L'Ultima difesa pontificia di Ancona . Gli avvenimenti 7 -29 settembre 1860

Investimento e Presa di Ancona

Investimento e Presa di Ancona
20 settembre - 3 ottbre 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860
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Onore ai Caduti

Onore ai Caduti
Sebastopoli. Vallata di Baraclava. Dopo la cerimonia a ricordo dei soldati sardi caduti nella Guerra di Crimea 1854-1855. Vedi spot in data 22 gennaio 2013

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860
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La sintesi del 1860

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Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il Volume di Massimo Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, 18 settembre 1860, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009, pagine 332, euro 21, ISBN 978-88-6134-379-5, è disponibile in
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sabato 30 gennaio 2021

Il Garabaldinismo nella II Guerra di Indipendenza

 

            1859, i Cacciatori delle Alpi nella II guerra d’indipendenza

 

di

Osvaldo Biribicchi

 


 

Il termine Cacciatori, nel secolo XIX, indicava la fanteria cosiddetta leggera in quanto dotata di armamento ed equipaggiamento leggeri. In particolare, almeno nella fase iniziale, si chiamavano cosi le milizie che sorgevano spontaneamente per combattere l'oppressore ed affermare i principi di nazionalità. I componenti di questi reparti irregolari erano caratterizzati, a tutti i livelli, da audacia e spregiudicatezza, doti queste che ne esaltavano l'impiego nell'esplorazione, nei colpi di mano e nelle azioni offensive. In Italia è rimasto particolarmente famoso il Corpo dei Cacciatori delle Alpi, fondato nel 1859.

Per meglio comprendere la nascita di questo particolare Corpo, è necessario conoscere sommariamente la situazione politica, in quel periodo, nel regno sabaudo.

Solo pochi mesi prima, a luglio del 1858, si era svolto a Plombières, una cittadina termale della Francia orientale, un convegno segreto tra il Presidente del Consiglio dei Ministri piemontesi, Camillo Benso Conte di Cavour, e l'imperatore francese Napoleone III.

Nel corso di quell'incontro, Napoleone III si impegnò ad intervenire contro l'Austria, a fianco del Piemonte, nel caso in cui quest'ultimo fosse stato aggredito dagli austriaci. In caso di vittoria, sarebbe stato creato sotto Casa Savoia un Regno dell’Alta Italia comprendente il Lombardo-Veneto, i Ducati di Modena, di Parma e le Legazioni pontificie; mentre la Francia, in cambio dell'aiu­to prestato, avrebbe annesso la Sa­voia e la città di Nizza appartenenti al Regno di Sardegna. Cavour, ottenuto dalla Francia l'impegno a scendere in campo militarmente, si adoperò in tutti i modi per provocare l'Austria affinché facesse il primo passo verso la guerra.

Gli inizi del 1859 furono caratterizzati da segnali che preannunciavano l'imminenza di un conflitto. Il re Vittorio Emanuele II, in un discorso al parlamento, pronunciò la celebre frase:”...non siamo insensibili al grido di dolore che da tanti parti d'Italia si leva verso di noi” che aveva tutto il sapore di una aperta sfida all'Austria. Cavour, da parte sua, sull'onda delle emozioni che il discorso del re aveva suscitato, permise e favorì l'arruolamento di volontari provenienti da tutta l'Italia, in particolare dal Lombardo – Veneto, da affiancare all’esercito regolare. Il 17 marzo 1859 con decreto reale veniva istituito il Corpo dei Cacciatori delle Alpi, al comando di Giuseppe Garibaldi, nominato per l'occasione Maggior Generale dell'esercito sardo, ed alle dipendenze del Ministero degli Interni.

Al neo costituito Corpo, però, non vennero assegnati i volontari migliori; questi ultimi furono inseriti nei ranghi dell'esercito regolare. A Garibaldi vennero dati i più giovani, con scarsa o nulla esperienza militare, i più anziani e quelli scartati per difetti fisici. Di contro, gli ufficiali furono quelli voluti da lui, tutti valorosi combattenti che si erano distinti nel 1849 nella difesa della Repubblica Romana e di Venezia.

I Cacciatori delle Alpi erano poco più di tremila uomini ordinati in una brigata su tre reggimenti, senza artiglieria, con una cinquantina di cavalleggeri per l'esplorazione ed un efficiente ospedale da campo diretto dal medico milanese Agostino Bertani, esule a Genova, che avrà poi una funzione importante nella spedizione dei Mille. Il corpo sanitario dei “Cacciatori” fu insignito di medaglia di bronzo al valor militare per la alacre opera svolta.

Garibaldi ed i suoi uomini, dunque, indossarono l'uniforme dell'esercito sardo. Per l'addestramento, furono inviati nei depositi di Cuneo e Savigliano nonché a Rivoli presso Susa. Dei tre reggimenti, i primi due, i migliori, furono posti al comando del tenente colonnello Enrico Cosenz e del colonnello Giacomo Medici.

Mentre gli ufficiali di Garibaldi inquadravano i volontari, Cavour faceva, provocatoriamente, ammassare truppe sul confine con il Lombardo­ - Veneto per compiere delle esercitazioni. L'Austria, allarmata, il 23 aprile 1859 ordinò al Pie­monte il disarmo immediato. Era l'aggressione tanto cercata da Cavour che, naturalmente, rifiutò e lasciò che la parola passasse alle armi.

Il 26 aprile 1859 l’Austria dichiarò guerra al Piemonte: iniziava la seconda guerra d'indipendenza. Il giorno seguente, l'esercito austriaco al comando del Generale Giulay varcò la frontiera piemontese. L'avanzata fu subito rallentata dall'allagamento delle risaie nel vercellese.

La Francia, da parte sua, come stabilito, inviò in aiuto dell'esercito sabaudo un forte contingente di cui Napoleone III ne assunse il comando supremo; alla metà di maggio circa 120.000 francesi erano concentrati nella zona di Alessandria.

I franco – piemontesi, con alcune puntate offensive verso Pavia, diedero agli austriaci l'impressione di voler penetrare in Lombardia da sud mentre, in realtà, si trattava di uno stratagemma per mascherare i veri piani che prevedevano di entrare in Lombardia da nord.

Il primo grosso combattimento avvenne a Montebello[1], il 20 maggio 1859, dove gli austriaci furono battuti dall'azione congiunta della cavalleria sarda e della fanteria francese; dieci giorni dopo a Palestro[2] gli austriaci subirono una ulteriore sconfitta, a seguito della quale decisero di riattraversare il Ticino per attestarsi a difesa della frontiera lombardo - veneta.

Garibaldi, intanto, con i suoi Cacciatori delle Alpi, il 23 maggio aveva attraversato risolutamente il Ticino e sorpreso nella notte il presidio austriaco di Sesto Calende. La notte successiva, dopo aver vinto le resistenze austriache, entrò a Varese accolto da una folla di cittadini in delirio. Gli austriaci, a questo punto, gli inviarono incontro una Divisione di tremila uomini, potentemente armata, al comando del Generale Urban. I Cacciatori furono sottoposti ad un incessante fuoco di artiglieria ma non indietreggiarono, resistettero fino a quando la fanteria austriaca non fu che“a 50 passi di distanza”, come aveva loro ordinato Garibaldi, e poi gli riversarono addosso una micidiale scarica di pallottole. Subito dopo, in pieno stile garibaldino, si avventarono alla baionetta sul nemico.

Gli austriaci, sotto l'incalzare dei Cacciatori delle Alpi, si ritirarono disordinatamente. Garibaldi non poteva fermarsi, sarebbe diventato un facile bersaglio per il nemico, la sua doveva essere una guerra di movimento. Si avviò, pertanto, verso Como facendo credere al nemico di passare per Camerlata invece passò per San Fermo dove superò, dopo uno scontro sanguinoso, la forte resistenza austriaca.

Di notte entrò a Como, anche qui accolto festosamente dalla popolazione. Garibaldi era riuscito ad ottenere l'allontanamento degli austriaci da tutta la zona lombarda del lago Maggiore e, dopo una serie di spostamenti tattici, puntò su Lecco e da lì a Bergamo dove vi entrò l'8 giugno alla testa dei suoi Cacciatori. Qui, l'11 giugno, con una solenne cerimonia, consegnò ai suoi uomini le onorificenze ricevute dal governo e lesse un ordine del giorno, emanato in nome del re, in cui erano esaltate le imprese del piccolo Corpo. La sera stessa si mise in marcia per Brescia ove vi entrò il 13 giugno.

I franco-sardi, nel frattempo, il 4 giugno avevano sconfitto gli austriaci a Magenta[3] aprendosi così la strada verso Milano ove, l'8 giugno, vi entravano fianco a fianco Napoleone III e Vittorio Emanuele II.

Gli austriaci ripiegarono verso il Quadrilatero (Mantova, Verona, Peschiera e Legnago) per una difesa ad oltranza ma il giovane imperatore Francesco Giuseppe assunse il comando diretto delle operazioni e riprese subito l'offensiva.

Il 24 giugno sulle alture di San Martino e Solferino, a sud del lago di Garda, su un fronte di una quindicina di chilometri si affrontarono circa 300.000 uomini, fra austriaci e franco – piemontesi, con oltre 26.000 cavalli e 1.500 pezzi di artiglieria.

In questo fatto d'arme, i Cacciatori delle Alpi ebbero un ruolo molto importante sul piano strategico in quanto dalle Prealpi lombarde minacciavano – puntando verso la valle dell'Adige – le spalle dell'Armata austriaca dislocata nel Quadrilatero.

La battaglia di San Martino e Solferino, l'ultima della II guerra di indipendenza, si risolse con la vittoria dei franco – piemontesi ma ad un prezzo altissimo di vite umane. Essa non fu solo la più sanguinosa tra quelle combattute nelle guerre d'indipendenza, ma una delle più sanguinose combattute fino ad allora in Europa.

Alla sera del 24 giugno, sul campo di battaglia giacevano 40.000 uomini, di cui 11.000 morti e 29.000 feriti. Di questi ultimi, 5.000 morirono nei giorni successivi per i postumi delle ferite riportate.

Napoleone III, condizionato dai cattolici francesi per i possibili danni che il prolungarsi della guerra di indipendenza italiana avrebbe finito per arrecare oltre che alla Francia stessa anche allo Stato pontificio, propose a Francesco Giuseppe, all'insaputa di Cavour, un armistizio poi firmato a Villafranca l'11 luglio 1859. Il 10 novembre a Zurigo veniva siglata la pace che poneva fine alla guerra ed imponeva all’Austria la cessione, per il tramite della Francia, della sola Lombardia al Regno Sardo ed il ritorno dei sovrani spodestati nei ducati di Modena, Parma e nel Granducato di Toscana.

Vittorio Emanuele II accettò suo malgrado, mentre Cavour sentendosi ingannato da Napoleone III si dimise da primo ministro.

I Cacciatori delle Alpi all’atto dell’armistizio superavano i 12.000 uomini, articolati su cinque reggimenti, «ed occupavano le quattro vallate: Valtellina, Camonica, Sabbia e Trompia, sino alla  frontiera col Tirolo»[4].

Con la fine della seconda guerra di indipendenza gli austriaci non erano stati annientati ed il Veneto, contrariamente alle aspettative, era rimasto nelle loro mani.

«La brusca interruzione della guerra costituiva una palese violazione dei patti di alleanza tra i due paesi (Il Piemonte e la Francia), e così la promessa dell’indipendenza dell’Italia settentrionale, dal Ticino all’Adriatico, svaniva completamente.

L’interruzione della seconda guerra d’Indipendenza, portò come conseguenza un malcontento fra gli appartenenti al Corpo Garibaldino dei Cacciatori delle Alpi, molti dei quali diedero le dimissioni per protesta, in seguito alla fusione del Corpo Garibaldino con l’Esercito nazionale [] Anche Garibaldi lasciava, allora, con comprensibile cruccio il Comando dei Cacciatori delle Alpi ed indirizzava a Vittorio Emanuele II una lettera, datata da Lovere, 1 agosto 1859, che però non giunse mai a destinazione»[5].

Gli anni immediatamente successivi furono, comunque, importanti. Il 1860 fu l'anno dei plebisciti per l'annessione al Piemonte dell'Italia centrale e dell'ex regno borbonico; sempre in quell'anno Nizza e la Savoia furono cedute alla Francia e Garibaldi, alla testa dei Mille, sbarcò in Sicilia.

 

 

Bibliografia e sommaria

Bertini Enrico, TIMOTEO RIBOLI Medico di Garibaldi, 1986.

Garibaldi Giuseppe, Memorie con una Appendice di Scritti Politici, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano.

 

 

Sitografia sommaria

https://www.battagliadimagenta.it/pubblicazioni/opere_pubbliche/Opere_Pubbliche_Dettaglio.asp?ID_M=10&ID=43

http://www.carabinieri.it/arma/ieri/storia/vista-da-2015/fascicolo-9/il-ruolo-dell-arma-nella-guerra-del-1859/i-cacciatori-delle-alpi

http://www.150anni-lanostrastoria.it/index.php/ii-guerra-indipendenza

https://www.centrodellamemoriasavigliano.it/giacomomedici/

http://www.combattentiliberazione.it/seconda-guerra-dindipendenza-1859

https://comune.magenta.mi.it/aree-tematiche/cultura/

https://www.comune.montebellodellabattaglia.pv.it/m-vivere/m-infoutili/storia

http://www.comune.palestro.pv.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/ossario-1893-22321-1-44d9415912f732cd2a5df066f0ffa96f

https://www.difesa.it/Content/150anniversario/Pagine/LeBattaglieSolferinoeSanMartino.aspx

http://notes9.senato.it/Web/senregno.nsf/96ec2bcd072560f1c125785d0059806a/80cfa982dfdabe7e4125646f005a8000?OpenDocument

 



[1] In ricordo della battaglia combattuta nel 1859, il comune di Montebello, in  provincia di Pavia, nel 1958 ha ricevuto il nome di Montebello della Battaglia.

[2] Nel comune di Palestro, in provincia di Pavia, il 28 maggio 1893 fu inaugurato un Ossario per conservare le reliquie dei Caduti piemontesi, francesi ed austriaci nelle battaglie del 30 e 31 maggio 1859.

[3] A Magenta, in provincia di Milano, il 4 giugno 1872 fu inaugurato un Ossario per conservare le reliquie dei Caduti piemontesi, francesi ed austriaci nella battaglia del 4 giugno 1859.

[4] Garibaldi Giuseppe, Memorie con una Appendice di Scritti Politici, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1998, p. 232.

 

[5] Bertini Enrico, TIMOTEO RIBOLI Medico di Garibaldi, 1986, p. 178.

mercoledì 20 gennaio 2021

Proposta di stesura di tesi.

 

 

      Master

in

“Storia militare contemporanea”

 

 

Confronto  dell'azione di comando nell'assedio di ancona e nelle battaglie di Custoza e Lissa

 

 Assegnata questa tesi ad una Fequentatrice, che molto presumibilmente sarà discussa nella sessione invernale dell'anno Accademico 2020/2021

 

 

 

 

 

 

            Candidato                                                             Relatore

    Dott.ssa Carolina Gaggero                                       Gen. Dott. Massimo Coltrinari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANNO ACCADEMICO 2019/2020

 

 

domenica 10 gennaio 2021

1860. L'iniziativa del partito democratico

 

La Spedizione dei Mille: da Genova a Napoli

 

di

Osvaldo Biribicchi

 


 

Nei primi giorni di maggio 1860, a meno di un anno dall’unità d’Italia (17 marzo 1861), un piccolo corpo di spedizione di 1.089 uomini al comando di Giuseppe Garibaldi salpava dallo scoglio di Quarto, a Genova, diretto verso la Sicilia per prendere la guida dei primi moti insurrezionali che stavano scoppiando nell’isola, provocare una sollevazione popolare e la conseguente caduta del governo borbonico. Successivamente portare la rivoluzione nello Stato pontificio e nel Veneto.

La composizione di questo corpo di spedizione era alquanto variegata: «Sono professionisti, studenti, artigiani, operai: tra loro si contano all’incirca 250 avvocati, 100 medici, 20 farmacisti, 50 ingegneri e altrettanti capitani di mare, un centinaio di commercianti, una decina di artisti, pittori e scultori; c’è qualche prete; è presente una donna, Rosalia Montmasson, moglie di Crispi, in abito maschile. Sono quasi tutti italiani, e in gran maggioranza settentrionali: le più rappresentate la provincia di Bergamo (163) e la Liguria (154); i sudditi borbonici sono meno di un centinaio. Ci sono veterani e reclute, patrioti sfuggiti alle forche e alle prigioni, idealisti che inseguono sogni di gloria, letterati in cerca di emozioni, infelici che desiderano la morte, miseri che sperano in una sistemazione. Il più anziano, Tommaso Parodi, genovese, ha quasi settant’anni; il più giovane, Giuseppe Marchetti, di Chioggia, partito col padre, di anni ne ha undici»[1], tutti male armati e peggio equipaggiati. «La spedizione dei Mille costituisce la maggiore delle campagne di Garibaldi. Per la prima volta, infatti, un'impresa garibaldina acquista un valore dichiaratamente nazionale, diventa la forza che consente all'Italia di fare un ulteriore, vigoroso passo in avanti sulla via dell'unità»[2]. Solamente un mese prima, il 2 aprile a Torino, era stato inaugurato il nuovo parlamento con i rappresentanti di sei regioni: Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Sardegna.                                                                                                                                                In Sicilia, la prima rivolta fu quella cosiddetta della “Gancia”[3], dal nome del convento di Palermo dove si erano rifugiati alcuni rivoluzionari. Garibaldi, inizialmente scettico sull’opportunità della spedizione, di fronte all’intensificarsi dei moti insurrezionali in Sicilia decise di passare all’azione. Vittorio Emanuele II era favorevole all'impresa mentre Cavour era contrario in quanto temeva complicazioni diplomatiche con la Francia e l’Inghilterra unitamente al timore che la Sicilia, una volta liberata da Garibaldi, diventasse una repubblica indipendente. Alla fine Cavour accettò a condizione che il Regno di Sardegna mantenesse un basso profilo, l’impresa avrebbe dovuto avere un carattere “spontaneo”. Bixio fu incaricato da Garibaldi di recuperare le navi necessarie per trasportare i volontari in Sicilia. «Due vapori: il Lombardo ed il Piemonte, comandati il primo da Bixio ed il secondo da Castiglia, furono fissati; e nella notte del 5 al 6 maggio uscirono dal porto di Genova per imbarcare la gente che aspettava, divisa tra la Foce e Villa Spinola. Alcune difficoltà inevitabili in tale genere di imprese non mancarono di contrariarci. Giungere a bordo di due vapori nel porto di Genova, ormeggiati sotto la darsena, impadronirsi degli equipaggi, e costringerli ad ajutare i predoni; accendere i fuochi, prendere il Lombardo a rimorchio del Piemonte, che si trovò pronto, mentre non lo era l’altro, e tutto ciò con uno splendido chiaro di luna, son tutti fatti più facili a descriversi, che ad eseguire, e vi fa mestieri molto sangue freddo, capacità, e fortuna»[4].

Il 7 maggio, Garibaldi fece scalo in Toscana a Talamone vicino ad Orbetello e sbarcò alcuni volontari per far credere che l'impresa fosse diretta verso lo Stato Pontificio. Dopo aver fatto rifornimento di carbone e ricevuto dal locale comandante militare armi e munizioni riprese la navigazione. «La fortuna e la negligenza dei borbonici consentono ai garibaldini di raggiungere l’11 maggio Marsala e di sbarcarvi, malgrado il sopraggiungere di alcuni legni nemici»[5].                       Il 12 maggio Garibaldi si mise in marcia per Salemi «dove, il 14 maggio, venne accolto con grande entusiasmo dalla popolazione. Grazie all'aiuto del barone Giuseppe Triolo di Sant'Anna di Alcamo, che si era a lui unito con una banda di picciotti assunse il dominio in nome di Vittorio Emanuele II re d'Italia»[6].                                                                                                                                All’alba del 15 maggio i Mille iniziarono il movimento in direzione di Palermo, la strada però fu loro sbarrata sulle alture di Calatafimi dalle truppe borboniche al comando del generale Landi. Garibaldi fece schierare i suoi sulle alture di fronte. I due schieramenti, divisi da una valle, aspettavano nelle rispettive posizioni l’attacco nemico; ad un certo momento però alcune compagnie borboniche, contravvenendo agli ordini del generale Landi, attaccarono le posizioni tenute dai carabinieri genovesi[7] i quali fecero avvicinare gli avversari e, dopo una intensa e precisa scarica di fucileria, attaccarono alla baionetta. I borbonici, che non si aspettavano un tale furioso contrattacco, ripiegarono disordinatamente verso le posizioni di partenza. A questo punto la situazione sfuggì di mano allo stesso Garibaldi che, soddisfatto di aver respinto le truppe del Landi, non voleva arrischiarsi ad attaccare le stesse frontalmente, attestate peraltro su una collina difficile da espugnare. Egli fece suonare ripetutamente il segnale di alt per fermare i suoi, ma inutilmente. I carabinieri genovesi, con il loro slancio ed entusiasmo, si trascinarono dietro gli altri garibaldini.

Il combattimento si fece aspro, “caldissimo” come scrisse poi il Landi. Garibaldi comprese che ormai erano in gioco le sorti della giornata ed ordinò l'assalto gettandosi nel cuore della battaglia in mezzo ai suoi uomini. Le truppe borboniche, disorientate dal furioso attacco dei garibaldini, abbandonarono le posizioni. Il 16 maggio Garibaldi entrò a Calatafimi, il giorno successivo riprese la marcia e, superato Partinico, si portò a 15 chilometri da Palermo. La vittoria di Calatafimi impresse una svolta importante agli avvenimenti, l'insurrezione divampò in tutta l'isola. I borbonici si misero sulla difensiva, nei comandi il sentimento prevalente era lo scoramento. I «filibustieri», come li definì il Giornale del Regno delle Due Sicilie, «ora fanno paura». All'alba del 27 maggio le prime colonne garibaldine, appoggiate dalla popolazione, entrarono a Palermo presidiata da 21.000 uomini ben armati. Subito si accesero furiosi combattimenti strada per strada. I borbonici bombardarono la città dal forte di Castellammare e dalle navi, provocando gravi danni e molte vittime tra i civili. Il 30 maggio, il comando militare borbonico di Palermo chiese una tregua di ventiquattro ore che Garibaldi accettò respingendone però alcune clausole ritenute inaccettabili. Il giorno seguente, la tregua fu prolungata di tre giorni ma non risolse la situazione delle forze borboniche le quali alla fine si ritirarono lasciando la città nelle mani di Garibaldi che vi si insediò il 21 giugno.  

Nel frattempo, Francesco II a Napoli, nell'intento di salvare almeno la parte continentale del regno, concesse la Costituzione per conquistarsi le simpatie dei liberali e varò un nuovo governo. Ma era ormai troppo tardi, i liberali chiamati al governo e presenti nel parlamento simpatizzarono apertamente per i garibaldini che, rinforzati da migliaia di volontari, il 20 luglio sconfissero nuovamente i borbonici a Milazzo. Con questa battaglia, una delle più sanguinose (750 dei circa 4.000 garibaldini caddero morti o feriti) si concluse la prima fase dell'impresa dei Mille. Garibaldi, padrone ormai della Sicilia, iniziò a progettare l'attraversamento dello stretto di Messina. Il 18 agosto, eludendo le navi da guerra napoletane, sbarcò a Melito a sud di Reggio Calabria che conquistò il 21 dello stesso mese. Il 7 settembre 1860 entrò a Napoli accolto trionfalmente dalla popolazione mentre Francesco II si rifugiava nella fortezza di Gaeta. «Il nido monarchico, ancor caldo, venne occupato dagli emancipatori popolani, ed i ricchi tappeti delle reggie, furon calpestati dal rozzo calzare del proletario»[8].

Pochi giorni dopo, l'11 settembre, con il Regno delle Due Sicilie ormai caduto sotto la spinta dei Mille e l’esercito pontificio schierato a difendere i confini meridionali, i Sardi invadevano le Marche e l'Umbria, territori da secoli appartenenti allo Stato della Chiesa. Il 18 di quello stesso mese, con il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo, venne di fatto sancita l'annessione delle due regioni al Regno di Sardegna.

Nell'anno successivo, 1861, si sarebbe realizzata l'Unità d'Italia.

 

Bibliografia sommaria

Coltrinari Massimo, Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo 18 settembre 1860, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2009.

Di Tondo Franco, Campagne Garibaldine, Loesher Editore, Torino, 1977.

Garibaldi Giuseppe, Memorie con una Appendice di Scritti Politici, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1998.

Scirocco Alfonso, Giuseppe Garibaldi, Corriere della Sera, Milano, 2005.

 

Sitografia sommaria

https://www.saassipa.beniculturali.it/istituto/la-sede-gancia/

https://www.salemi.gov.it/comune/vivere/storia/Capitale.html

https://www.storiaememoriadibologna.it/la-spedizione-dei-mille-e-le-campagne-del-1860-2210-evento



[1] Scirocco Alfonso, Giuseppe Garibaldi, Corriere della Sera, Milano, 2005, p. 213.

[2]  Di Tondo Franco, Campagne garibaldine, Loesher Editore, Torino, 1977, p. 30.

[3] Convento fondato dai Frati Minori Francescani tra il 1484 e il 1489 in contrada S. Maria di Gesù non lontano dal porto. Attualmente vi si trova una delle due sedi dell’Archivio di Stato di Palermo.

[4] Garibaldi Giuseppe, Memorie con una Appendice di Scritti Politici, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1998, p. 248.

[5] Di Tondo Franco, Campagne garibaldine, Loesher Editore, Torino, 1977, p. 31.

[6] https://www.salemi.gov.it/comune/vivere/storia/Capitale.html

[7] I carabinieri genovesi, complessivamente 59, erano degli iscritti alla Società di Tiro Nazionale armati di carabine proprie..

[8] Garibaldi Giuseppe, Memorie con una Appendice di Scritti Politici, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1998, p. 283.