti, non solo ed un po' nelle varie chiese ad eccezione della Cattedrale (di Osimo) e di quelle troppo piccole, ed un po' nelle case private. Le signore e le donne della autocrazia e del popolo fecero a gara nel preparare le bende e nell’assistere i degenti. Quel giorno (18 settembre ) era la festa del nostro patrono San Giuseppe da Copertino ma, come ci raccontano i nostri vecchi che ne furono testimoni mentre sul presbiterio si salmodiava e si dava la benedizione ai pochi fedeli, si udivano i lamenti dei feriti giacenti sui lettucci di fortuna, sistemate nella parte della chiesa più prossimi all’ingresso principale e separata dal resto a mezzo di un tendone”[1]

Dal 13 settembre, come detto, il Gonfaloniere Bonfigli aveva assunto i poteri civili a seguito del ritiro dei gendarmi e degli ausiliari e di ogni autorità pontificia su Ancona. Su sua iniziativa il 18 settembre fu costituito un Comitato, di assistenza e soccorso composto da FR.E. Lor. Fiorenti, B.Bellini, Aug. Sinibaldi, Ant. Landinelli e Fr. Mazzoleni conb Fr. Petrini come segretario.

All’indomani del 18 settembre, passato il primo momento della raccolta e della sistemazione dei feriti, la situazione fu presa in mano in Osimo dal Cav. Alessandro Landinelli aiutato da suo fratello Antonio. I feriti furono smistati tra l’ospedale Comunale, detto anche Ospedale Vecchio, un ospedale allestito alla chiesa di San Marco, un terzo ospedale allestito a San Niccolò, un quarto ospedale a San Silvestro, un  quinto all’Orfanatrofio femminile, che aveva un appendice nel vicino Palazzo Pini, ed il sesto a San Francesco.

La organizzazione sanitaria dell’esercito sardo seguiva le connotazioni logistiche dell’epoca. Prevedeva una assistenza ai combattenti dall’indietro in avanti. Un ospedale da campo era stato impiantato ad Osimo diretto dal dott. Zavattaro, mentre un ospedale di prima linea , diretto dal sottointendente Luino, era stato dispiegato a Castelfidardo.[2] Alla Chiesa di Crocette erano dislocate le ambulanze della 4a Divisione (dott. Lai) e della 7a Divisione (Dott. Loretti) ed altri elementi dei servizi sanitari comprese le ambulanze reggimentali dei reparti ivi gravitanti. La Chiesa delle Crocette divenne il centro ove affluivano i feriti e presto si trasformò in un vero e proprio luogo di degenza. Nel suo cortile si provvide a sotterrare i Caduti.

Secondo la ricostruzione di Don Carlo Grillantini il 15 ottobre ad Osimo erano ancora degenti 315 feriti. A San Francesco, anche se non vi sono documenti scritti ma solo una testimonianza orale, Padre Cesanelli, afferma che i frati dovettero per qualche tempo girare nel loro convento camminando tra i letti dei feriti. Negli ospedali di Osimo prestavano servizio una decina di medici, oltre agli infermieri ed a quattro cappellani cappuccini, mentre le suore, Figlie della Carità, ed altro personale civile coadiuvavano il personale medico.

Nelle prime ore dopo i combattimenti emerse un dato che trova riporto nella relazione di Cialdini a Fanti. Vagavano sul campo di battaglia loschi figuri tutti intenti a spogliare i cadaveri e a depredare i feriti. Questa situazione può aver innescato un comportamento di reazione dei feriti verso chi li voleva soccorrere, scambiati per predatori. . Nel rapporto di Cialdini a Fanti la sera del 18 settembre viene evidenziato il comportamento dei soldati pontifici feriti di origine tedesca o svizzera di lingua tedesca che continuarono a combattere anche dopo essere stati feriti o essere fatti passare per finti feriti. Il rancore che questi provavano verso l’elemento indigeno, come lo chiamavano, ovvero italiano era al di sopra delle righe. Molto di questo personale, peraltro, proveniva da un reclutamento verso individui che volevano correre certe avventure, quindi moralmente deficitario. Aggiunto al fatto che elementi locali si diedero allo sciacallaggio si ha un quadro abbastanza esaustivo di questi tristi episodi.

Questo diede vita a una serie di polemiche sulla stampa nazionale e internazionale, soprattutto In Francia e in Belgio, a tutto danno della immagine delle nostra terra e dei suoi abitanti.  Osimo, divenne la metà di tanti viaggio, intrapresi dai parenti che volevano andare a visitare i proprii cari feriti o ammalati. (continua)



[1][1] Grillantini C., Storia di Osimo,  Pinerolo, Scuola di Tipografia Cottolengo, 1969, Vol II dal 1860 ad oggi. Pag. 703.

[2] Il Personale sanitario dell’esercito era considerato civile assimilato alla organizzazione militare. Prevdeva medici divisonali di 1° e 2° classe. Medici reggimentali di 1° e 2° classie, medici di battaglie di 1° e 2° classe  e medici aggiunti. CFr. Ales S., Dall’Armata sarda all’Esercito Pontificio 1843 -1861, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1990 pp. 157 e segg.

lunedì 31 ottobre 2022

Da una storia a La Storia

 


La cattura del generale De La Moriciére non fu voluta?

18 settembre 1860 (II Parte)

 

A sostegno della tesi che il generale De La Moricière non fu volutamente catturato dalle truppe sarde su ordine superiore del Comando Sardo, ovvero di Cialdini o uno dei suoi sottordinati per evitare complicazioni internazionali o altro l’Autore di questo scritto[1] porta testimoni oculari. Riportiamo le loro testimonianze:

Doga Celeste fu Antonio, pensionato garibaldino, ora ( 1910 n.d.a) residente al Poggio (frazione del Comune di Ancona) ascrisse di essere stato guida di una compagnia di soldati partiti da Camerano per troncare la ritirata del Lamoricère[2] . Al capitano gli disse che la strada breve e sicura per riuscire, era la strada di terra, tuttora esistente, detta dei Molini (lungo il torrente Boranico) che mena a quella del Trave, precisamente per dove più tardi avrebbe dovuto transitare il generale nemico. Da notarsi che il Doga per il suo mestiere di calderaio specialmente della campagna di Camerano e dintorni era molto pratico. Ma il capitano rispose che aveva l’ordine di andare a Massignano[3] e vi si fece guidare. Ivi giunto seppe che il Lamoriciere s’era fermato al convento dei Camaldolesi[4] sulla vetta del Conero da dove dopo una breve refezione era partito seguendo i sentieri del monte e costeggiando la frazione di Poggio fino al Trave.

Esclamò allora quel capitano “Che sbaglio abbiamo fatto.” come testimonia Giovanni Tangherlini fu Angelo ottantenne (siamo sempre nel 1910) ora residente al Poggio, e in quei tempi a Massignano.[5]

Questi lo guidò al Poggio stesso, ma troppo tardi che già il Lamoriciere s’era avvicinato ad Ancona, senza che si potesse più sperare di raggiungerlo.

Del tragitto percorso da Lamoriciere, come ho indicato più sopra, ho raccolto numerose testimonianze le quali tutte confermano che assolutamente si è cercato di inseguirlo, senza volerlo mai raggiungere, col troncagli la strada.[6]

Ora resta a domandarsi. Proprio vero che quel capitano di cui nessuno ha saputo dirmi il nome[7], s’era sbagliato, o è vero invece ch’egli avesse avuto ordini tassativi dai suoi superiori di lasciare liberamente entrare il Lamoriciere in Ancona per tutto predisporre alla difesa? [8] Se fosse vera questa seconda ipotesi, quali ragioni devono aver influito su tale decisione? [9]

Nella ricostruzione già fatta[10] emerge nella sua oggettività tutta la cronologia degli eventi, che permette già di rispondere a questa ricostruzione: l’intera vicenda si svolse dalle 13,30-14 alle 17,30 del 18 settembre 1860. Dal momento in cui il De La Moriciére, rendendosi conto della situazione tattica, ormai compromessa, da l’ordine di raggiungere Ancona o di mettersi in salvo a Loreto a tutte le sue truppe, fino a che non giunse in Ancona, alla Piazza del Teatro delle Muse alle 17,30. Le vie di scampo per i soldati pontifici erano tre: verso nord, verso Ancona che era l’obbiettivo per cui si erano messi in marcia il 13 settembre dall’Umbria, la via verso sud, lungo la litoranea, detta della “marina”, oppure ritornare a Loreto, da dove erano scesi quella mattina del 18 settembre. 

De La Moriciére scelse delle tre vie, quella nord, verso Ancona; passato per i poggi di Umana (Numana) raggiunse il convento dei Camaldolesi introno alle 15, si fermò quindici minuti e intorno alle 15,45-16 era al Poggio per poi proseguire su Ancona, dove arrivo alle 17,30, raccolto dai comandanti pontifici sulla piazza davanti al Teatro delle Muse.

Un dato viene dato per scontato. Nelle prime ore del pomeriggio come faceva il Doga a sapere che De La Moriciére sarebbe transitato per quella strada? Come faceva a sapere gli esiti degli scontri della mattinata a ridosso del Musone e la decisione del De La Moricière di prendere la via nord per raggiungere Ancona? Così pure, il generale Cugia di Sant’Orsola da Camerano mandava elementi della sua brigata in avanti dando l’ordine di catturare tutti i soldati pontifici incontrati impedendo loro di raggiungere Ancona. Nel contempo, verbalmente, perché per iscritto non risulta, dare l’ordine che se si fosse incontrato il gen De La Moriciére (ma lui come faceva a sapere che era per la via di Ancona?) lo si doveva tassativamente lasciarlo passare?

Nel momento in cui alle 14 - 14,30 Cialdini giunse sul campo degli scontri, che erano praticamente terminati, giungendo da Osimo, i suoi subordinati avevano già dato gli ordini per sfruttare il successo. Su ordine del generale comandante la Brigata Regina, Colonnello Brigatiere Avenati, il 9° Reggimento fanteria[11] mosse verso l’Aspio e passatelo, puntò decisamente su Numana che a quel tempo si chiamava Umana. Raggiuntela, riuscì a intercettare e disarmare 19 ufficiali e 223 soldati pontifici.[12]

Il Generale Cugia di Sant’Orsola, alle prime luci dell’alba del 18 settembre, come visto nella precedente nota, aveva occupato Camerano, ma aveva assunto un atteggiamento prettamente difensivo, dovendo garantire le spalle ai reparti che combattevano fronte sud. L’evolversi della situazione fece sì che non prima delle ore 14 il Cugia cambiasse atteggiamento, passando a quello offensivo. Da Camerano era facile bloccare ogni litoranea per Ancona. Infatti, come detto, fu dato ordine ad elementi della brigata di procedere per colonna ad occupare Massignano. Occupatela intorno alle 15,30-16, un drappello di 25 uomini al comando del cap. di Stato Maggiore Mazzoleni si spinse oltre ed occupava i poggi sopra Sirolo. Il cerchio era chiuso. Se si considera che i combattimenti cessarono intorno alle 14 e due ore dopo tutte le vie litoranee verso Ancona erano chiuse, si può dire che i comandanti Sardi agirono di iniziativa in modo veramente encomiabile.  Nei quindici rapporti esaminati dei Comandanti presenti sul campo non vi è traccia di ordini o altro relativi alla disposizione di non catturare il De La Moricière.[13] Soprattutto quello del generale Cugia di Sant’Orsola, che inviò elementi della sua Brigata a Massignano, né in quello del cap. Mazzoleni. Gli ordini erano chiari per tutti: catturare il maggior numero possibile di soldati pontifici impendo che questi raggiunsero Ancona.

Una grande operazione di omertà tacere questo ordine? Favorire l’arrivo in Ancona del Comandante in Capo, affinchè organizzasse al meglio la difesa. Certamente Fanti avrebbe chiesto precise spiegazioni a Cialdini di questo ordine che contraddiceva tutti quelli emanati in precedenza. Nel rapporto delle ore 21 del 18 settembre 1860 a Fanti, Il Cialdini, nel descrivere la giornata appena trascorsa, scrive…

“IV Gran Comando Militare. Osimo[14] 18 settembre 1860 ore 9 sera.……ho battuto De La Moricière che è tornato a Loreto……

Le mando direttamente questo rapporto onde l’E.V. manovri per tagliare la ritirata al corpo di La Moriciére che non ha altra via fuorché quella che da Loreto per Porto Recanati lungo il mare conduce a Fermo. Le sue truppe devono essere in uno stato di completa demoralizzazione. Per conto mio farò quello che posso per inseguirlo.”[15]

Cialdini mostra tutta la volontà di catturare il maggior numero di soldati pontifici compreso il loro Comandante in Capo. Inoltre è convinto che De La Moriciére sia a Loreto e l’unica via aperta è quella per Fermo. Non sa che il De la Moriciére ha preso la via di Ancona, ove è arrivato alle 17,30.

 

Il De La Moricière riuscì a raggiungere[16] Ancona perché si muoveva a cavallo, mentre le truppe sarde che furono impiegate per chiudere le strade per Ancona si muovevano a piedi. Nonostante la celerità degli ordini e la loro esecuzione immediata, il De La Moriciére riuscì a non farsi intercettare solo per poche decine di minuti, al massimo una mezz’ora. In guerra avere un po' di fortuna non gusta mai.

Sul campo da parte pontificia vi erano solo due generali, il De La Moriciére e il de Pimodan. Come facevano i testimoni oculari a sapere chi dei due generali era il De La Moriciére? Come facevano a sapere che il de Pimodan era stato ferito solo quattro ore prima ed ora era all’ambulanza delle Crocette?  Il fatto che tutti parlano decisamente del De la Moricière é veramente sospetto. L’Autore conclude il suo articolo con due bei paragrafi

“Non a me, umile raccoglitore di notizie storiche è dato significare una risposta esauriente. Ad altri quindi conoscitori profondi delle condizioni politiche nazionali ed internazionali di quei tempi lascio la parola. A me basta aver trovato conforto di testimonianze le quali ancora una volta assodino che se il generale Lamoriciere nella sua ritirata si trova fuori della portata dei cannoni, non fu abilità la sua, e che fu imperizia o altro da parte dell’esercito piemontese l’essere riuscito senza moleste a scappare da Castelfidardo ad Ancona.”

Conclusione che non può essere accettata, per evitare che si crei una nuova versione dei fatti basata su quello che si vuole che sia stato e non quello che è stato: gli ingredienti ci sono tutti: i testimoni oculari prima di tutto. Sono testimonianze da prendere con le molle. Dopo cinquant’anni dagli avvenimenti si può raccontare di tutto ed il contrario di tutto. Il De La Moriciére riuscì a sfuggire alla cattura perché aveva il vantaggio dell’iniziativa e si muoveva a cavallo. Infatti in quel tardo pomeriggio del 18 settembre ad Ancona giunsero solo e solamente dei cavalieri; i soldati a piedi giunsero nella nottata. Accusare di “imperizia l’esercito piemontese” è offensivo; è vero il contrario: i comandanti furono intelligenti, attivi e decisi. Per “o altro” (questa è dietrologia che è sempre un buon ingrediente per storie accattivanti) non è necessario spendere parole. Accusare i Comandanti sardi, non sapendo nemmeno dove fossero (Si cita il generale Morozzo Della Rocca che il 18 settembre era a Perugia in quanto il 23 settembre prende alloggio a Camerano) e quale era il loro ruolo, di aver dato l’ordine di non catturare il De La Moriciére per ragioni oscure ed inconfessabili, si aggiunge a tutto quel affastellamento di “fake news” che avvolge ancor oggi questi eventi. Ed ancora in molti ci vanno dietro.

 De La Moriciére poi non mise mai piede a Castelfidardo. Lui raggiunse Loreto dall’Umbria ed operò da Loreto e nella piana di Loreto; nelle sue memorie cita questa località poche volte, e sempre in modo indiretto e subordinato.

E’ sempre un buon esercizio l’esegesi di testi e confrontarli con le fonti, di tentare di scrivere la Storia, in generale, e la Storia Militare in particolare.[17] Ovviamente si è a disposizione per ogni eventuale approfondimenti.



[1] La Cattura del generale Lamoriciere non fu voluta? In “Per il primo centenario della liberazione delle marche, numero unico pubblicato dall’Associazione Marchigiana per la Storia del Risorgimento italiano, Roma, 1910.

[2] Vedi oltre. Erano i reparti della Brigata Como in azione su ordine del gen. Cugia di Sant’Orsola

[3] Ordine dato dal generale comandante la Brigata, volto a sbarrare la strada ai soldati pontifici che avevano preso la via di nord est verso Ancona.

[4] Il De La Moricière raggiunge il Convento dei Camaldolesi alle 15 circa e vi sosto 15 minuti. Come faceva il testimone a sapere quanto successo quarantacinque minuti prima?

[5] Certamente sarebbe stato un bel colpo aver catturato il Comandante in Capo nemico. Forse il rammarico sta tutto qui.

[6] Sarebbe interessante sapere le testimonianze raccolte, che certamente sono dei civili. Nei rapporti dei comandanti sardi, come si dirà oltre, non vi è traccia di questo argomento.

[7] Era il cap. di Stato Maggiore Mazzoleni, che a Massignano ebbe il compito di proseguire verso ovest e raggiungere i poggi di Sirolo con il compito di fermare tutti i soldati pontifici che incontrava e farli prigionieri.

[8] Furono impiegate diverse compagnie a comando dei loro capitani. Dare ordini tassativi a livello di compagnia, cioè ai capitani, avrebbe significato, come si dirà, che nei rapporti successivi dei predetti capitani questo sarebbe stato rilevato. In nessun rapporto emerge questo dato.

[9] Il fascino delle storie raccontate e non documentate è tutto qui: lanciare interrogativi, mettere i dubbi, creare situazioni, sperando che il sassolino inizia a rotolare e trasformarsi in valanga.

[10] Coltrinari M., La Giornata di Castelfidardo 18 settembre 1860. Il passaggio delle Marche dallo Stato preunitario allo Stato nazionale, Castelfidardo, Fondazione Duca Roberto Ferretti di Castelferretto Italia Nostra Onlus Sezione di Castelfidardo Lions Club Recanati Osimo, 2008, pag. 177 e segg.

[11][11] Due battaglioni e se compagnie al comando del ten. col. Duranti.

[12] Rapporto al Sig. Comandante generale la 4° Divisione attiva (al campo Quadrivio di San Biagio, 22 settembre 1860. Il Comandante la Brigata Regina Colonello Brigatiere Avenati, in Ministero della Guerra Corpo di Stato Maggiore Ufficio Storico, La Battaglia di Castelfidardo, Roma Tipografia del Genio, 1903.

[13] Se l’ordine era stato effettivamente dato, anche verbale, una traccia nel rapporto del subordinato ci doveva essere a giustificazione che sì era stato eseguito. 

[14] Notare che questo rapporto porta la data del 18 settembre 1860 ed indica come sede del Quartier Generale del IV Corpo Osimo.

[15] Coltrinari M., La Giornata di Castelfidardo 18 settembre 1860. Il passaggio delle Marche dallo Stato preunitario allo Stato nazionale, cit. pag. 190

[16] Il totale dei soldati pontifici che raggiunsero Ancona furono 127 Cavalieri, 29 fanti, alla spicciolata favoriti anche dalla loro esiguità, e 17 via mare nei giorni successivi. Questo risultato è la vera sconfitta per il De La Moricière: degli 8500 uomini partiti dall’Umbria che dovevano rinchiudersi in Ancona e dare vita ad una resistenza ad oltranza, giunsero solo 173 uomini pari a poco più del 2%.

[17] L’oggetto di queste due note sarà parte integrante dell’aggiornamento del Modulo di Storia del Risorgimento al Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea dal 1796 al 1960. IV Edizione attivato presso la Università degli Studi N. Cusano Telematica Roma (www.unicusano.it/master) di cui l’Autore vi è il Direttore Scientifico e Docente.

giovedì 20 ottobre 2022

Da una storia ad una storia

 

Da una storia a La Storia

La cattura del generale De La Moriciére non fu voluta?

18 settembre 1860  (I Parte)

 

Massimo Morroni dovrà mettere in campo tutta la sua cortesia ed il suo autocontrollo se, dopo dieci anni dalla richiesta, provvedo a dargli una risposta. Correva l’anno 2011 ed eravamo nel pieno delle celebrazioni del 150° anniversario degli avvenimenti del 1860. Si è sentito di tutto in quelle rievocazioni, in una corsa davanti ai microfoni delle televisioni ed alle pagine dei giornali a chi ne sapeva di più. Il livello, ovviamente, di tali interventi non avrebbe fatto fare salti di gioia a ricercatori avvezzi al rigore scientifico in tema di storia, mal la storia non è la medicina, per la seconda tutti hanno un timore reverenziale e non ne parlano e leggono la ricetta del medico come fosse il vangelo rilevato anche quando prescrive la crema omeopatica per i calli, per la prima tutti si sentono autorizzati non solo a parlare ma anche a dare interpretazioni definitive e assolute.

In questo bailamme onirico, mi arrivò la richiesta di Massimo Morroni: chiedeva di dare una parere con risposta ad una pubblicazione dell’agosto 1910  dal titolo “La cattura del generale Lamoricière non fu voluta?”[1]

La conclusione dell’articolo così recita. “… a me basta aver trovato conforto di testimonianze le quali ancora una volta assodino, che se il generale Lamoriciere nella sua ritirata, si trovò fuori dal tiro dei cannoni non fu abilità la sua, e che imperizia o altro da parte dell’esercito piemontese, l’essere riuscito senza molestie a scappare da Castelfidardo ad Ancona”[2]

Lo Sgarbi che abbiamo ascoltato a luglio in Osimo avrebbe e non solo avrebbe usato termini all’indirizzo dell’autore che il lettore facilmente può immaginare quando è di fronte a tante bugie, insulti e conclusioni frutto solo di ignoranza e arroganza. In questa conclusione non vi è niente di vero, eppure quando si chiama in ballo “l’imperizia” di un esercito, qualche relazione, qualche libro occorreva leggerlo e controllate con dati di fatti tale asserzione.

Il tema, in ogni caso, è quanto mai intrigrante. Un vero giallo. In pratica si sostiene che dopo gli eventi dello scontro del 18 settembre 1860 il Comando sardo diede disposizioni per non catturare il capo dell’armata pontificia. A sostegno di ciò si portano testimonianze (raccolte nel 1910) di testimoni oculari che asserivano questa tesi. Per giungere alla conclusione di cui sopra.

Chi fa storia sa che, se si vuole avere successo, soprattutto editoriale, non devi scrivere ciò che constati dai documenti oggettivi raccolti, ma quello che il pubblico a cui ti rivolgi vuole che tu dica, che l’editore ha le sue esigenze, che il marketing pure, che il “political correct” va rispettato, che qualche piacere bisogna pur farlo, che il Presidente della Fondazione, della Banca, dell’Istituto Onnicomprensivo ecc. ha un figlio  che vuole scrivere di storia e via con le note litanie del caso che non sono proprio lauretane. Ne abbiamo avuto una testimonianza ad Osimo, il 16 luglio 2021, quanto il noto giornalista Paolo Mieli, nel tessere le lodi degli scrittori locali, tra cui ovviamente Massimo Moroni, sostenendo che le loro opere sono genuine, non sono condizionate ne dall’editore, ne dal pubblico ne da altro e quindi questi scrivono quello che credono sia giusto scrivere. Lodi giuste. Ovviamente è vero, se lo dice Paolo Mieli, anche il contrario, che è la tesi sopra esposta se vuoi avere successo non seguire la strada degli scrittori locali, scrivi quello che vogliono che tu dica, come la “ritirata” di Lamoriciere” l’ordine di non catturalo, l’imperizia di un esercito ecc., ovvero scrivi una storia, non La Storia

Passati dieci anni, insistendo per non cercare di acquisire successo e notorietà popolari, e qui chiamo come testimone Luca, che sa quanti dei miei libri sono venduti, rispondo a Massimo Morroni.

Capoverso per capoverso, scritto in corsivo, riporto il testo inviatomi

“E’ noto come, non appena decisa la battaglia di Castelfidardo. Il generale Lamoriciere, con parte del suo Stato Maggiore tentasse la ritirata in Ancona, prendendo la via della marina, cioè Numana, Sirolo, Monte Conero strada Trave Ancona”

Il comandante in capo dell’Esercito pontifico gen. Cristoforo De la Moricière[3], che aveva come obbiettivo di portare in Ancona il maggior numero di soldati, verso le 12-12, 30 (lo scontro era iniziato alle 9,20) dopo il ferimento a morte del gen De Pimodan alle 11,30, finalmente diede l’ordine a tutti i combattenti, di cercare di svincolarsi dai combattimenti e puntare verso nord, cioè verso Ancona. Non vi è qui lo spazio per la descrizione del bel piano tattico che ideò e che verso le 11.00 era riuscito ad attuare. Un ordine arrivato troppo tardi che costò caro ai pontifici. In Ancona degli 8500 uomini ne arrivarono solo 127 il quel 18 settembre una decina nei giorni successivi. Non si tratto quindi di una “ritirata”, ma di una “avanzata” per raggiungere Ancona, che è alla base del piano strategico messo in atto il 12 settembre. Dato l’ordine, il De La Morciere ed i suoi ufficiali e le truppe a lui vicine lo misero in atto.

“Ebbene, più volte mi sono chiesto come da Camerano, dove erano 8 pezzi di artiglieria, ed un generale, Il Della Rocca che risiedeva nella casa del marchese Giulio Manciforte, non si fosse fermato il fuggiasco e catturato. Non sapevo spiegare questo fatto se non con con l’ammettere che nessuno s’era accorto della ritirata del Lamoriciere o che assolutamente, forser per evitare complicazioni internazionali, non fi fosse voluto arrestare. Sempre piùm però mi venivo confermando in questa seconda ipotesi perché contenporanei della battaglia, tuttora viventi, tra il quali il segretario del comune di Caemrano, signor Leonardo Zoppo, ricordano di aver veduto benissimo a occhio nudo, il Lamoriciere e gli altri a cavallo e di aver scroto col cannocchiale perfino i filetti delle monture. Dunque?

Di questi giorni,[4] In questa rinnovata primavera della patria,ho voluto procedere ad una inchiesta sul fatto, e bebche nulla ( mi è stato assicurato) risulti negli archivi del Comune di Camerano, ne alcuna mermoria scritta risulti inpropositoin casa del marchese Manciforte, da testimonianze di vecchi che conservano piena lucidità di mente, m’è stato confermato che non si è voluto assolutamente arrestare il capo delle orde papaline.”

La tesi oggetto dell’inchiesta è che il Comando Sardo diede ordini di non catturare De La Moricière e di lasciarlo libero per raggiungere Ancona.

Vedremo in una prossima nota le testimonianze oculari portate a sostegno di questa tesi. Adesso si può inizialmente dire che dare ordine di non catturare il comandante in capo nemico sul campo e lasciarlo libero di entrare in Ancona, dove avrebbe assunto il comando della difesa, sarebbe stato un grave errore. Si permetteva al nemico di avere un generale, il comandante in capo, al comando della piazzaforte che si doveva investire, non è certo una scelta intrelligente, contrari ali interessi propri. Cialdini pochi giorni prima aveva fatto arrestare a Pesaro mons. Bella, delegato apostolico, e tratto in modo insultante ed indecoroso. Si sostiene che potevano esserci delle complicazioni internazionali. L?estensore dell’articolo sapeva che De La Moricière fu fatto prigioniero il 29 settembre successivo ed imbarcato su una nave il 3 ottobre ed inviato a Genova per essere messo in libertà.

Ma l’errore grave dell’estensoreè di carenza di conoscenza dell’evolversi dei fatti. Il responsabile di tale ordine dovrebbe essere, secondo lui, il gen. Morozzo della Rocca, che aveva preso alloggi a Camerano nella villa dei marchesi di Manciforte.

Ebbene quel 18 settembre 1860 il gen. Morozzo della Rocca, comandante il V Copro d’Armata era al suo Q.G. a Perugia. Il giorno dopo 19 settembre, lo raggiunse l’ordine, dopo gli esiti dello scontro di Castelfidardo, di dirigere il suo Corpo d’Arma nelle Marche. Cosa che fce ripercorrendo la strada che il De La Moriciere con i suoi uomini aveva percorso dieci giorni prima. IL 23 settembre si incontrò a Lreto, con Cialdini, Persano e Fanti, e ricevette l’rdine di portare lungo la marina le sue truppe, per dare l’assalto finale ad Ancona. Raggiunge Camerano il 24 settembre e prese alloggi presso la villa del  marchese Manciforte.

Quindi un errore macroscopico asserire che Morozzo della Rocca diede l’ordine di non catturare il De La Moricière per il semplice fatto che era a Perugia.

Camerano, il 18 settembre 1860 era stata occupata dal 23° Reggimento fanteria della Brigata “Como” con la sua batteria  ( qui il dato è esatto, 8 pezzi) su ordine del Generale Cuglia di Sant’Orsola, che ricevette gli elogi del Cialdini per questa iniziativa. Ma era una mossa preventiva per contrastare eventuali uscite pontificie da Ancona come era successo il giorno innanzi. Cugia occupò Camerano nella prima mattina del 18 settembre, ma basta guardare la carta, non era assolutamente in gradi di sbarrare il cammino di De La Moriciere , ammesso che Cugia alle 16 del 18 settembre avesse avuto la notizie che De La Moriciere si stava dirigendo su Ancona.

Tirando le somme di questa prima parte al commento dello scritto si può dire che l’impianto di ricerca dell’Autore è completamente errato, e quindi, le relative conclusioni errate. Vedremo nella prossima nota come questa narrazione sia stata suffragata da testimoni oculari.

   Meridiana settembre 2021



[1] Pubblicata su “Per il primo cinquantenario della liberazione delle Marche”, numero unico pubblicato dall’Associazione Mrchigiana per la Storia del Risorgimento Italiano, Roma, 1910”

[2] Ibidem

[3] La scritta “Lamoriciere” è una storpiatura del vero nome, De La Moricièere.

[4] Siamo nel 1910 nei giorni che si celebravano il cinquatenario degli avvenimenti.

sabato 17 settembre 2022

La Campagna nelle Marche 1860

 

Osimo in mezzo al campo di battaglia: 16 - 17 settembre 1860

Alle 23 del 15 settembre le avanguardie del IV Corpo d’Armata da Torre di Jesi si misero in marcia con destinazione Osimo, obiettivo primario della manovra. In testa il VII Battaglione Bersaglieri seguiti da una sezione della 4a Batteria, poi da tutta la Brigata “Como” e dal resto della 4a Batteria. Le truppe si misero in marcia quasi digiune, non essendo potuto arrivare a Torre di Jesi, per la tendenza della strada, il carreggio dei viveri. La marcia durò fino alle 5 del mattino del 16 settembre. Via via che arrivavano in Osimo le truppe prendevano posizione, ma vi arrivarono stremate. Appena giunti i soldati si stendevano in terra, allentandosi le buffetterie e slacciandosi la divisa. Non diedero un buon spettacolo e l’impressione, per gli Osimani, non fu delle migliori. Si temevano reazioni scomposte, con la diffidenza che si ha per truppe che erano considerate “straniere”. Anche per questo, per evitare tali reazioni, la popolazione iniziò ad offrire pane, formaggio, frutta e vino. Passate le prime ore, ci si accorse che queste truppe erano saldamente in pugno ai propri ufficiali; presto corse voce che avevano avuto precise disposizioni di rispettare ogni cosa, anche le proprietà ecclesiastiche e di non reagire se non in presenza di azioni di fuoco.     

Osimo fu presidiata nel seguente modo: col 24° Reggimento fanteria della Brigata “Como” si pose in riserva al centro della città, pronto ad intervenire. Due battaglioni del 23° Reggimento fanteria della stessa brigata furono posti a presidio della porta che guardava verso Ancona (San Marco); gli altri due battaglioni del 23° Reggimento Fanteria si misero a presidio della strada proveniente da Filottrano. Metà della 4a Batteria a sostegno del 23° Reggimento e l’altra a sostegno del 24° Reggimento. Una sezione (due pezzi) fu messa in batteria a Piazza Nuova, ove oggi una targa ricorda questo suo posizionamento. In pratica Osimo, con oltre 900 soldati schierati, era fortemente presidiata. Per tutta la giornata del 16 continuarono ad arrivare le truppe rimanenti

Come sempre in guerra, le notizie sono confuse, contradittorie, parzialmente non vere e false. Cialdini nel movimento verso Osimo ricevette la notizia raccolta da alcuni contadini che De La Moricière era da Macerata in marcia su Filottrano e quindi puntava su Torre di Jesi. Non fu creduta per vera, ma per precauzione fece presidiare dal 16° Reggimento Fanteria Torre di Jesi. Il resto del IV Corpo ebbe l’ordine di raggiungere Osimo nella giornata del 16 settembre. Jesi e Torre di Jesi divennero la base logistica arretrata del IV Corpo d’Armata, mentre la linea operativa di interposizione alla sera del 16 settembre era Osimo. Anche per questo Cialdini riteneva con l’arrivo in Osimo che le posizioni raggiunte fossero sufficienti per interporsi alle forze pontificie provenienti da sud e dirette ad Ancona. La conquista di Osimo fu una brillante azione a carattere logistico che impegnò a fondo le truppe sarde, che dovettero operare in condizioni non certo ottimali, tanto che giunsero sulle posizioni stremate.

 Si legge nel Diario del IV Corpo d’Armata:

“Non fu mai vista stanchezza che uguagliasse quella delle truppe in questa giornata (16 settembre 1860, n.d.a.). gettandosi nei fossi e nelle campagne vicine, erano sorde alla voce dello stesso generale. Si aggiunga che i carri ed i viveri, i parchi e le riserve viveri tutte rimaste indietro per la natura del terreno e la rapidità della marcia. Onde che le divisioni passarono letteralmente 24 ore senza mangiare.”[1]

Il Generale Cialdini nel suo rapporto al Generale Fanti ebbe modo di scrivere:

Le salite e le discese di Torre di Jesi quindi l’erta di Osimo allontanarono di nuovo i viveri dai battaglioni; il calore del giorno fu eccessivo; le truppe arrivarono rassegnate fino ad Osimo, ma quelle che dovettero avanzare a Castelfidardo ed alle Crocette oppresse dalla fatica dalla sete e dalla sferza del sole e dalla mancanza si sufficiente alimentazione giunsero in uno stato di prostrazione che le faceva assolutamente incapaci di sostenere il benché minimo combattimento”.[2]

Questa manovra di interposizione ricorda alla lontana la manovra napoleonica di Ulm, in cui con marce estreme, il Corso riuscì a far capitolare per manovra l’intera guarnigione austriaca di 30.000 uomini. Con la sua manovra, Cialdini pose le premesse per la vittoria dello scontro del 18 settembre.

Via via che giungevano ad Osimo, le truppe a rincalzo scavalcavano quelle che avevano preso posizione e proseguivo verso est. Fu disposto che, al comando del Comandante la Brigata “Bergamo” proseguissero per San Sabino, Castelfidardo Crocette il II ed il XXVI Battaglione Bersaglieri, il Reggimento “Lancieri di Novara” e la 5a Batteria. Gli ordini per queste truppe erano chiari: raggiunto il quadrivio delle Crocette, spingersi verso i ponti di Loreto, se trovati intatti e sgombri da forze nemiche tagliarli e renderli impraticabili. Indi organizzarsi a difesa, pronti a dare l’allarme e a ritirarsi con reazioni dinamiche locali.  Era il rafforzamento della linea di interposizione che Cialdini aveva iniziato due giorni prima, che aveva Osimo, ove Cialdini pose il 16 settembre il suo Quartier Generale, il perno centrale.

Ad Osimo furono gironi di tensione e paura. La città presidiata da migliaia di soldati, che aumentavano di numero di ora in ora. Chi arriva e chi partiva. Si comprendeva anche dalle parole dei soldati stessi che un attacco poteva arrivare sia da Ancona che da Loreto, in pratica si era tra due fuochi. Queste paure aumentarono quanto l’indomani le truppe sarde furono poste in allarme in quanto era stata avvista in tarda mattinata una consistente colonna pontificia uscita da Ancona verso Camerano e si dirigeva verso la vallata. Nel pomeriggio si sparse la notizia che le avanguardie di questa colonna erano arrivate a San Biagio. Uno scontro a fuoco era temuto da un momento all’altro.

La notizia si rilevò poi falsa. La colonna al comando del De Courthen era la III Brigata operativa che, rientrata in Ancona, era uscita dalla piazzaforte per andare incontro al De La Moricière che si sapeva essere giunto a Loreto, ma non scese in pianura; si arrestò dopo Camerano e a sera rientro in Ancona. Mentre la stragrande maggioranza delle truppe sarde riposava in quel 17 settembre 1860 il presidio delle posizioni della linea di interposizione di completavano arrivando a Monte San Pellegrino e Colle Oro, ultime propaggini collinose verso il mare. Osimo visse un altro giorno di angoscia e incertezza, con la popolazione che constatava di essere in mezzo ad un campo di battaglia.



[1] Coltrinari M., Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo. 18 settembre 1860., Roma. Università Sapienza, Edizioni Nuova Cultura, 2009, pag. 85

 

[2] Ibidem

sabato 10 settembre 2022

La Campagna nella MArche. 1860

 

La fine del potere temporale dei Papi.

 Osimo, abbandonata a se stessa (13 -16 settembre 1860)

Lo stato d’assedio proclamato il 7 settembre 1860 in tutte le provincie delle Marche fece capire agli osimani che la situazione era diventata critica. Le disposizioni delle autorità pontificie erano tassative. Nessuno usciva più di casa. Il Gonfaloniere, come allora si chiamava quello che da là di un mese si sarebbe chiamato Sindaco, Andrea Bonfigli stava vivendo quei gironi di settembre con estrema angoscia. Le disposizioni erano severissime: bastava un nonnulla che si finiva in carcere con pesanti accuse. Come tutti gli osimani aveva compreso che qualcosa di molto grosso stava accadendo, ma non si sapeva dove andare a parare. Si teneva una riedizione dei fatti di Perugia del 1859, ovvero una strage fra quei civili che per superficialità od altro si mostravano ostili: i soldati del Papa, che la tradizione dileggia, erano rudi e determinati e non esitavano a sparare in presenza di una minaccia grave e la rivolta per loro era da reprimere senza esitazione. Il Gonfaloniere sapeva che in Osimo vi erano esponenti mazziniani e cavourriani, e simpatizzanti, molti dei quali in contatto con i rivoluzionari di Ancona. Ma ormai il tempo delle rivolte era finito. Il 13 settembre giunse in Osimo la notizia che Pesaro era caduta che le truppe “piemontesi” erano in marcia su Ancona. Il giorno dopo giunse la notizia che Perugia era anch’essa caduta. Giunse anche la notizia che il Delegato Apostolico di Pesaro, Mons. Tancredi Bellà, a cui fu confiscato ogni bene, tra cui la tanto curata ed amata cantina contenente oltre 3000 bottiglie di vino, era stato fatto prigioniero e tenuto in mutande tutta la notte in piedi nella piazza davanti al palazzo dell’Arcivescovado., mentre uscivano di prigione tutti i detenuti, sia comuni che politici. Era ormai chiaro che le rivolte di Pergola, Fossombrone ed Urbino erano state un’esca, quasi una trappola per far uscire le truppe pontificie dalle loro fortezze, per affrontarle in campo aperto. Ora erano in ripiegamento su Ancona. Di ora in ora la situazione si aggravava e nella giornata del 14 settembre giunse la notizia che una colonna “piemontese” stava marciando su Osimo. Gli ultimi soldati pontifici si raccolsero in piazza e nessuno sapeva cosa fare. Inizialmente si pensava ad una organizzazione di difesa di Osimo imbastita in modo dilettantistico, poi arrivò l’ordine da Ancona che tutti i militari, gendarmi, ausiliari ed impiegati civili pontifici dovevano raggiungere la piazzaforte e mettersi a disposizione del col. O’ Gady. In breve Osimo fu lasciata sgombra da ogni militare pontificio ed affidata a sé stessa. Il 13 settembre, quindi, si erano allontanati da Osimo i gendarmi e gli ausiliari pontifici e la città si trovò priba di autorità ed ogni abitante temeva per l’incertezza del domani. Il potere civico fu preso in mano dal Gonfaloniere Bonfigli e dal Rossi che, servendosi dei bandisti musicali in divisa e dei loro armati, iniziarono a dare un minimo di sicurezza alla cittadinanza inviando staffette alle truppe Sarde  ed a perlustrare le strade dei dintorni ed a predisporre l’ingresso delle truppe sarde che era dato per imminente 

Il IV Corpo d’Armata sardo, al comando del gen. Cialdini il 14 settembre aveva raggiunto Senigallia. Inviate truppe (i Lancieri di Milano e due battaglioni di fanteria a Rocca Priora con compiti di sicurezza), il grosso iniziò quella manovra di interposizione che sarà la chiave di volta di tutta la campagna delle Marche. Avuta conoscenza che una forte colonna pontificia era dall’Umbria in marcia su Ancona (erano 8500 pontifici al comando del De La Moricière che intendeva raggiungere Ancona per organizzare una estrema difesa) Cialdini scelse la linea di cresta delle colline antemurale ad Ancona per intercettarla e dare battaglia in campo aperto, cercando di evitare quindi un assedio della piazzaforte che sarebbe stato dispendioso in termini soprattutto di tempo.

La 7a e la 4a Divisione si incolonnarono quindi da Senigallia, lasciando la strada litoranea per Jesi e Torre di Jesi, che furono raggiunte il 15 settembre. Secondo le valutazioni dello Stato Maggiore del IV Corpo d’Armata, saputo che De La Moriciére era a Macerata, questi per raggiungere Ancona poteva utilizzare la strada Macerata- Monte Cassiano - Monte Fano-Osimo, circa 31 chilometri, che era la più diretta. Poteva anche utilizzare la strada Macerata – Val Potenza – Recanati – Castelfidardo (30 chilometri) ed infine la strada Macerata – Monte Lupone – Monte Santo – Santa Maria di Potenza – Porto Recanati – Loreto (38 chilometri). Cialdini doveva assolutamente occupare e presidiare le posizioni di cresta tra Osimo e Castelfidardo, mentre per le posizioni in costa tra Castelfidardo ed il mare bastava occupare le Crocette, bloccando la strada postale Roma- Ancona. Occorreva procedere, nonostante la stanchezza, in avanti e mettere in atto stratagemmi affinchè il Comando Pontificio prendesse decisioni contrari ai suoi interessi. Tenendo presente questa esigenza, il Cialdini ideò ciò che poi fu chiamata “La diversione di Filottrano

Persuaso che le poche forze del generale De La Moricière lo costringerebbero per qualche giorno ad essere cauto” scrive il Cialdini, volli tentare di spingerlo a scegliere la strada più lunga con uno di quei stratagemmi volgari che però riescono quasi sempre in guerra. Feci partire subito uno squadrone di Lancieri per Filottrano, che arrivò nel cuore della notte. Secondo gli ordini avuti il capitano dello squadrone fece gran chiasso risvegliò e spaventò tutto il paese trattò arrogantemente il Municipio ed ordinò 24.000 razioni che io intendevo di prendere l’indomani nel mio passaggio da Filottrano per Macerata. La cosa fu certamente creduta poiché gran parte delle chieste razioni fu preparata ed il municipio non mancò di mandare avviso al generale nemico” [1]

Il “volgare stratagemma” riuscì alla perfezione. De La Moricière prese la strada più lunga e giunse a Loreto solo la sera del 16 settembre, mentre la I Brigata del generale de Pimodan arrivò solo il giorno dopo, la sera del 17 settembre. De La Moricière aveva perso il lieve vantaggio che aveva. Se avesse preso la strada Macerata - Monte Cassiano – Monte Fano – Osimo: (31 chilometri) i Pontifici sarebbero passati per Osimo circa 24 prima dell’arrivo delle truppe del Cialdini ed avrebbero raggiunto senza combattere Ancona. Per Osimo sarebbe stata una vera iattura. Infatti in poche ore sarebbero arrivati 8500 soldati stanchi ed affamati che chiedevano viveri. Queste truppe erano poco controllate, composta per lo più da francesi, belgi, irlandesi ed “indigeni” come erano chiamato gli italiani. Si sarebbero svolte le scene che si ebbero a Loreto tra il 16 ed il 17 settembre quando molto soldati pontifici si abbandonarono a violenze a danno della popolazione ed anche di alcuni ecclesiastici, violenze dettate per lo più dalla ricerca disperata di qualcosa da mangiare.

In realtà Cialdini, che era a conoscenza che le truppe pontificie avevano 24 ore di vantaggio su di lui si pose come obiettivo l’occupazione di Osimo. Riuscire ad occuparla, nella speranza che lo stratagemma di Filottrano avesse funzionato, vi era speranza di impedire che i Pontifici giungessero in Ancona. Iniziò una corsa contro il tempo dove tutto fu sacrificato pur di raggiungere la città dei senza testa. Per Osimo questo significò la fine del potere temprale dei Papi.

 

 

 



[1] Cialdini E., Rapporto a S.E. il Generale in capo sulle operazioni del IV Corpo d’Armata dall11 settembre al 29 settembre 1860. Documenti. In Rivista Militare Italian Volume III, Anno, V giugno 1861. Per inciso da questo rapporto si deduce che Cialdini non era il comandante delle truppe sarde operanti, ma un subordinato. IL Comandante in Capo era il gen. Manfredo Fanti, che aveva preparato il piano strategico di operazioni assegnando al IV Corpo (Gen Cialdini) di occupare le Marche ed al V Corpo (generale Morozzo della Rocca) di occupare l’Umbria, sempre sotto il suo diretto ed esclusivo comando.