L'Ultima difesa pontificia di Ancona . Gli avvenimenti 7 -29 settembre 1860

Investimento e Presa di Ancona

Investimento e Presa di Ancona
20 settembre - 3 ottbre 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860
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Onore ai Caduti

Onore ai Caduti
Sebastopoli. Vallata di Baraclava. Dopo la cerimonia a ricordo dei soldati sardi caduti nella Guerra di Crimea 1854-1855. Vedi spot in data 22 gennaio 2013

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860
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La sintesi del 1860

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Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il Volume di Massimo Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, 18 settembre 1860, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009, pagine 332, euro 21, ISBN 978-88-6134-379-5, è disponibile in
II Edizione - Accademia di Oplologia e Militaria
- in tutte le librerie d'Italia
- on line, all'indirizzo ordini@nuova cultura.it,
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- Roma Universita La Sapienza, "Chioschi Gialli"
- in Ancona, presso Fogola Corso Mazzini e press o Copyemme

sabato 16 gennaio 2010

Ancona
Istituto Tecnico "A Volterra"
Una lezione “campale”

Nell’ambito dell’Area di Progetto, riguardante l’ipertesto sulla Battaglia di Castelfidardo, cinque mesi fa, esattamente il 19 Maggio, l’allora 4a Bo effettuò un’uscita, nelle regolari ore scolastiche, per meglio comprendere, con diretto contatto visivo, gli avvenimenti tanto importanti di 137 anni fa.
L’organizzazione del trasporto si rivelò subito difficoltosa, in quanto dovemmo affidarci alle auto dei compagni patentati e dei professori disponibili, rimanendo fino all’ultimo con i posti risicati; sarebbe stato infatti uno spreco noleggiare un pulman per pochi chilometri occupandone meno della metà.
La nostra prima tappa fu a Loreto, ove i papalini si accasermarono il giorno prima della battaglia. Lì incontrammo il dott. Massimo Coltrinari che ci avrebbe guidato per tutto il tragitto, con importanti informazioni sulla vicenda da noi studiata.
Per iniziare, ci comunicò che avremmo rispettato sia nei tempi che nei luoghi le vicende di quello storico giorno e proseguì con un cenno sulla composizione dell’eterogeneo esercito pontificio, costituito da irlandesi, spagnoli, francesi, austriaci e quant’altri si sentivano di combattere e di morire per il Papa contro una nazione che cercava disperatamente di riconquistare l’unità dopo 1400 anni.
(A proposito, tempo fa è circolata una pubblicità televisiva di un atlante storico in cui si diceva che l’Italia era divisa dal tempo dei Comuni. Ora a conti fatti, o chi lo ha scritto doveva tornare alle elementari, o come minimo l’editore avrebbe dovuto fare causa all’agenzia pubblicitaria, solo uno stolto può dire simili oscenità ; infatti nessun altro “Stato”, come lo stato comunale, era così geloso della propria indipendenza, e la loro alleanza allo stato pontificio non permise l’unificazione d’Italia nel basso medioevo.)
Ritornando alle spiegazioni del dott. Coltrinari, bisogna dire che, nelle truppe pontificie non c’era posto per gli italiani, o meglio come si diceva allora, per le truppe indigene, se non in piccoli e poveramente armati gruppi che venivano tra l’altro posizionati nello schieramento tra altri ritenuti più fedeli (stranieri) al fine di impedirne ogni eventuale defezione.
A questo punto necessita una riflessione: poiché la composizione dell’ esercito di uno Stato, in tutte le epoche, dà una idea seppure approssimativa della situazione politica e sociale dello stesso, si può capire perché si è giunti alla battaglia, e perché essa ha avuto un esito anziché un altro.
Lo stato papalino non reclutava italiani per evidenti motivi politici, questo anche prima della riscossa nazionale, non voleva infatti soldati immischiati nelle vicende interne dello stato, con rivendicazioni personali o di gruppo da esercitarsi nella stessa terra dove erano nati, cercavano pertanto soldati stranieri, infervorati dalla fede, che usassero metodi spicci per risolvere i problemi interni e che soprattutto si accontentassero di pochi baiocchi (la moneta dello stato).
Questa specie di mercenari combattevano in una terra che non amavano, in cerca di bottino e per difendere il potere di un uomo, non per liberare la loro patria oppressa; per questo, non tanto per la differenza di numero e di armamento, finirono con il lasciare umiliati le valli che tanto baldanzosamente avevano occupato.
D’altra parte combattevano per un ideale sbagliato, non si trattava di difendere una religione: l’Italia era, sarebbe stata e doveva rimanere cristiana, ma di difendere un temporale, che Cristo e i primi Padri, fecero tanto per dividere dal potere spirituale, inoltre non si troverà mai una riga sul Vangelo in cui Gesù dica di battersi, ci sono semmai mille discorsi contrari, anche di fronte alle provocazioni, e non mi riferisco solo al “porgi l’altra guancia”.
Ritornando alla lezione, gli eserciti erano arrivati alla resa dei conti stremati da lunghi giorni di marcia. L ’esercito papalino, nel tentativo di mettere in salvo il tesoro dell’armata, era rimasto senza “baiocchi” per pagare i viveri ai contadini del luogo, pertanto si apprestarono alla battaglia a stomaco vuoto. Dopo una breve premessa sulla piazza della basilica, percorremmo una strada parallela al fiume Musone, proprio nell’area dove ci furono le prime scaramucce fra le rispettive avanguardie, a colpi di carabina e batterie leggere.
Il generale De La Moriciere, un francese, a capo dell’esercito pontificio, mirava a portare tutte le sue truppe stanziate in Umbria e nelle Marche in Ancona, che era una importante e munitissima piazzaforte, e lì rinchiudersi sostenendo il probabile assedio di abbondanti forze nemiche, aspettando che la situazione internazionale volgesse in favore del papa. La Francia non avrebbe tardato infatti ad intervenire se le cose fossero andate per le lunghe, nonostante l’accordo fra Napoleone III e Cavour.
L’opinione pubblica francese fu sempre fortemente contraria al dissolvimento dello Stato Pontificio, pur avendo sempre rivendicato per la propria nazione l’assoluta autonomia da esso, anche con azioni plateali.
Ancor oggi la destra nazistoide francese, godrebbe nel vedere l’Italia fatta a pezzi, ridando al Papa quello che secondo loro gli spetta di diritto. A questo punto una domanda: se ci tengono tanto a dare un potere temporale al Papa, perché non gli restituiscono la Contea di Avignone che prima della rivoluzione gli apparteneva? I governanti francesi pur abiurando l’anticlericalismo rivoluzionario, si guardano bene dal rendere i vantaggi acquisiti preferendo polemizzare con i vicini.
La visita proseguì per la stele Fratelli Braconi e per la casa Serenella del Mirà. Era suggestivo pensare che tanti anni prima vi fosse stato tutto quel movimento mentre quel giorno sulla stessa terra regnava una calma olimpica. Nel frattempo che il dott. Coltrinari continuava a spiegarci le manovre tattiche offensive, le reazioni dei rispettivi eserciti, la triste morte del gen. De Pimodan, i precedenti politici che portarono alla battaglia e quelli a cui essa condusse, Sauro, il conosciutissimo tecnico del laboratorio di Fisica, faceva milioni di fotografie a tutto e a tutti.
Dopo una breve incursione al parco della villa Ferretti, già della vedova del Gen. De Pimodan, normalmente chiuso per il pubblico, passammo per la località Crocette, e giunti alla periferia di Castelfidardo visitammo il magnifico complesso monumentale in bronzo commemorante la vittoria del Gen. Cialdini, anche se, per la verità, egli quel giorno, nelle ore cruciali, si trovava lontano dal luogo dello scontro perché impegnato in una “colazione di lavoro”.
Venimmo a sapere che fino a pochi anni prima quel monumento era in uno stato di completo abbandono e che solo la volontà di alcuni ha permesso al monumento di tornare a nuova vita. Nulla di strano comunque che nessuno se ne sia curato in tanti anni, le maggiori forze del paese in quel periodo (Clericalismo e Comunismo), hanno sempre negato i valori del Risorgimento per vari motivi ideologici.
L’ultima tappa infine fu al Museo Risorgimentale di Castelfidardo, dov’erano conservati armi, stendardi, monete dell’epoca; quasi tutto di parte pontificia però, perché lasciati sul terreno nella precipitosa ritirata. Di tutto l’esercito pontificio, circa 8000 uomini, solamente 35 cavalleggeri riuscirono poi a raggiungere la città di Ancona, tutti gli altri si arresero il giorno dopo o si dispersero sul territorio. Contrariamente a quanto successe disgraziatamente nelle epoche successive, nelle numerose guerre che seguirono, pochissime furono le vittime della battaglia (circa un centinaio),
Si rende necessario uno speciale ringraziamento ai professori Alessandrelli e Brutti che ci hanno gentilmente accompagnato, nonché naturalmente al dott. Coltrinari senza il quale gran parte di questa Area di Progetto non sarebbe proprio stata possibile e che nonostante sia un “vero” Colonnello dell’esercito italiano, ha saputo trasmetterci concetti anche ostici con estrema affabilità in un modo talmente informale da non sembrare una lezione scolastica.
Vi saluto con la speranza di poter completare il lavoro in quest’anno scolastico visitando (magari) il grande Museo Risorgimentale di Roma.

Gabriele Buda 5Bo

p.s. il museo risorgimentale di Castelfidardo vale veramente la pena di essere visitato, potreste anche scoprire che la storia si può studiare in modo divertente!!

lunedì 4 gennaio 2010


SCHEDA PREDISPOSTA NEL 2001

L'OSSARIO DELLA BATTAGLIA DI CASTELFIDARDO

L'Ossario

Nella battaglia di Castelfidardo i Caduti furono 64 da parte Sarda ed 88 da parte pontificia. Alcuni feriti morirono alcuni giorni dopo negli ospedali della zona. Per i pontifici cadde il gen. De Pimodan, che è sepolto a San Luigi dei Francesi, a Roma. Le famiglie dei caduti pontifici richiesero il corpo del loro congiunto, che in anni successivi alla battaglia furono consegnati. All'ingresso di Macerata, nella Chiesa di Santa Maria, è posta una lapide in cui si ricorda che in quella chiesa sono sepolti 60 caduti Pontifici.
Gli Italiani, nel 1888 eressero nel luogo della battaglia un Ossario, in cui sono stati raccolti i Caduti Sardi, che non sono stati consegnati alle famiglie. La struttura architettonica dell'Ossario riporta nel suo perimetro incisi i nomi di alcuni dei caduti Sardi, soprattutto gli Ufficiali e i Graduati.
Quando fu costruito l'Ossario i rapporti tra Stato Italiano e Chiesa Cattolica erano tesissimi. Non si era spenta, in quegli anni, ancora l'eco della violentissima polemica innescata da alcuni aspetti della generale riforma dell'Esercito Italiano voluta nel 1871 dal generale Ricotti Magnani. Tra le proposte ordinative Ricotti incluse anche quella di imporre un anno di volontariato sotto le armi ai giovani ecclesiastici e seminaristi. In un primo momento la proposta del Ministero della Guerra prevedeva l'esenzione dell'obbligo del volontariato per seminaristi, preti e frati a condizione che versassero una somma in denaro allo Stato con l'impegno, in caso di guerra, a prestare servizio come infermieri e cappellani. Il Parlamento, nell'esaminare la proposta, volle modificarla in senso restrittivo includendo nell'anno di volontariato, anche i clerici ed i preti da adibire a compiti sanitari e di assistenza spirituale. Questa decisione scatenò le ire della Curia Romana e della Chiesa in genere, che lanciò una violentissima polemica contro le Istituzioni Italiane, polemica che si protrasse sia con Pio IX che con i sui successori. Lo Stato Italiano non recesse di un millimetro dalle decisioni prese e la riforma Ricotti Magnani divenne legge. La polemica infuriò ancora per anni, ma la legge rimase, tanto che il futuro Papa Giovanni XXIII, Angelo Roncalli, presto servizio come Sergente di Sanità durante la prima guerra mondiale, così come tutti i seminaristi, i preti, ed i frati appartenenti alle classi mobilitate.

Nel 1876 Agostino Depretis, leader della sinistra storica, succede a Minghetti, ma i rapporti tra Stato e Chiesa rimangono così testi che durante la traslazione della salma di Pio IX dal Vaticano alla Chiesa dei Santi Apostoli, a Roma, succedono violenti tafferugli, con intervento di cavalleria e fanteria, impiegate queste truppe per impedire al popolo di Roma, memore dei fatti e misfatti del 1949, di gettare a fiume la salma dell'ultimo papa re.
Con queste premesse, ma se ne potrebbero fare altrettante per sottolineare il clima dei rapporti tra Chiesa e Stato sul finire del secolo, che appare quanto mai inipotizzabile che nell'Ossario eretto in quei anni a Castelfidardo vi siano stati anche raccolti Caduti Pontifici, accanto ai resti dei caduti Italiani.

All'ingresso di Macerata, una lapide posta nel 1961sulla facciata della Chiesa di Santa Maria attesta che in quella chiesa sono sepolti i caduti Pontifici. Ipotesi tutta da verificare in quanto la distanza dal campo di battaglia e la chiesa di Santa Maria e di circa 60 km.
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Ricerche condotte presso L'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, dell'Istituto di Storia dell'Arma del Genio e Onorcaduti, portano ad escludere che nell'Ossario di Castelfidardo vi siano sepolti Caduti Pontifici.

Si può avanzare l'ipotesi che, come per la Croce abusivamente messa, vi siano stati, soprattutto nell'arco delle due guerre, iniziative tali da portare resti di caduti pontifici nell'Ossario Italiano. Tutto questo è da provare e dimostrare, soprattutto quali Caduti, dove erano prima sepolti, chi li ha fatti seppellire nell'Ossario ecc.

Valida appare anche la tesi che tutto questo sia frutto delle voci passate, come fonti orali, di padre in figlio e non controllate. Le popolazioni della valle del Musone hanno, come tradizione orale, molte versioni frutto anche di fantasia, o di scarsa conoscenza dei fatti. Ad esempio, nel 1863, il canonico di Camerano, il paese di fronte a Castelfidardo, ha scritto, in latino, "De Pugna ad Castrumfidardum", tradotto e pubblicato nel 1991, in cui la versione della Battaglia di Castelfidardo è basata sulla fantasia, sui temi clericali e sulla difesa del potere temporali dei Papi. Molte delle versioni popolari e leggende su questo fatto d'armi trovano fonti in questa attività a favore della Chiesa e di Pio IX.

E' pur vero che nel 1903 i proprietari dei terreni limitrofi, senza che le autorità del tempo si opponessero, hanno fatto mettere una croce cattolica sopra la colonna posta al centro del Sacrario. Al riguardo è bene ricordare che papa Pio IX scomunicò tutti coloro che aderivano al processo unitario italiano, in particolare coloro che prendevano le armi contro lo Stato della Chiesa. Quindi tutti i soldati sepolti nel Sacrario sono morti tutti scomunicati. In più vi è sepolto il Cap. Cugia di Sant'Orsola, di famiglia notoriamente laica e mazziniana.
Si potrebbe ulteriormente approfondire questi aspetti con altre documentazioni, frutto di oltre venti anni di ricerche sia in Italia che in Belgio e Francia. Ma tutte dimostrano che è costante per gli eventi del 1860 una mistificazione di come si sono svolti i fatti, tutte volte a diminuire o annullare i significati di questa battaglia, nel quadro dei rapporti fra Stato e Chiesa.

Cerimonia del 18 settembre 2000

La cerimonia tenuta il 18 settembre ultimo scorso ha 'esaltato l'Ossario di Castelfidardo come un Sacrario Europeo, ove sono sepolti Caduti di tutta Europa alla presenza di ambasciatori europei. Una forzatura per un Sacrario di caduti Italiani in un area in cui sono caduti uomini, si provenienti da Austria, Bosnia, Croazia, Svizzera, Francia, Belgio e Spagna, ma inquadrati nell'esercito Pontificio. Era tradizione per questo esercito reclutare, tramite i Nunzi Apostolici, in nazioni ostili al processo unitario italiano. Irlandesi perché cattolici ferventi e bisognosi di una occupazione, Francesi, Belgi e Spagnoli, perché legittimisti e contrari a Napoleone III, i restanti, Austriaci, Croati, Bosniaci, Montenegrini perché sotto dominio austriaco e quindi ostili all'Italia, Svizzeri per tradizione mercenari per la Chiesa cattolica. Vi erano anche due reggimenti di italiani ( chiamati Indigeni). Con la loro presenza si potrebbe anche definire, in una ulteriore forzatura, la battaglia di Castelfidardo, "un episodio di guerra civile", nel solco delle assurdità avallate a posteriori.
Di fronte avevano oltre che piemontesi, lombardi e sardi ( Brigata Regina, 9 e 10 reggimento fanteria) anche emiliani, toscano e romagnoli, oltre che veneti (ovvero reparti provenienti dall'esercito dell'Italia Centrale costituitosi nel 1860 ed inglobati nell'estate del 1860 nell'esercito Sardo).

I Soldati pontifici erano veri soldati, tanto che misero in atto una manovra logistica di primo ordine tanto che dal 14 al 17 settembre tutte le brigate operative si trasferirono, in perfetto ordine, dall'Umbria alle Marche e tutti giunsero sul fronte del fuoco a Castelfidardo. Uomini determinati a impedire agli Italiani a divenire nazione e che lo dimostrarono anche con il loro comportamento alla vigilia della battaglia del 18 settembre quale era il sentimento che li animava: infatti misero a saccheggio le case dei contadini e le cantine di Loreto, alla ricerca di cibo e vino, ed al grido di "chiede i soldi al papa". Erano sicuramente non animati da spirito europeistico, estraneo a quel tempo a tutti i paesi di provenienza.

Parlare dell'Ossario di Castelfidardo come di un Sacrario Europeo è un "non senso". Vi sono raccolti i resti di soldati sardi e quando fu costruito nessuno pensava ad altra destinazione che quella dichiarata.

Presenza degli Ambasciatori Europei

Sarebbe opportuno chiarire questo punto. Risulterebbe che alla manifestazione non sia intervento alcun rappresentante di ambasciate europee accreditate in Italia o in Vaticano. Ma risulterebbe anche che nessun invito sia stato predisposto per questi rappresentanti. Come risulta dalla pubblicazione allegata del Comune di Castelfidardo

L'Unica autorità, oltre a quelle locali, sembra essere mons. Ermanno Carnevali, dell'Arcidiocesi di Ancona Osimo, che peraltro ha celebrato una Messa in un sacrario di soldati che, per adempiere al loro dovere, la Chiesa ha scomunicato.
Massimo Coltrinari

venerdì 1 gennaio 2010

RAPPORTO DEL COMANDANTE LA PIAZZA DI LORETO
18 -19 SETTEMBRE 1860

AL MINISTRO DELLE ARMI DI ROMA
Eccellenza Reverendissima!

Agli 16 si fece marcia forzata da Macerata a Loreto per la via di Monte Lupone, Monte Santo e Porto Recanati: il giorno dopo arrivò la brigata Pimodan nei contorni. Agli 18 ebbe luogo la battaglia in cui fummo sconfitti tra il Musone e le Crocette.
I franco-belgi si distinsero per bravura: il battaglione Fuchmann seguì ogni disposizione che ebbe dal generale De Lamoricière; attaccò le alture difese dalle batterie e sostenne il combattimento finchè il generale De Lamoricière gli ordinò di proteggere la ritirata; il che fece con tutta precisione. Fu il solo che rientrò ordinato e schierato in Loreto. Gli latri corpi si ruppero sotto il fuoco dell’artiglieria sarda. Vedendo la rotta, il generale De Lamoricère partì, senza farne parte ad un capo di corpo o uffiziale superiore, per Ancona. I signori colonnelli pregarono il devoto sottoscritto di assumere il comando, allorquando si era cercato per due ore e dappertutto, ma senza risultato, il sig. generale. Frattanto il nemico circondò Loreto di maniera a che mancarono i viveri, che un saccheggio ed un battersi dei corpi delle diverse nazionalità tra di loro erano imminenti. Avevo mandato due ufficiali a chiedere il cadavere di Pimodan per seppellirlo a Loreto. Il generale Cialdini mi fece dire, per mezzo di questi, che voleva abboccarmi a mezzodì del 19. Vi andai e la convenzione qui acchiusa ne fu il risultamento.
Coll’aiuto dell’intendente Gagliani, che con tutta energia s’occupò dei viveri, con gl’Irlandesi, coi pochi rimasti franco-belgi, colle guide che erano rimaste schierate ed atte a combattere, e soprattutto col battaglione Fuchmann, avrei potuto continuare la difesa di Loreto; ma gli altri corpi tutti erno moralmente indeboliti ed avrebbero piuttosto impedita che aiutata un’azione. Loreto poi non aveva più né viveri e nemmeno denari a prestarci: per dar ricovero ai tanti feriti dovettiporre mano su qualche locale di S.Casa. I superstiti sono qui a Recanati, il generale Leotardi ci tratta con benevolenza.
L’intendente Ferri, con tutti gli oggetti ceh V.E. gli affidò, si è portato col valore, da Porto Recanati verso Ancona, alla sera del 16.
Prego V.E.R. di dire a S.Santità che gli bacio il Sacro Piede.
Il Sottointendente Cellai fu mandato oggi con salva-condotto Sardo ad Ancona per riportarne diecimila scudi; non è ancora tornato. (Ne tornò salvo e portò cinquemila scudi)
In uno le bacio le mani e mi segno,
Di Vossignoria Reverendissima
Umilissimo servo
ENRICO CONTE GOUDENHOVEN
Colonnello
Recanati, 20 settembre 1860
La relazione è pubblicata in M Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009
Artiglieria

RAPPORT DU LIEUTENANT COLONEL BLUMENSTHIL, COMMANDANT DE L’ARTILLERIE PONTIFICALE SUR LE COMBAT DE CASTELFIDARDO

A Ms.r De Merode – Rome

Tivoli, 7 octobre 1860

Dès le commencement du mois de septembre les dispositions du général La Moricière étaient prises contre l’invasion de Garibaldi et des bandes qui réunissaient sur la frontière pontificale dans la Toscane et dans la romagne. La force de l’armèe de notre gouvernement, la composition de l’artillerie et de la cavalerie étaient organisées pour repousser ces bandes ; et le général La Moricière, comme le gouvernement, n’avaient jamais admis la prévision d’une lutte contre l’armée régulière d’une puissance fortement constituée.
Le général La Moricière avait, en conséquence, réparti sa petite armée sur les points les plus menacés.
Le 11 le capitaine Farini rapporta à son général la réponse negative du général La Moricière, qui changea immédiatement ses dispositions. Il ordonna aux trois colonnes mobiles de replier sur Ancone.
Lui-même partit de Spoleto ; Pimodan de Ternì.
L’on arriva le 16-17 a Loreto.
Le général Pimodan reçut l’ordre d’attaquer dans la matinée du 18.
Le plane de bataille était celui-ci :
Le général Pimodan, avec ses 5 bataillons forcerait au dessus du confluent du Musone qu’il devait traverser à gué, il monterait les hauteurs de Castelfidardo par le versant oriental : le général en chef, avec le autres 4 bataillons et la petite cavalerie, passerait la fleuve un peu plus haut et prendrait les Piémontais en flanc. On ne pouvait pas avoir l’espoir de vaincre ; mais de se frayer un passage sur Ancone.
Pimodan se mit en mouvement à 8 h. ½ du matin.
Le musone fut abordè et traversé avec le plus grand entrain ; en moins d’un quart d’heure l’ennemi était débusqué des digues et des rigues qui l’abritaient sur la rive gauche.
Après la rigue s’ètend un vaste camp labouré, montant vers la « Maison blanche » qui couronne le sommet de la colline ; à mi-còte se trouve une ferme composée d’une maison à droite et d’une large cour et de meules de paille et de foin à gauche.
Sur le champ labouré, pimodan se trouva en face au 10e regiment Piémontais et au 26e bataillon Bersaglieri.
Le général, toujours en tête, fit attaquer vigoureusement les Carabiniers Suisses, le 1erbataillon de Chasseurs Indigènes et les Franco-Belges, assaillant les Piémontais avec une grande énergie.
Bientòt les Franco-Belges se trouvèrent à la tête des notres et repousserent l’ennemi à la bajonnette.
On enleva ainsi tout le terrain jusqu’à la ferme.
En même temps le général La Moricière avait formé en bataille, dans le champ labouré, à 600 m. de la ferme ses 4 bataillons, avec la cavalerie à gauche ; deux canons sous les ordres du lieutenant Daudier s’étaient mis en batterie à gauche des meules de foin, à 200 mètres de l’ennemi.
Deux autres canons étaient en batterie à gauche et deux à droite du chemin qui descend de la ferme, mais ces derniers ne purent avoir beaucoup d’effet parce que l’ennemi était masqué par la ferme et nos tirailleurs, malheureusement, trop nombreux.
Au même instant les Piémontais demasquèrent une batterie composée moitié de canons lisses, et ouvrirent sur la réserve un feu à boulets et à mitraille. Bientôt la cavalerie, peu aguérrie, se débanda : il ne resta que les volontaires.
La réserve, composée en général de Suisses très braves, mais non habitués à recevoir de pied ferme des boulets et de la mitrailles, s’ébranla, se désunit et lâcha pied.
Le général en chef s’était transporté à la ferme ; il la contourna de sa personne au milieu d’une grêle de balles, et il vit s’avancer la colonne innombrable des Piémontais.
Il se rendit à la réserve pour la faire avancer et la trouva en désordre. En un clin d’œil il avait jugé la situation.
Il ordonna à ceux qui étaient près de lui de tâcher de se réplier sur Ancone, et il envoya, à ceux qui étaient en avant, M.s De Mont-Marin pour porter le même ordre.
M.s De Mont-Marin fut coupé en deux par un boulet avant de pouvoir transmettre l’ordre reçu.
Le feu augmentait toujours d’intensité à la ferme oû l’on tenait bon, et oû les franco-belges faisaient des merveilles de bravoure.
Pimodan, déjà blessé de deux balles, en reçut une troisième dans le ventre : cette blessure était mortelle.
La réserve avait commencé la retraite et il était impossible de pouvoir tenir plus longtemps à la ferme.
La retraite devint alors générale.
Le bataillon de bersaglieri protégea le mouvement.
Le colonel Goudenhoven prenait alors le commandement des troupes.
Après avoir cherché à rallier les troupes au fleuve, on continua lentement la retraite sur Loreto, qu’on mit en état de défense.
Les soldats étaient complètement démoralisés.
Le lendemain les troupes de Loreto capitulèrent et eurent tous les honneurs de la guerre.

Signé :
BLUMENSTHIL

Il rapporto è pubblicato in M Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009
II Battaglione I Reggimento Fanteria di Linea Indigeno

RAPPORTO DEL COMANDANTE IL 2° BATTAGLIONE CACCIATORI A S.E. IL MINISTRO DE MERODE
- Roma, 25 novembre 1860

La mattina del 18, essendosi ordinata la partenza di tutti i corpi, anche il 2° battaglione di cacciatori marciò con la colonna del generale Pimodan al suo posto. Lungo la via, e precisamente prima di giungere al Musone, qualche cacciatore del mio battaglione fu improvvisamente ferito dalle palle nemiche; il che però non impedì né ritardò il cammino, e, quantunque guadando il fiume si avesse a deplorare il ferimento del tenente Barbavara e di altri cacciatori, pure il battaglione si riordinò in colonna in mezzo alla campagna, avanti alla colonna del battaglione di bersaglieri comandato dal maggiore Fuckmann. Quivi la truppa restò ferma, con l’arma la braccio, senza sgomentarsi punto del vivo fuoco della nemica artiglieria; mostrando sempre il petto e non le spalle al nemico.
Il generale La Moricière, passando, osservò questa colonna di riserva ed ordinò al maggiore Fuckmann di marciare più verso sinistra ed a me verso destra. Questo cambiamento dovendosi eseguire sotto il vivissimo fuoco della mitraglia, venne fatto a passo ginnastico. Nel luogo designato la colonna si arrestò, quantunque, essendo male difesa da rare piante, fosse esposta assai alle offese del nemico. Quivi ci trattenemmo sempre fino alla ritirata, perché mai pervenne l’ordine di muoverci. Che se il signor generale lo avesse comandato, avrebbe avuto col fatto una prova irrefragibile dell’unanime desiderio del battaglione caciatori, ardentissimo di distinguersi. Avvenne intanto la ritirata della prima linea, formata dal battaglione carabineri, dal 1° cacciatori indigeni e dai tiragliatori.
Ciò nulla meno il mio battaglione rimase sempre in posizione e ne può far fede il tenente colonnello Corbucci.
Ma venne il disordine: i carri ed i cavalli della colonna carreggi lo aumentarono. Ci ritirammo quindi a Loreto. Da quanto emerge, la E.V. può dunque rilevare:
1° che il battaglione cacciatori subì la crisi degli altri corpi, soltanto dopo aver fatto quanto doveva e poteva farsi.
2° che ebbe ancor esso l’onore di annoverare fra le sue file dei soldati e degli ufficiali feriti per la più santa delle cause, taluni con ogni rassegnazione nell’ospedale di Loreto si sottoposero ad una necessaria mutilazione.
3° che mai fu da me ordinata una compagnia in bersaglieri, mentre conosceva benissimo che il fuoco di questi sarebbe caduto sopra i soldati della prima linea, e che, per conseguenza, non ebbi e non potei avere alcun ordine da nessuno ufficiale di cessare il fuoco; e non nascondo che mi sorprende oltremodo, come il Signor Generale su questo fatto non abbia raggiunto la verità, e non sia pervenuto a sapere da quale corpo sortisse veramente una compagnia in bersaglieri che, a danno del vero, addebitò al mio battaglione.
4° che il 2° battaglione cacciatori non ebbe mai l’ordine di marciare sopra la Casa di Campagna, e che però non voltò mai le spalle al nemico; che se avesse ricevuto quell’onorifico incarico, lo avrebbe non meno onorevolmente eseguito.
Le quali cose tutte, a me sembra facciano bastantemente conoscere che il 2° battaglione cacciatori non ha meritato quei crudi e mortali rimproveri che a larga mano gli furono profusi. Il che resta ancora confermato dallo stesso Superiore Governo, il quale volle decorati tre ufficiali del mio battaglione, senza che questi siansi mai da esso dilungati, ed abbiano per tal guisa eseguita tale un’operazione da non confondersi cogli altri.
Eccellenza Reverendissima, non è amore di smodata ambizione, né desiderio di lucro che mi spinse a stringer la penna; ma sibbene il mio preciso dovere come Padre dei miei soldati, come Capo del mio battaglione, affinchè venga a questo restituita quella stima che non ha mai demeritata, ed, infine, come tutore del mio onore denigrato in un punto, da poche linee, effetto della troppa buona fede, della lealtà di un distintissimo generale, il quale non suppose forse, e non seppe mai quel terribile germe d’invidia che sempre pose la discordia nella nostra disgraziatissima armata.
Nella lusinga che una provvida mano sovvenga all’uopo, mi pregio confermarmi con rispetto e subordinazione:
Umilis. Devotis. Servo
Il comandante del 2° battaglione cacciatori
P.Giorgi
Il Rapporto è pubblicato in M. Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009

Battaglione Tiragliatori Franco-Belgi

A S.a E.za il Ministro delle armi
RAPPORTO SULLA BATTAGLIA DI CASTELFIDARDO
18 settembre 1860
Monsignore!
Ho l’onore di dirigere a V.a E.za l’unito rapporto sulla battaglia di Castelfidardo combattuta il 18 settembre 1860.
La brigata del generale Pimodan, partita da Terni il 12 settembre, giunse a Loreto il 17, ove, dal giorno avanti, si trovavano le truppe sotto gli ordini del generale in capo. Il nemico, forte di 22000 uomini, occupava le posizioni di Osimo, Castelfidardo e Camerano. Le truppe erano schierate sulle alture di Castelfidardo, a cavaliere della strada di Ancona. Il generale in capo diede l’ordine dell’attacco per la mattina seguente alle ore 8. La brigata Pimodan, costeggiando il mare ad un miglio, doveva traversare il Musone, quindi mutando direzione a sinistra, doveva impossessarsi delle alture della Crocetta; ed in questo tempo il generale De Lamoricière, scendendo da Loreto, doveva attaccare direttamente e prendere il nemico di fianco, movimento che doveva permetterci di forzare il passaggio ed arrivare in Ancona, scopo delle operazioni.
Le truppe del generale Pimodan eseguirono il loro movimento alle ore 8 ¾ nell’ordine seguente: il battaglione dei carabinieri, preceduti da due compagnie; il 1° Cacciatori indigeni; il battaglione dei Tiragliatori; il 2° Cacciatori indigeni; il 2° battaglione dei Bersaglieri.
Il passaggio del fiume fu leggermente contrastato dal fuoco di alcuni tiragliatori, i quali si ripiegarono tostochè le prima compagnie avevano guadagnato la sponda opposta. Le truppe si prolungarono sulla sinistra, coprendosi dietro un pendio che serviva da riparo, e furono per dieci minuti fra due fuochi: quello del nemico da una parte e quello del 2° Cacciatori indigeni dall’altra. Questi non avendo ancora varcato il fiume, tiravano sulle prime file.
Il generale de Pimodan ordinò di impossessarsi della casa colonica la “Crocetta”, quasi ai piedi della collina dietro cui era accampata una gran parte dell’armata piemontese: il nemico non difese questa posizione ed il mio battaglione, guadagnando terreno, prese posto innanzi al 1° Cacciatori indigeni spiegandosi in tiragliatori a dieci metri dalla casa: là impegnò un fuoco ben nutrito coi Bersaglieri piemontesi, durante un quarto d’ora. Il battaglione Ubaldini avendo occupato la posizione, io ordinai una carica alla baionetta, e fu eseguita brillantemente respingendo a 200 metri i Bersaglieri piemontesi, che tenemmo in iscacco quasi un quarto d’ora.
Ed a questo punto debbo dire il vero, che se io fossi stato appoggiato nel mio movimento, come più volte ho richiesto al generalede Pimodan, noi avremmo potuto guadagnare l’altura, impadronircene, e forse il risultato sarebbe stato differente: non fui aiutato e dovetti ripiegarmi sulla “casa colonica”.
Una seconda carica venne eseguita con lo stesso slancio, e collo stesso risultato della prima: ma il nemico arrivava da tutte le parti, e la ritirata era imminente. A questo punto il generale De Lamoricière passava la rivista delle linee: il suo Corpo non eseguì il movimento annunziato, e lo vedemmo, dopo essersi spiegato in battaglia nella pianura, battere in ritirata prima che noi avessimo incominciato lo stesso movimento: fu allora eseguito dirigendoci a Loreto. Molti soldati presero delle direzioni opposte, e la sera ci trovammo in numero di circa 3500.
Io ricondussi 86 uomini e 5 ufficiali: il resto era ferito, ucciso, o prigioniero. Le perdite da me fatte sommano a 4 capitani feriti, 4 sottotenenti, 110 soldati incirca, e da 25 a 30 morti, il resto rimase prigioniero. L’effettivo al momento dell’attacco era di 270 uomini.
Il giorno appresso 19, il nemico facendo dei movimenti intorno a Loreto, un attacco divenne inevitabile. Il colonnello Goudenhoven, eletto comandante in capo, riunì i capi dei Corpi per conoscere l’effettivo ed i mezzi di difesa che si potevano opporre al nemico.
Non si trovarono tra i carabinieri, bersaglieri, guide e franco-belgi che 1500 combattenti reali al più. Gli artiglieri mancavano, le munizioni erano considerevolmente diminuite, e la piazza sprovvista di viveri: la resistenza era dunque impossibile, e si decise di capitolare.
Il colonnello Goudenhoven fu incaricato di redigere i differenti articoli della capitolazione, che egli conchiuse col generale Cialdini.
La sera del 19 ci recammo a Recanati, ove ci furono resi gli onori di guerra e facemmo deporre le armi ai soldati, gli ufficiali conservarono le loro, e fummo inviati alle nostre patrie:
L’Autorità piemontese ordinò, io lo credo, che noi fossimo rispettati durante il viaggio; ma gli ufficiali incaricati di questo servizio lo eseguirono molto male: fummo insultati e maltrattati in tutte le città di passaggio.
Unisco al presente rapporto, Monsignore, uno stato di proposta pei Tiragliatori che durante il loro servizio, e durante la battaglia hanno meritato una ricompensa. Io profitto di questa occasione per raccomandarli alla vostra benevolenza.
Sono col più profondo rispetto
Di Vostra Eccellenza
Umil.° e Dev.° Servitore
Il Colonnello dei Franco-Belgi
Il Rapporto è pubblicato in M. Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009
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Battaglione Cacciatori Indigeni

RAPPORTO SPARAGANA
Rapporto del maggiore Ludovico Sparagana a monsignor De Merode, sulla battaglia di Castelfidardo, del 18 settembre 1860.
La sera del 16 settembre fui lasciato in posizione e difesa di Porto Recanati fintantochè non fu imbarcato il tesoro di guerra, ed appena fu ultimata tale incombenza, marciai su Loreto, in sostegno dell’artiglieria, assumendo il difficile incarico di retroguardia. Giunto alle 8 ½ pomeridiane in Loreto, ebbi l’ordine di accamparmi sulla Piazza della Fontana, a disposizione superiore. La sera del 17, al rapporto, il generale in capo mi ordinava di pormi agli ordini del colonnello Cropt e di far parte della colonna di sostegno per la battaglia dell’indomani, composta del miobattaglione, del 1° reggimento estero e del 2° battaglione del 2° reggimento estero, che dovevano rimanere a disposizione del generale Lamoricière.
Difatti sulla Piazza della Fontana, la mattina del 18, il generale in capo si mise in movimento con le sopra dette truppe.
L’ordine era il seguente:
Il 1° reggimento estero (tenente colonnello Alet) in testa alla colonna: lo seguiva il parco d’artiglieria, comandato dal colonnello Blumensthil, e lo squadrone di cavalleggeri. Veniva quindi la colonna di sostegno al comando del colonnello Cropt, composta del battaglione al mio comando e del 2° battaglione del 2° reggimento estero. Infine lo squadrone gendarmi l’ambulanza, ecc.
In quest’ordine si defilò prendendo la via delle Crocette: poco prima di giungere al Musone la battaglia era già impeganata dal generale Pimodan con la sua brigata, per cui si accelerò il passo e transitato a guado ordinamente il detto fiume, si defilò sotto il semicerchio delle posizioni nemiche, prendendo posto dietro la brigata pimodan. Durante il <> ed in posizione, non poche mitraglie delle batterie ordinarie e granate dei varii pezzi rigati tempestarono di proiettili i battaglioni schierati in battaglia scoperto; ed in tal posizione senza poter né avanzare, né far uso delle armi, rimanemmo circa un’ora.
Ordini di sorta non giunsero in questo tempo: solo si osservò che la colonna Pimodan si ritraeva dalle posizioni e si apprese poco dopo la morte del detto generale.
Dopo una breve avanzata di 200 m. veniva battuta la ritirata, la quale cominciò dal 1° reggimento estero e dall’artiglieria. Il mio battaglione venne frammischiato scompigliato. E perché il generale Lamoricière aveva ordinata la ritirata su <>, così ci rivolgemmo da quella parte con il tenente colonnello Alet et il maggire Odescalchi, oltre al capitano di stato maggiore Lorgeril e la maggior parte dei miei ufficiali e sottoufficiali e soldati, con il porta bandiera, sergente maggiore Guglielmini.
A poca distanza dal Monte, due colonne nemiche ci tagliarono fuori: riguadammo allora per la quarta volta il fiume Musone e ci recammo a Porto Recanati per mettere a mare un trabaccolo, per andare ad Ancona e raggiungere il generale Lamoricière.
Ad onta di ogni sforzo, ciò non ci fu possibile di eseguire. Ci ritraemmo allora a Loreto con ufficiali, sottoufficiali e soldati.
Il maggiore
LUDOVICO SPARAGANA”
Il Rapporto è pubblicato in M. Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860, oma, Edizioni Nuova Cultura, 2009
Battaglione Carabinieri Svizzeri

RAPPORTO MORLET
“Rapport du caporal Morlet, fourrier à la 8e Compagnie du bataillon de carabiniers, sur la conduite qu’il a tenue le 18 septembre 1860 à la bataille de Castelfidardo.

Le corps d’armée commandé par le général Pimodan vint bivouaquer le 17 septembre auprès de Loreto. Le lendemain, 18, dès l’aube du jour, tout le camp se mit en mouvement. On fit le café et on s’occupa des distributions de vivres qui arrivèrent assez tard. La viande n’était pas cuite au moment du rappel, de sorte qu’il fallut prendre les armes ètant presque a jeun.
Vers 7 heures environ, on se forma en bataille, sur la route, dans l’ordre de marche qui était celui adopté pour le combat.
1) Six compagnies du bataillon de carabiniers suisses (les 5me et 7me compagnies étaient à Viterbo).
2) Un bataillon de chasseurs indigènes.
3) Le bataillon de Franco-Belges.
4) Un deuxième bataillon de chasseurs indigènes.
5) Un bataillon de chasseurs autrichiens.
6) Enfin, en face de nous, dans une prairie, la 11me batterie d’artillerie, les bagages et les bêtes de somme.
Le combat s’engagea. C’est alors que le bataillon de chasseurs, qui était en deuxième ligne sur l’autre rive, se mit à faire feu sur nous par méprise.
Le général fit immédiatement cesser le feu en les menaçant de leur faire rendre les armes s’il entendait encore un coup.
On oublia bientôt cet incident fâcheux, qui nous avait coûté un homme, pour nous occuper des Piémontais qui faisaient un mouvement offensif sur la ferme F d’où partaient nos premiers coups de canon. « Ils menacent notre artillerie ! s’écria le général Pimodan. Partez, partez vite… ».
Aussitôt avec une poignée d’hommes je sautai sur la digue : la 8me compagnie escalada la digue à mon exemple et prit le pas de course en mettant la baïonnette au canon.
A notre aspect, les bersaglieri rebroussèrent chemin et se retirèrent sur le coteau F, mais je ne pus pas les y poursuivre.
Les chevau-légers se rebattaient en arrière malgré mes efforts pour les retenir ; ils cédaient sous la grêle de mitraille qui pleuvait sur nous.
Aussitôt après notre retour sur la digue, le général de Pimodan donna l’ordre de se former en colonne pour marcher sur une ferme assez élevée du côteau de Castelfidardo.
Mais, comme il y avait de l’hésitations dans l’exécution de cet ordre, mon lieutenant, debout sur la digue, se tourna vers le général et lui demanda la permission de sortir.
La 8me compagnie s’ebranla alors de nouveau, les autres suivirent. On franchit à toutes jambes l’espace qu’il fallait parcourir pour l’ennemi, qui était revenu sur le chemin (II.G.).
Les Piémontais essayèrent de résister, embusques en partie dans un grand fossé qui borde l’avenue que nous abordions, malgré un feu très vif : ils furent promptement débusqués.
Ils se replièrent sur la colline où nous les poursuivimes. Lorsque nous fûmes arrivés au point où les deux chemins se croisent (II) nous fûmes obligés de nous arréter pour attendre ceux qui nous suivaient de plus près. Enfin nous montâmes à l’assaut de la ferme redoutable que nous voulions enlever à l’ennemi (M.1.).
La position était formidable, en effet, et vigoureusement défendue par un feu très vif et la pente, que nous gravissions sous une pluie de balles, était assez raide.
Nous avancions en tirant, sous les rangées d’arbres qui bordent le chemin et qui nous abriaient. Lorsque nous fûmes à portée, nous débouchâmes ensemble dans la ferme en faisant feu à bout portant. Notre impétuosité était telle, que nous produisions un effet terrible. L’ennemi lâcha prise : la masse battit en retraite ; ceux qui se trouvaient à notre portée étaient terrassés.
Nous traversàmes cette ferme comme un ouragan furieux et nous poursuivîmes l’ennemi sur le chemin transversal qui se trouve au dessus de la position que nous venions de conquérir.
Le chemin sur lequel nous étions au point J, apparaît un talus élevé qui nous garantissait des feux de face ; nous avions de la peine à nous y tenir pour tirer par-dessus sa crête ; mais nous étions pris en flanc par le feu qui partait d’une ferme située sur notre droite, et tout à coup nous nous aperçumes qu’on tirait sur nous par derrière.
On nous prenait, depuis la plaine, pour les Piémontais ; les indigènes qui venaient d’arriver à la ferme M.1., manquant de sang froid sans doute, nous envoyèrent même quelques coups de carabine.
La position était critique. Nous nous efforcions de crier : « Halte !Halte ! Ne tirez pas ! C’est nous ! Les carabiniers !... ».
On ne nous entendait pas. Au bout de quelques instants,, nous fûmes assaillis par une charge subite, qui faillit nous envelopper.
On se sauva à toutes jambes dans la ferme, car nous étions déjà débordés sur notre gauche par un bataillon qui se déployait au pas de course à 50 pas de nous. La paille était enflaminée : je faillis me jeter à la gueule de notre canon auquel on allait mettre le feu.
On faisait feu de toutes armes pour repousser cette charge vigoureuse de l’ennemi. Les Franco-Belges étaient accourus après nous : le général Pimodan y était lui-même, à cheval, au milieu de la mêlée, montrant le plus grand sang froid et ordonnant de s’élancer à la baïonnette. L’ennemi fut repoussé par une charge brillante et nous remontâmes jusque sue le chemin I, que nous ne pûmes dépasser…
Le combat continua avec acharnement de part et d’autre et malgré l’effet meurtrier de notre canon, si bien dirigé au milieu de la fusillade, l’ennemi revint à la charge jusque dans notre position.
Le bataillon des Autrichiens venait d’arriver ; il nous seconda puissamment dans ce combat où il prit une part glorieuse. Pendant cette seconde charge à la baïonnette M.le capitaine Charrette, au milieu des Franco-Belges, s’escrimait à l’épée avec un officier piémontais qui fut terrassé contre un tas de paille situé à gauchet et un peu en avant du front.
La lutte était terrible et sanglante. Plusieurs officiers étaient atteints : le plus cher, le plus illustre, notre vaillant général, n’était pas épargné !...
Je revins au point M où était notre canon.
Je demandai au lieutenant Daudier si cette pièce était déjà hors de service, et il me dit qu’il avait pris cette précaution en cas de prise. Les artilleurs étaient tous blessés ou tués : M.Daudier m’envoya avertir le Commandant de l’artillerie que sa pièce était toujours en notre pouvoir, mais qu’il ne pouvait plus compter sur son feu.
Je descendis dans la plaine pour exécuter cette consigne. Je fus atteint, chemin faisant, par des éclats de terre d’un projectile.
Je trouvai l’artillerie au point G : elle était en dèsondre sous le feu plongeant des hauteurs de castelfidardo. Le Commandant était à cheval sous un arbre au bord du chemin ; après lui avoir rendu compte de ce qui se passait, il me répondit qu’il fallait dire à l’officier d’artillerie qui m’avait envoyé de tâcher de ramener sa pièce. Je remontais la colline pour rendre compte, lorsque je rencontrai les Autrichiens qui se retiraient en bon ordre et, plus haut, M.le lieutenant Daudier qui ramenait sa pièce à l’aide de quelques Franco-Belges qui s’y étaient attelés.
Je m’aperçus à cet instant qu’un groupe de Piémontais venait sur la droite, menaçant de cerner la ferme que l’on évacuait.
Tout était fini. L’ennemi dèbordait en effet de toutes parts sur nos derrières. Nous fîmes retraite sous les arbres du chemin dont les branches mutilées encombraient la voie et nous longeâmes le grand fossé pour atteindre la ferme P.
De la nous traversâmes des jardins et des vignes pour aller repasser la rivière plus bas que la première fois, afin de nous soustraire à la cavalerie, et nous regagnâmes la route de Loreto.

MORLET
Cap.fourrier à la 8e compagnie
des Carabiniers suisses
(ex-luogotenente della fanteria francese)
Il Rapporto è pubblicato su M. Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, Roma, Edizioni Nuova Cultuta, 2009
Battaglione Carabinieri Svizzeri

RAPPORTO JEANNERAT
Rapport à S.E. Rev.me Mons. De Mérode, ministre des Armes de S.S. sur le combat de Castelfidardo.
Rome, 11 octobre 1860
Le 17 septembre, le bataillon de carabiniers, les deux bataillons de chasseurs indigènes, le bataillon de tirailleurs Franco-Belges, le 2me bataillon bersaglieri, deux batteries d’artillerie, les dragons et l’ambulance, venant de Macerata et passant par Monte Lupone, Monte Santo et Porto Recanati, arrivèrent, vers 6 heures du soir, près de Loreto, où ils eurent l’ordre de camper pendant la nuit.
Le lendemain 18, on reçut l’ordre de lever le campe et d’être sous les armes à 7 heures du matin; le bataillon des carabiniers, ouvrant la marche, suivi du bataillon de chasseurs indigenes Giorgi formaient l’avantgarde.
Vers 8 ½ heures,, la colonne se mit en mouvement se dirigeant vers le fleuve Musone. Avant de passer le fleuve, deux compagnies de bersaglieri furent déployées en tirailleurs et envoyées en avant pour fouiller un petit bois qui est sur la rive droite du fleuve et débusquer l’ennemi dans le cas où il s’y serait embusqué: ces éclaireurs échangèrent quelques coups de fusil avec les tirailleurs ennemis qui gardaient le gué du côté opposé.
Pendant ce petit engagement je passai le fleuve avec les quatre autres compagnies: cette opération faite au pas de corse, je fis immédiatement déployer ces compagnies derriére la digue de rive gauche et commença un feu bien nourri contre l’ennemi qui cédait le terrain. Là je fus rejoins par les deux compagnies qui avaient protégé le passage du fleuve ; j’eus déjà plusieurs hommes blessés, entre autres M.le capitaine Elgger au bras gauche et moi-même au menton, mais légèrement.
Pendant que mon bataillon était là à tirailler en gagnant peu à peu le terrain, je m’aperçus que l’on tirait sur nous par derrière et que j’étais entre deux feux. C’étaient les Chasseurs Giorgi qui tiraient sur nous ; était-ce avec intention ou non ?
C’est ce que je ne puis assurer ; mais ce qu’il y a de positif c’est que, nous suivant de très près, ils devaient savoir et ne pouvaient pas ignorer que c’était le bataillon de carabiniers qui était devant eux.
Deux fois je suis sorti du petit bois qui borde la rive gauche du fleuve pour me fair reconnaître d’eux et faire cesser leurs feux ; deux fois M.de Renneville, officier aux guides et attaché à l’Etat major du général Pimodan, est allé à eux pour les prévenir qu’ils tiraient sur des amis et non pas sur l’ennemi.
Après avoir remonté le fleuve environ d’un demi mille, toujours en continuant le feu, je reçus l’ordre de détacher une compagnie pour protéger une batterie d’artillerie : cela fait, je me lançai à travers les champs, avec les 5 compagnies qui me restaient, à la poursuite de l’ennemi qui nous cédait le terrain et qui se ralliait autour et dans les maisons d’une ferme et derrière quelques meules de paille près de cette même ferme.
Là s’engagea una vive fusillade de part et d’autre et nous parvînmes à débusquer et repousser l’ennemi, et à rester maîtres de la position ; nous fîmes quelques prisonniers.
Là nous fûmes rejoints par la bataillon Franco-Belge qui a donné de belles preuves de valeur, et qui nous aida à repousser deux charges à la baïonnette faites par l’ennemi pour reprendre notre position. Nous tinmes assez longtemps dans cette même position sous une grêle de projectiles que l’ennemi faisait pleuvoir sur nous ; c’est pendant ce temps que le général Lamoricière vint jusqu’à la première ligne, qu’il m’appela, me serra la main et me fit des éloges sur la belle conduite du bataillon que je commandais.
En même temps parut dans la plaine et se forma en bataille la 2me colonne, composée du 1 régiment Etranger Cropt, le bataillon Bell du 2me règiment étranger, le bataillon Sparagana du 2me régiment Indigène, le bataillon Ubaldini des chasseurs Indigènes et le bataillon de Saint Patrice. Comme cette colonne se trouvait à la portée du canon de l’ennemi, celui-ci envoya quelques volées de son artillerie, qui tombèrent au milieu des rangs et y firent quelques trouées.
La colonne, se voyant ainsi exposée, fit, j’ignore sur quel ordre, un mouvement en arrière qui fut le signal de la retraite.
Le bataillon de chasseurs Giorgi, qui s’était mis à couvert du feu derriére les maisons de la ferme et se tenait dans l’inaction, voyant la 2me colonne qui se retirait sans avoir brûlé une cartouche, se mit à fuir à la débandade. Le bataillon de carabiniers et le bataillon Franco-Belge, se voyant isolés, ayant subi de fortes pertes, se trouvant considérablement affaiblis, et ne pouvant plus tenir seuls cette position, commencèrent leur mouvement de retraite, tout en continuant à faire feu.
C’est alors que parut le bataillon de bersaglieri Fuckmann, qui engagea un combat acharné avec l’ennemi pour protéger notre retraite qui s’effectua sur Loreto…
J’ai eu 200 hommes tués ou blessés, dont un a été fait prisonnier.
Il est à croire qu’on aurait obtenu un meilleur résultat, si la 2me colonne, au lieu de se retirer, avait été conduite au combat en faisant un petit mouvement de conversion pour prendre l’ennemi en flanc.
Quelques-uns prétendent que les ordres ont été donnés ; mais je ne puis l’affirmer.
Le Commandant du bataillon de carabiniers
I.JEANNERAT ‘’.
Il Rapporto è stato pubblicato su M Coltrinari, Il Combattimento di Lorto detto di Castelfidardo, 18 settembre 1860, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009
BOLLETTINO DELL’ARMATA PONTIFICIA
20 settembre 1860

La sera del 17 settembre il corpo comandato dal generale De Lamoricière, e composto di cinque compagnie del 2° battaglione del 2° Reggimento Indigeno, del 1° Reggimento estero, del 2° battaglione del 2° Reggimento parimenti estero, di una compagnia battaglione S.Patrizio, dello squadrone delle Guide, di uno squadrone di gendarmeria, ed uno cavalleggeri, nonché di 10 pezzi d’artiglieria, comandati dal tenente colonnello Blumensthil, il tutto ammontante a circa 3500 uomini, occupava la città di Loreto nelle varie sue posizioni in attenzione dell’arrivo della brigata Pimodan, onde tentare il passaggio da Camerano in Ancona; e difatti giunta questa la sera del 17, e composta del 1° e 2° Cacciatori indigeni, 1° Carabinieri, battaglione tiragliatori, del 2° bersaglieri, batteria Stainer, due squadroni dei dragoni e relative ambulanze, formante in tutto circa 3050 uomini, si accampò circa due miglia fra Loreto ed il porto Recanati.
Al rapporto della sera il sig. generale De Lamoricière ordinava che per la dimani mattina, circa alle ore 10 antimeridiane, tutti i corpi fossero al loro posto per cominciare l’attacco, e con ordine che la brigata Pimodan prendesse l’iniziativa.
Occupava l’armata piemontese forte di circa 30000 uomini con l’estrema dritta Recanati, ed estendendosi per le alture di Castelfidardo de Osimo, teneva il suo centro al Monte delle Crocette, e l’estrema sinistra verso Camerano, occupando eziandio fortemente il contrafforte del Monte delle Crocette, come posto avanzato della linea.
Difatti appena la colonna Pimodan cominciava ad inoltrarsi lungo la riva destra del fiume Musone, l’avanguardia comandata dal tenente colonnello Corbucci, e composta dei corpi 1° Carabinieri, 1° Cacciatori indigeni, battaglione bersaglieri, ed una sezione d’artiglieria, lo guadava vicino alla via detta della Banderuola; allorchè l’inimico spinse in avanti, dalla posizione pel contrafforte, un numero straordinario di bersaglieri onde contrastare il passo, mentre altra linea di bersaglieri sotto un burrone dalla parte destra prendeva di fianco le colonne marcianti. I corpi pontifici che marciavano, avevano all’estrema punta il 1° battaglione carabinieri, ed in sostegno di questi il 1° battaglione cacciatori, battaglione tiragliatori e due pezzi d’artiglieria; e giunti al guado destinato, i carabinieri si spiegarono ed aprirono il combattimento sotto la protezione del quale guidò l’intera colonna, e s’impegnò un combattimento generale che si spinse fino sotto al contrafforte, ricacciando l’inimico al di là della loro posizione, facendo anche dei prigionieri. Per altro i nemici, protetti da una forte selva situata sul monte stesso alla loro sinistra, e da una seconda posizione più alta, e già fortificata in antecedenza, cominciarono a fulminare dalla loro posizione sulla perduta con mitraglie e granate, in modo non solo da rendere impossibile ogni ulteriore avanzamento, ma di mantenersi nella fatta conquista. Intanto la colonna De Lamoricière, giunta al defilato della via della Banderuola, e guadato il fiume, si pose in ordine serrato; ma tormentata ancor questa dai cannoni rigati dalla posizione piemontese fortificata, e veduta la difficoltà di sostenere la posizione conquistata dopo un’altra ora di vivissimo fuoco, ed accaduta la morte del generale Pimodan sulla posizione presa, il generale in capo ordinò la ritirata, la quale venne eseguita da tutti i corpi sotto il fuoco dell’artiglieria e fanteria nemica per circa due miglia: la maggior parte dei corpi rientrarono in Loreto, lasciando sul campo di battaglia moltissimi morti d’ogni grado, feriti e prigionieri, e tre pezzi d’artiglieria, che non si poterono trasportare per difetto del terreno e perdita dei cavalli. L’inimico ebbe egli ancora delle perdite considerevoli a sua confesione. Il generale in capo, seguito dallo squadrone di cavalleggeri, da due pezzi d’artiglieria, da una parte dei battaglioni Dupasquier e Belle, e da vari plotoni delle riserve d’ogni corpo, presa la via di Sirolo, tentò di dirigersi in Ancona; ma non potè raggiungere lo scopo che il solo generale in capo, seguito da pochi cavalleggeri e due pezzi d’artiglieria, mentre il resto della scorta rimase prigioniera di un corpo nemico appostato colà per l’oggetto.
I soldati, animati dai propri ufficiali, fecero fino all’estremo il loro dovere, e combatterono brillantemente, non curando le maggiori forze e le posizioni formidabili del nemico, e particolarmente i primi corpi che entrarono in combattimento; gareggairono tanto gli ufficiali che i soldati di coraggio e devozione, seguendo così l’esempio del generale Pimodan, che rimase ucciso sul campo.
Il battaglione Fuchman conservò l’ordine, protesse la ritirata e pel suo forte contegno e valoroso combattere fece sì che il nemico non inseguì che con gran circospezione.

Recanati, 20 settembre 1860
Questo Bollettino è stato pubblicato su M Coltrinari, Il Combattimento di Lorto, detto di Castelfidardo, Roma, Edizoni Nuova Cultura, 2009
RAPPORTO DURANDI
“Al sig. Comandante la Brigata Regina
9° Reggimento Fanteria Dal campo del Quadrivio di S.Biagio
21 settembre 1860

Appena che ebbe luogo l’attacco , il reggimento, dietro ordine di V.S.Ill.ma, prese le armi per recarsi a prendere posizione sul poggio a sinistra di Crocette; dopo mezz’ora all’incirca, dacchè il reggimento si trovava su quel poggio, ricevette l’ordine di portarsi verso il paese di Umana, allo scopo di tagliare la ritirata al nemico, che si dirigeva da quella parte per rientrare in Ancona, alla distanza però di due chilometri dal punto di partenza, su di un’altura che dominava il mare.
Il reggimento si divise in due parti: la prima, della forza di due battaglioni, sotto il comando del signor generale di brigata, si diresse verso il paese di Umana; la seconda, composta di sei compagnie, venne condotta dal sottoscritto, più sulla destra, ad un chilometro e mezzo circa da Umana, verso la spiaggia del mare; sempre nell’intento di impedire la ritirata ad una colonna nemica che si ripiegava verso Ancona costeggiando il litorale, composta di circa quattrocento uomini.
La velocità con cui le nostre truppe operarono tal movimento, fece sì che più di due terzi della forza del nemico rimase prigioniera, quantunque non tralasciasse di opporre resistenza, che fu resa del tutto vana atteso lo slancio e la risolutezza con cui i nostri operarono l’attacco. Perciò, vista l’impossibilità di potere eseguire il suo movimento in ritirata, il nemico abbassale armi e si arrese prigioniero, lasciando molti morti sul campo, nonché vari annegati, che, piuttosto che arrendersi, preferirono gettarsi in mare, fra i quali anche un ufficiale.
La condotta delle truppe che erano sotto i miei ordini, merita tutti gli encomi pel coraggio e l’intrepidezza che mostrò in tale occasione, al punto che più di una volta fui obbligato di raffrenarne lo slancio per mantenere l’ordine compatto.
Fra quelli che si segnalarono maggiormente in tale scontro, si annoverarono i segnati, nella qui acclusa nota, che io mi pregio di raccomandare alla S.V. Ill.ma onde voglia concederle benigno appoggio presso il signor Generale Comandante la Divisione per quelle ricompense che nella sua saviezza crederà ben meritate. Aggiungendole altresì che i signori ufficiali superiori presenti al fatto d’armi mi secondarono in modo da non lasciare nulla a desiderare, per cui gliene faccio speciale raccomandazione per quanto crederà di fare anche per i medesimi.
Il Tenente Colonnello Comandante
Firmato: DURANDI
Il rapporto è pubblicato su M. Coltrinari, Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo, Roma,Edizioni Nuova Cultura, 2009,
Narrazione sull’attacco di Castelfidardo del 18 settembre 1860
del 18 settembre 1860 relativamente ai dragoni pontifici.
Nell’attacco del giorno 18 settembre 1860, la cavalleria trovavasi alla coda della colonna del generale Pimodan, piazzata in colonna per squadroni sulla pianura dalla parte destra del fiume Musone, e distante da esso circa mezzo miglio.
Dopo due ore che era cominciato l’attacco (11,30 circa), venne un aiutante di campo a portare degli ordini al maggiore Odescalchi; in seguito di che si mossero in avanti i cavalleggeri, le guide ed indi il maggiore Odescalchi comandò che i dragoni rompessero per due al trotto, marciando per terreni lavorati e saltando fossi, avendo così una ben lunga colonna; cosa da evitarsi in faccia la nemico, perché più facile ad essere investiti, sparpagliati e battuti dal nemico stesso, senza offrir modo qualsiasi di onorata difesa.
Marciando così un mezzo miglio, si trovò l’argine destro del Musone, il quale era di una altezza di 5 metri, quindi non affatto praticabile; ad onta di ciò, sebbene molti soldati cadessero co’ loro cavalli, si passò, e si ripassò il fiume, e si salì anco l’argine sinistro con gravissimi stenti e pericoli, sempre in colonna per due. E’ interessantissimo avvertire che al di là dell’argine sinistro dove passò la cavalleria, eravi un grosso vivaio di laberi, il quale impediva qualunque formazione non solo, ma impediva ancora di marciare regolarmente, onde schivare gli alberi.
Non si sarebbero trovati in questo terribile inconveniente, se si fossero mandati avanti degli esploratori per conoscere le difficoltà suaccennate; si sarebbero evitate le disgrazie che accaddero, e si sarebbe potuto passare il fiume a cento metri sulla dritta, ove vedevasi tutto ciò che era innanzi, passando con meno disagio l’argine del fiume.
La metà circa del 1° squadrone con il capitano, il tenente Lucani ed il capitano aiutante maggiore alla testa, era di già in mezzo al vivaio suddetto, quando il restante dello squadrone parte passava il fiume, e parte arrampicatasi sull’argine: in tal frattempo furono tirati due colpi di cannone a mitraglia da una batteria Piemontese nascosta all’estremità del vivaio, per cui caddero vari dragoni, e s’insinuò negli animi lo sgomento della sorpresa, dell’incertezza, e quel timor panico tanto conseguente a che per la prima volta trovasi al fuoco. Dopo tali colpi di cannone i cavalleggeri e le guide si dettero a ripassare gli argini del fiume, cadendovene molti.
Frattanto alcune voci che partivano dall’avanti, gridarono, <>. Si ritennero d’ordine di chi comandava, e determinarono i dragoni a ripassare in vari punti il fiume, senza più norma e direzione alcuna.
Restato il capitano comandante il 1° squadrone separato, risolvè con gli altri ufficiali di ripassare il fiume e tentare di raggranellarsi.
Nel passare però l’argine del Musone gli cadde il cavallo, e precipitò con esso nel letto del fiume, riportandone tale contusione e lacerazione al ginocchio e coscia sinistra da non potersi rialzare. Ripassato con grave stento dalla parte del fiume, non trovò più i dragoni né del 1° squadrone, né del 2°, che era stato al di là del fiume in aspettativa che il 1° squadrone avesse compito il passaggio.
Dopo inutili tentativi, il capitano comandante unitamente agli altri suindicati ufficiali, decise di ritirarsi a Loreto, piazza in cui dicevasi essersi recato il generale in capo; e ciò eseguì andando sempre al passo, toccando il porto di Recanati per attingere notizie dei dragoni dispersi.
Arrivati al porto, si trovò il capitano Berzolati con una trentina di dragoni, parte dei quali erano del 1° squadrone, e da esso si seppe che molti eransi ritirati a Loreto e che altri erano andati verso il porto di Fermo. Al porto di Recanati, oltre il capitano Berzolati, si trovarono ancora le Guide con il loro capo, e sentendo da esse che andavano a cercare il generale in capo, si offrì loro se volevano dei dragoni. Arrivando il capitano comandante il 1° squadrone così mal concio in Loreto, vide vicino alla porta e parlò col sig.maggiore Jeannerat, sig. colonnello Cropt, e maggiore Guglielmotti d’artiglieria, e sulla piazza col colonnello sig.Corbucci, ai quali raccontò l’accaduto; indi si fece visitare dagli ufficiali sanitari e dal medico che curava i feriti entro la S.Casa, e fu costretto a porsi in letto, perché non più reggevasi in piedi pel gonfiore dell’altro offeso, del che si hanno i certificati. Più ottenne dal comandante le truppe in Loreto, sig. colonnello Goudenhoven, l’autorizzazione di poter essere trasportato a Macerata, onde poter essere meglio curato; invece però restò in Recanati, sino a che potè mettersi in viaggio per Genova, cosa che non ebbe più luogo, poiché agli ufficiali che avevano famiglia fu concesso di restare in Firenze.
Siano, sul fia qui esposto, interpellati gli ufficiali, sotto ufficiali, e soldati, e da loro si potrà constatare la verità dei fatti, e provare che il capitano comandante il 1° squadrone (tanto umiliato nel rapporto del sig. generale De La Moricière) rientrò in Loreto con quella calma che deve avere un ufficiale in simili frangenti. Se fosse fuggito col suo squadrone, non sarebbesi detto dai suoi soldati tanto a Macerata quanto a Fermo, che il loro capitano era morto al di là del Musone, il che è a conoscenza di tutti. Il sig. generale De La Moricière fu tratto in inganno da chi forse volle riversare i propri errori sul dosso altrui. La superiorità potrà, dietro tale narrazione, meglio calcolare, e meglio conoscere la vera posizione del calunniato, che servì il suo Sovrano per 27 anni con sincero attaccamento, ed instancabile zelo.
(senza firma)”.
Il Rapporto è pubblicato su M. Coltrinari, Il Combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009,


RAPPORTO BOSSOLO
BRIGATA REGINA
Dal campo, il 21 sesettembre 1860
10° Reggimento fanteria
Al Signor Comandante la brigata Regina (al Campo).

Mi pregio trasmettere alla S.V. Ill.ma lo stato chiestomi delle ricompense così bene meritate per lo slancio ammirabile con cui tutti indistintamente del reggimento si portarono all’attacco colla baionetta delle Cascine Sante sotto Loreto, state fortemente occupate dal nemico con forze considerevoli.
Per dare alla S.V. Ill.ma un sunto del movimento operatosi dal reggimento dirò: che il mattino del 18 corrente, verso le ore 10, gli avamposti vennero attaccati dal nemico, e poco dopo mi venne l’ordine di far avanzare due battaglioni in rinforzo; feci tosto partire il 1° e il 2° battaglione, che al passo accelerato giunsero sull’altura della posizione agli avamposti, e senza titubanza ne discesero con un vivo attacco alla baionetta, al grido di <>. Vista l’urgenza pel forte incalzare del nemico, pel vivo fuoco impegnatosi, mossero gli altri due battaglioni, che, lasciati per via gli zaini, siccome pure fecero il 1° e 2° battaglione dietro ordine avutone, si spinsero in linea con slancio attaccando alla baionetta al grido di <>; successero dopo fatti parziali di valore, di avanzarsi e retrocedere; finchè il nemico, con forze decuple delle nostre, dovette cedere, e ritirarsi ancora disordinato nella prima posizione di Loreto. Le perdite del reggimento furono sensibili, tanto in ufficiali come in bassa forza, ragguagliate al decimo della sua forza approssimativa. Prego la bontà della S.V.Ill.ma di volermi appoggiare lo stato che ho l’onore di trasmetterle, per le ricompense a ciascuno indicate poiché tutte ben meritarono della gloriosa nostra giornata.
Il Tenente Colonnello
Firmato: BOSSOLO”
Il Rapporto è pubblicato su M. Coltrinari, Il Combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo,18settembre 1860, Roma, Edizioni NUova Cultura, 2009
RAPPORTO BELL
Rapporto del maggiore Bell, comandante il 2° battaglione del 2° Reggimento Straniero sulla battaglia di Castelfidardo del 18 settembre 1860.
Roma, 27 novembre 1860

Il generale Lamoricière mi ordinò di portarmi sulla sponda sinistra dell’Aspio, dirigendomi al mare, mentre io stava col mio battaglione non dietro alle dighe, ma sullo stradello posto sotto la cascina che stava in fiamme, dove era il mio posto di battaglia, essendo stato esposto da lungo tempo al fuoco del cannone rigato, che ci cagionò perdite di alcuni morti e feriti senza poter rispondere, in causa della distanza.
Durante questo tempo non mi pervenne ordine di sorta, nemmeno dal colonnello Cropt.
Per eseguire poi l’ordine di S.E. presi la sinistra del fiume e mi diressi al mare e, strada facendo, incontravo il colonnello Alet, al quale comunicai l’ordine ricevuto dal generale capo, ed altrettanto feci conoscere al maggiore Dupaquier.
Giunto alla spiaggia, mi fermai per radunare la mia colonna forte di 280 uomini circa. Vidi dopo qualche tempo giungere il generale Lamoricière, con due o tre ufficiali di stato maggiore, il quale mi ordinò di far battere i tamburi e di seguirlo lungo il mare verso Umana. Giunti ad un miglio da Umana, si vedeva il nemico, forte di 4 o 5 battaglioni con cavalleria, che teneva occupate le colline sulla nostra sinistra e che faceva atto di discendere verso di noi.
Il generale Lamoricière ordinò di tenere il terreno più scosceso verso il mare, avvertendo un attacco imminente, poi ci lasciò dirigendosi a galoppo verso Umana e salendo per quella via la montagna, ove erano 30 o 40 cavalleggeri che l’attendevano.
Poco dopo una linea di bersaglieri nemici avanzò verso di noi aprendo il fuoco, al quale fu vivamente risposto: presto i bersaglieri nemici furono rinforzati da un altro battaglione venuto alla corsa in aiuto, mentre degli altri battaglioni si disponevano a chiuderci il passo verso Umana.
I nostri ripiegarono al mare al piede della ripa e ad Umana, dove potevasi far solida resistenza.
Ben presto però mi trovai avviluppato dal nemico…
Ritenuto ormai il generale Lamoricière in salvo, dopo la perdita di 25 o 30 uomini morti o feriti, tra cui il capitano Godlin ed il sottoscritto, mi vidi nella triste necessità di arrendermi.
Tanto ho l’onore di rendere noto all’E.V. circa il mio operato nella giornata di Castelfidardo.
Il maggiore comandante del battaglione,
BELL”.
Il Rapporto è pubblicato su Coltrinari M., Il Combatimento di Loreto, detto di Castelfidardo, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009