L'Ultima difesa pontificia di Ancona . Gli avvenimenti 7 -29 settembre 1860

Investimento e Presa di Ancona

Investimento e Presa di Ancona
20 settembre - 3 ottbre 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860
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Onore ai Caduti

Onore ai Caduti
Sebastopoli. Vallata di Baraclava. Dopo la cerimonia a ricordo dei soldati sardi caduti nella Guerra di Crimea 1854-1855. Vedi spot in data 22 gennaio 2013

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860
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La sintesi del 1860

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Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il Volume di Massimo Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, 18 settembre 1860, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009, pagine 332, euro 21, ISBN 978-88-6134-379-5, è disponibile in
II Edizione - Accademia di Oplologia e Militaria
- in tutte le librerie d'Italia
- on line, all'indirizzo ordini@nuova cultura.it,
- catalogo, in www.nuovacultura.it
- Roma Universita La Sapienza, "Chioschi Gialli"
- in Ancona, presso Fogola Corso Mazzini e press o Copyemme

lunedì 31 agosto 2015

Theodoli marchese Giuliano. Biografia

Di antica famiglia nasce a Roma il 27 dicembre 1846.
Nel 1867, tralasciati gli studi letterari, si arruola nella artiglieria pontificia: soldato distinto l’8 giugno 1867 partecipa valorosamente alla campagna di quell’anno, culminate con la vittoria di Mentana. E’ promosso brigatiere il 26 aprile 1868 maresciallo l’11 novembre 1869, sottotenente il 5 febbraio 1870. E’ presente alla difesa di Roma dove rimane contuso e semisepolto dai detriti provocati dallo scoppio di un proiettile piemontese. Condotto con altri suoi compagni in prigionia ad Alessandria rifiuta ogni lusinga di arruolamento nell’esercito vincitore, raggiungendo poi il grado pontificio  di colonnello onorario di Artiglieria. Muore a Roma il 28 maggio 1926. Era decorato della Medaglia Fidei et Virtuti


Fonte: Raggi P., La Nona Crociata. I Volontari di Pio IX in difesa di Roma (1860-1870), Ravenna, Libreria Tonini, 1992
 

venerdì 21 agosto 2015

Raggi P., La Nona Crociata. I Volontari di Pio IX in difesa di Roma (1860-1870), Ravenna, Libreria Tonini, 1992



La storia ha reso giustizia a quanti difesero, anche a presso della loro vita, La Chiesa ed il Papa  nel lungo decennio che va dallo scontro di Castelfidardo e dalla perdita di Ancona alla breccia di Porta Pia, ma rimangono tuttavia echi di antiche polemiche alimentate dalla scarsa informazione sulla realtà dei fatti.
Una “certa “storia scritta dai “vincitori” non manca infatti di ingenerose affermazioni e di immotivati giudizi, spesso ripetuti negli stessi termini di un tempo. Era quindi necessaria una notizia ampia e documentata su episodi e motivazioni egli ultimi crociati unicamente mossi dalla loro fede e dai loro ideali. La introduzione storica di questa opera, le biografie dei protagonisti e la Galleria di immagini e documenti dell’esercito pontificio definiscono le dimensioni ed i termini della questione.
Le ottanta  e più biografie di personaggi e militari evidenziano il valore degli uomini ed il significato della loro opera nel contesto più ampio che comprende atti di valore al servizio della propria patria o missioni di carità e di giustizia nella vita civile. Di ognuno vengono date notizie essenziali e spesso anche immagini fotografiche reperite dall’Autore in lunghi anni di ricerca in Italia ed all’estero, acquisendo una originale documentazione alla propria raccolta di carte e cimeli. Si tratta spesso di materiale inedito e sconosciuto che, con la vasta bibliografia, arricchisce l’opera e la rende uno strumento di conoscenza e di consultazione perfetta.

Chi avesse notizie integrative su questo volume o su altri similari è pregato di prendere contatto con il sottoscritto.
Massimo Coltrinari.

Contatti: massimo.coltrinari@libero.it

mercoledì 19 agosto 2015

de Stolberg, conte

Appartenente certamente alla famiglia dei conti di Stolberg regnate in Germania fino alla caduta del Sacro Romano Impero (1806) precisamente al ramo di Fedrico Leopoldo (7 novembre 1750 5 dicembre 1819) uomo politico e poeta fattosi cattolico nel 1800 con la famiglia. La discendenza può essere ricostruita attraverso i figli  Caio, Leopoldo e Bernardo (che fu novizio gesuita) e Giuseppe ma non definita ulteriormente nei numerosi nipoti. Ricoprì il grado di sottufficiale degli Zuavi.Foto: Fotografia fratelli d’Alessandro, Roma, Via del Corso dal 10 al 14 (cm.10,1 x 6,2)
In calce la firma Stolberg

Fonte: Raggi P., La Nona Crociata. I Volontari di Pio IX in difesa di Roma (1860-1870), Ravenna, Libreria Tonini, 1992
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Massimo Coltrinari.
Contatti: massimo.coltrinari@libero.it

Conte de Stolberg

martedì 18 agosto 2015

Wyart Henri

Nasce ad Bauchian, nel nord della Francia il 13 ottobre 1839. Si arruola nel battaglione Tiragliatori Franco- Belgi il 22 agosto 1860,  partecipa alla battaglia di Castelfidardo dove viene ferito da una palla che gli spezza l’avambraccio sinistro  e da un colpo di baionetta al collo. Passa al corpo degli Zuavi il 13 febbraio 1861. E’ nominato sergente il 21 marzo 1861 sergente maggiore il 6 marzo 1866 sottotenente il 17 marzo 1866 , tenente il dicembre successivo. Si distingue per il suo comportamento a Mentana e viene promosso capitano il 23 novembre 1927. E’ presente alla difesa di Roma quale capitano aiutante maggiore dello Stato Maggiore del suo reggimento. Il 15 ottobre 1870 si reca in Francia dove, col grado di capitano della Legione Volontari dell’Ovest combatte contro i prussiani nei fatti d’arme d’Orleans, di Brou e di Loigny ricevendo la promozione a capitano aiutate maggiore. Il 5 febbraio 1872 entra nell’Ordine dei Cistercensi Roformati. Il 30 gennaio 1883 è abate della Trappa du Mont-des- Cats  col none di Don Sebastian. L’ 11 ottobre 1892 è nominato abate generale del suo ordine. Muore a Roma il 18 agosto 1904  d è sepolto a San Paolo alle Tre Fontane . Era insignito della Legione d’Onore , della croce dell’Ordine Piano, della croce di cavaliere dell’ordine di San Gregorio Magno e decorato delle Medaglie Pro Preti Sede, Fidei et Virttuti, Benemerenti    

Foto: Fotografia di Anonimo 

Fonte: Raggi P., La Nona Crociata. I Volontari di Pio IX in difesa di Roma (1860-1870), Ravenna, Libreria Tonini, 1992

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Massimo Coltrinari.
Contatti: massimo.coltrinari@libero.it


domenica 16 agosto 2015

Esercito Pontificio 1860 1870

 Il Corpo di Amministrazione

Ordinamento
Il Corpo degli Ufficiali di Amministrazione , alle dipendenze della Intendenza Militare, viene costituito il 23 dicembre 1858 per fornire esperti contabili dell’Esercito, comprendeva dopo l’ampliamento di organici effettuato nel 1869, 34 ufficiali ed allievi, equiparati quest’ultimi  ad aiutanti sottufficiali.


Uniforme
L’Ordine del Giorno 13 luglio 1860 relativo all’uniforme del Corpo prevedeva:
-         Abito per la gran tenuta
L’abito a falde era quello consueto con una fila di nove bottoni dorati con il triregno in rilievo, colletto pure blu scuro con filettature di robbio, paramani rotondi con due bottoncini a tasche  alla “Saubise”  pure filettate in robbio.
-         Tunica per la tenuta giornaliera
Di colore blu scuro con filettature coloro robbio
-         Pantaloni color robbio simili a quelli in uso alla Fanteria
-         Feluca con coccarda a ganza d’oro e fiocchetti negli angoli pure  in oro a granoncini per gli Ufficiali
-         Feluca con coccarda a ganza d’oro e fiocchetti negli angoli  a filo per gli Allievi
-         Berretto blu scuro con distintivi in oro, simile a quello della Fanteria
-         Distintivi
I distintivi di grado, in oro, consistevano in una bacchetta dentellata ed in una o più bacchettine diritte arricchite di lustrini:
. per gli Ufficiali di Amministrazione  la bacchetta dentellata e tre bacchettine
  diritte al colletto dell’abito e della tunica e la bacchetta dentellata ai paramani
  dell’abito;
. per gli Aiutanti di Amministrazione di II e di I Classe la bacchetta dentellata
  portata al colletto dell’abito e della tunica con una o due bacchette diritte
. per gli Allievi di Amministrazione la sola bacchetta dentellata portata al colletto   
  dell’abito o della tunica.

Equipaggiamento

Per il corpo d Amministrazione, si presume, non esistessero materiali di equipaggiamento per operazioni di campagna.

Armamento

Il Corpo di Amministrazione non aveva dotazioni di armamento di reparto. Ogni suo componente aveva in dotazione una spada a cinturone simile a quelle in uso per l’Intendenza



Fonte: Crociani P., Brandani M., Fiorentino M., L’Esercito Pontificio da Castelfidardo a Porta Pia 1860-1870 Uniformi Equipaggiamento  Armamento, Milano, Intergest,  1984

sabato 15 agosto 2015

Guerin Ioseph Louis

Nato a Sainte Pazanne, Loira Inferiore, il 5 aprile1938 era chierico minore dei seminaristi di Nates quando, nell’agosto del 1860 accorse all’appello di Pio IX. Lasciato l’abito ecclesiastico si arruola nel corpo dei Tiragliatori Franco belgi. Dopo un breve addestramento a Roma al precipitare degli eventi per l’invasione piemontese delle marche e dell’Umbria, lascia Roma col suo battaglione per Terni, Spoleto, Foligno, Loreto giunge a Castelfidardo il 17 settembre 1860.
Partecipa tra i più animosi alla battaglia di Castelfidardo, dove viene gravemente ferito in località Crocette da una palla ricevuta nel lato sinistro del petto. Creduto morto, così iegli in una lettera ai parenti, viene spogliato di ogni suoi avere, poi raccolto da una ambulanza e trasportato alla basilica di Loreto che funge da centro raccolta dei feriti; fra queti troverà l’amico caporale Guillemin (Il tenente Guillemin, scampato miracolosamente alla morte, perirà il 13 ottobre 1867 all’attacco di Montelibretti). In seguito Guérin è trasferito all’ospedale di Osimo dove muore il 30 ottobre successivo per cancrena, nonostante le assidue cure dei medici italiani e francesi.
Dall’ospedale scrive ai genitori, ai parenti, ai superiori del Seminario numerose lettere di nobile rassegnazione, di conforto per quelli che lascerà, di perdono per i nemici, di fede nella grande causa per la quale immola volentieri la vita; possiamo considerare una di queste indirizzata al proprio parroco, come un vero testamento spirituale
“…. Me perire pro.  causa Religionis et Papae et vitam amoene et dulciter reliquisse. Consoletur parentes meos spe olim me vivendi in patria, terra est sorditissima, quando coelo comparatur. Oret pro me, et sic animo leventur. Eos multum multunque anno , et eos relinquo cum solo dolore non posse amplexart eas…”
La salma verrà imbalsamata e trasportata a nantes per essere collocata nel cimitero del Seminario; la tomba divenne presto meta di assiduo pellegrinaggio e di miracolose guarigioni ottenute per intercessione

 Foto: da una litografia H.1 Martin edit Paris (cm 17x12)

Fonte: Raggi P., La Nona Crociata. I Volontari di Pio IX in difesa di Roma (1860-1870), Ravenna, Libreria Tonini, 1992
Chi avesse notizie integrative per questa biografia è pregato di prendere contatto con il sottoscritto.
Massimo Coltrinari.

Contatti: massimo.coltrinari@libero.it

giovedì 13 agosto 2015

Gallo conte Giuseppe Enrico

Conte Giuseppe Enrico Gallo
Nato ad Osimo (Ancona) da famiglia di fedeli sudditi pontifici il 1° 1849 Giovanissimo risponde all’appello del suo sovrano accorrendo a Roma per arruolarsi negli Zuavi. Partecipa alla campagna del 1867; il Pila Carocci nella sua opera La Milizia Pontifica, Roma Torino 1869 o annovera tra gli Zuavi distintesi tra il 1861 ed il 1868 ed alla difesa di Roma nel 1870. Muore ad Osimo il 22 giugno 1894. Era decorato delle medaglie Fidei Et Virtuti e Benemerenti

Fonte: Raggi P., La Nona Crociata. I Volontari di Pio IX in difesa di Roma (1860-1870), Ravenna, Libreria Tonini, 1992
Chi avesse notizie integrative per questa biografia è pregato di prendere contatto con il sottoscritto.
Massimo Coltrinari.
Contatti: massimo.coltrinari@libero.it





lunedì 3 agosto 2015

Note di ricerca. Volume


Contiene una interessante biografia di Pio I X
Spoleto, Il Formichiere' 2015,
Pag.259

info:massimo.volte in aria libero.it

sabato 1 agosto 2015

La Campagna nelle Marche 11 -29 settembre 1860


 Si riporta in due parti uno studio studio svolto come tesina dal quarto gruppo di lavoro Anno Accademico 2007_2008 dellISSMI in merito alla campagna in oggetto come esempio di applicazione del metodo storico
O
Un caro ricordo e un  carissimo saluto a tutti


La Campagna nelle Marche. 11 -29 settembre. I Parte

1.     PREMESSA.
Si possono comprendere e narrare le fonti primarie e le altre testimonianze solo attraverso una rigido adempimento di un metodo stabilito, che consiste nell’osservazione, nell’accertamento e nell’interpretazione dei fenomeni storici. Il metodo storico quindi deve essere impiegato come metodo di ricerca e di approfondimento per capire, come nel caso in esame, l’unità della Nazione ed i fatti che la permisero.
a.     Avvenimento oggetto di studio.
Il tema della presente trattazione è la campagna d’invasione nelle Marche e nell’Umbria (Scontro di Castelfidardo e Battaglia di Ancona), svoltasi dall’11 settembre al 3 ottobre del 1860. Per comprendere questo, come ogni altro evento storico rilevante (si pensi alla battaglia di Canne, 216 a.C.), è necessario approfondire tutti gli avvenimenti del Risorgimento che vanno dal 1846-48, la Repubblica Romana del 1849, la II guerra d’Indipendenza del 1860, la battaglia del 1866 come III guerra d’Indipendenza, fino alla presa di Roma (20 settembre 1870), vale a dire la formazione del moderno Stato unitario italiano.
Tali avvenimenti sono alla base dell’identità nazionale e dell’attuale modo di concepire lo Stato.
b.    Limiti di tempo e di spazio.
Il 1860 è stato giustamente definito l’anno mirabilis del Risorgimento italiano: in gennaio Cavour torna a guidare il governo sabaudo, nell’Italia centrale le insurrezioni di matrice mazziniana cacciano i governi fedeli ai principi della Restaurazione, l’Emilia e la Toscana votano plebiscitariamente l’annessione al Piemonte, Garibaldi conquista la Sicilia e, risalendo in breve tempo le Calabrie, il 7 settembre fa il suo ingresso a Napoli. Tale è, altresì, considerato per i successi ottenuti dalle forze sarde nello svolgimento della campagna dell’Umbria e delle Marche.
L’area dove si svolgono gli avvenimenti in esame comprende le attuali province di Ancona e Macerata.
c.     Scopi e criteri.
L’assedio di Ancona del 1860 può essere considerato come la prima operazione interforze del costituendo Regno d’Italia. La presa della piazzaforte d’Ancona è forse uno dei pochi esempi nella storia delle Forze Armate italiane di tutto l’800 e di gran parte del ‘900, in cui si ritrova unità di comando, coordinazione delle intelligenze e cooperazione di tutte le componenti delle forze impegnate in campo, siano esse  terrestri (artiglieria, fanteria e cavalleria), che navali.
Tale campagna (1860) è fondamentale per comprendere e interpretare i successivi avvenimenti del 1866 che rappresentano, invece, l’esempio opposto. La mancanza di coordinazione e di unità di intenti, tra il generale Cialdini e il generale La Marmora, comporta la sconfitta del 24 giugno a Custoza, sebbene la tradizione unitaria italiana, non la ricordi come tale, in quanto l’Esercito Sardo aveva ottenuto la vittoria nelle fasi iniziali. Nella realtà dei fatti la tragedia di Custoza vede la colonna del generale Govone mettere in fuga l’Arciduca Alberto d’Asburgo e ridurre gli austriaci alla ritirata, ma il generale Morozzo della Rocca, non avendo ricevuto l’ordine superiore non consente all’Esercito Italiano di sfruttare il successo iniziale per inseguire gli austriaci e sconfiggerli. Gli stessi, vedendo un movimento retrogrado di alcuni carreggi piemontesi, pensano che gli italiani si stiano ritirando e perciò tornano indietro costringendo quest’ultimi ad arretrare oltre il Mincio.
È d’obbligo a questo punto fare alcune precisazioni poiché, spesso nelle fonti primarie,  vi è una differenza tra teoria e pratica. Senza voler fare revisionismi, né mettere in discussione ciò che è la realtà, è necessario considerare che, se si vuole studiare correttamente il Risorgimento d’Italia, è doveroso rivedere molte delle acquisizioni che la tradizione ci ha tramandato, ricordando che, all’indomani delle principali tappe del 1849, del 1859 e del 1860, vengono ottenuti solo dei successi parziali nella costituzione dello Stato unitario.
Cavour, soprattutto dopo il 1860, ha il prioritario obiettivo di rafforzare il costituendo Stato, piuttosto che procedere all’acquisizione di nuove terre. Per tale motivo, il Cancelliere non condivide la Spedizione dei Mille, considerando il Meridione quasi una terra estranea all’Italia. Cavour è preoccupato dall’acquisizione della Lombardia avvenuta nel 1859 e da quella dell’Italia centrale (Toscana, Emilia e Romagna) dovendo procedere all’integrazione di questi Stati nel ceppo Piemontese e nel Regno di Sardegna. Ciò rappresenta non solo la priorità, ma anche un difficile problema, che può minare l’Unità stessa della Penisola. È pertanto necessario dare delle disposizioni di carattere categorico: da qui è scaturita la storiografia rinascimentale italiana che doveva essere funzionale a costruire l’Italia unita sia come Stato, sia come Nazione. Oggi, a 150 anni di distanza, si potrà dire ciò che realmente è avvenuto e comprendere come i Pontifici abbiano conseguito il successo nel 1860 a Castelfidardo, guardando semplicemente al piano d’operazioni.
2.     I BELLIGERANTI E LE ORIGINI DEL CONFLITTO.
a.     I belligeranti.
I principali belligeranti della campagna nelle Marche e nell’Umbria sono il Regno di Sardegna e lo Stato Pontificio.
b.    Le origini del conflitto.
La II Guerra d’Indipendenza ha inizio nel 1859, prosegue con la campagna nelle Marche e nell’Umbria dell’anno successivo e si conclude con la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861.
Tra gli avvenimenti più importanti si devono ricordare gli accordi segreti di Plombières con Napoleone III in funzione antiaustriaca, l’intervento della Francia e le Battaglie di Solferino e San Martino che segnarono, tra l’altro, la nascita della Croce Rossa ad opera dello svizzero Henry Dunant[1].
L’armistizio di Villafranca (11 luglio 1859), voluto da Napoleone III, timoroso di una reazione prussiana sul Reno, mentre l’esercito è interamente impegnato in Italia[2], provoca le dimissioni di Cavour che è poi richiamato dal Re già il successivo 20 gennaio 1860, dopo una breve parentesi di La Marmora.
Il 27 aprile 1859 il granduca Leopoldo II lascia Firenze e viene sostituito dal Governo Provvisorio Toscano; parallelamente, i Ducati di Parma e Modena, le Legazioni (Bologna e le città dell’Emilia e della Romagna) si staccano dallo Stato Pontificio e formano la Lega dell’Italia Centrale, che sarà annessa al Regno di Sardegna solo con i plebisciti dell’11 e del 12 marzo 1860.
Le Forze Armate dell’Italia centrale sono poste sotto il comando del generale Manfredo Fanti a Firenze e del suo vice, il generale Giuseppe Garibaldi, a Rimini. Questi concepisce, tra il dicembre 1859 ed il gennaio 1860, un’azione su Ancona con l’intento di dirigersi a Roma, immediatamente bloccata fermamente dal Fanti. L’obiettivo di Garibaldi sarà il fulcro intorno cui ruoteranno tutti gli avvenimenti del 1859-60: il Partito d’Azione Rivoluzionario vuole recarsi a Roma per abbattere il potere temporale dei papi, mentre il governo sabaudo è più prudente, se non addirittura contrario all’iniziativa e agisce per ritardarla. Il fermo veto di Fanti e il mancato appoggio di Cavour e delle Grandi potenze costringono Garibaldi a dimettersi.
Il piano sarà poi ricalcato, nelle sue linee d’azione, dal IV Corpo d’Armata del generale Cialdini quando da Cattolica muoverà su Ancona pochi mesi dopo.
Intanto a Torino si progetta come portare avanti l’unificazione della Penisola il cui  passo successivo è rappresentato dall’invasione dell’Italia centrale.
È importante ricordare che le decisioni del Risorgimento italiano vengono prese nelle logge massoniche che fanno capo alla Massoneria Universale, al cui vertice è posta, a quel tempo, la Regina d’Inghilterra.
È infatti la comune appartenenza alla Massoneria, il principale collegamento tra Vittorio Emanuele, Garibaldi e i grandi nemici Cavour e Mazzini, uno conservatore e l’altro progressista. Questi quattro uomini, sebbene siano massoni e accomunati dall’ideale della Dea Ragione, frutto della rivoluzione francese, hanno idee completamente diverse sul piano politico, per quanto concerne le linee d’azione per giungere all’Italia unita.
È necessario comprendere che tutti gli avvenimenti del 1860 potranno realizzarsi solo con il benestare dei Grandi del tempo (Austria, Francia e Inghilterra). Garibaldi e i principali esponenti del Partito d’Azione ottengono, infatti, dalla Cancelleria piementose, che auspica per loro la medesima fine del Pisacane, il consenso politico per lo svolgimento della Spedizione nel Meridione[3].
La spedizione dei Mille, autorizzata dal governo sabaudo, ha il principale obiettivo di allontanare Garibaldi ed impedirgli di portare avanti ulteriori azioni nel centro Italia. L’iniziativa garibaldina, contrariamente a quanto auspicato da Cavour, ha successo, ancorché il contingente parta, il 4 maggio da Quarto, armato solo di vecchi fucili e privi di munizioni e polvere da sparo. Dopo una breve sosta a Talamone, determinata dalla necessità di rifornirsi di munizioni, Garibaldi giunge l’11 maggio 1860, sotto la protezione della Flotta del Persano e di quella inglese, sulle coste siciliane e sbarca a Marsala. Il 15 maggio 1860, in località Pianto Romano, a poca distanza dall'abitato di Calatafimi, i Mille si trovano di fronte otto battaglioni Cacciatori ed altre truppe borboniche al comando del generale Landi[4]. Il primo attacco, dai piedi della collina, è portato dai trenta Carabinieri genovesi armati di carabina, per colpire gli ufficiali avversari e quindi scardinare l’azione di comando (azione che sarà ripetuta anche a Castelfidardo). Ma la sorte non sembra essere favorevole alle “camicie rosse”, lo stesso Bandi, segretario di Garibaldi, gravemente ferito, si aspettava il colpo di grazia da parte delle forze borboniche.
Verso le cinque di sera, dopo aver respinto ripetuti assalti da parte delle ben preparate e meglio armate truppe borboniche, i garibaldini, praticamente sconfitti, si preparano a ripiegare, quando il generale Landi dà ordine alle truppe borboniche di fare ritorno agli acquartieramenti. I contadini, che assistono dalle colline all’andamento della battaglia, vedendo i borbonici “ritirarsi” e quei pochi garibaldini superstiti avviarsi verso la cima della collina, decretano la vittoria di Garibaldi e si uniscono quindi alle sue truppe.
La campagna di Garibaldi nel Meridione procede favorevolmente al contrario delle aspettative della Cancelleria torinese. In quei primi giorni di operazioni Giuseppe Garibaldi assume la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele con l’Editto di Salemi, facendone la prima capitale del Regno d’Italia, anche se per un sol giorno. La presa di Palermo del 27 maggio, attraverso il Ponte dell’Ammiragliato, segna il primo vero successo militare della Spedizione dei Mille e pone le basi per la conquista di tutta l'Italia Meridionale. Nella battaglia di Palermo i trentamila Borbonici restano nelle Caserme e i 2200 Garibaldini non trovano praticamente resistenza, in quanto l’anziano generale Lanza credendoli attestati a Corleone non da l’ordine ai soldati di intervenire. Il Bandi descrive nelle sue pagine la campagna di Sicilia ed i rapporti esistenti tra il console inglese, la flotta inglese, la massoneria ed i proprietari inglesi che vogliono l’allontanamento dei Borboni ostili ai loro commerci (si pensi che il vino marsala, era  ricercatissimo sulle tavole di Londra).
La sconfitta delle truppe borboniche il 20 luglio a Milazzo e la neutralizzazione di Messina, pongono i presupposti per dare inizio ai preparativi di passaggio sul continente. La Sicilia è dunque conquistata, il 3 settembre 1860 l’esercito di Garibaldi attraversa lo Stretto ed il Generale giunge a Napoli il 7 settembre in carrozza e senza scorta.
Ai napoletani plaudenti su via Toledo Garibaldi comunica che non si fermerà a Napoli, ma vuole immediatamente proseguire per raggiungere il suo principale obiettivo, la presa di Roma.
Allo stato dei fatti, il reale pericolo per il progetto cavouriano è rappresentato dall’azione di Garibaldi.
3.     LA SITUAZIONE GENERALE.
  1. Le Istituzioni militari pontificie (1849-1860).
Fin qui è stato rappresentato il quadro generale, ma è tuttavia necessario comprendere anche chi siano gli antagonisti della Cancelleria sabauda. A Roma vi è naturalmente il papa Pio IX, le cui istituzioni militari pontificie dal 1849 al 1860 sono state profondamente ristrutturate. La Repubblica Romana è tramontata, sono ritornati i cardinali tra cui i della Gancia che restaurano il potere temporale dei papi e con 8000 uomini ricostituiscono l’Esercito pontificio. Esso si trasforma prima nel 1850 con i Veliti pontifici, diventati poi gendarmi e, ancora, nel 1852 con la riforma Kellerman, che mette a punto un esercito pienamente capace di svolgere l’incarico più importante: mantenere l’ordine pubblico e tenere testa ad ogni rivoluzione. Quindi, nel 1860 si costituisce il cosiddetto esercito di de La Moriciere[5], che combatterà a Castelfidardo, successivamente ristrutturato dal de Merode[6].
Dopo gli eventi della campagna delle Marche e dell’Umbria è necessario ricordare la battaglia di Mentana (3 novembre 1867), dove le truppe pontificie al comando del generale Kanzler sconfiggono i garibaldini, assicurando altri tre anni di vita allo Stato pontificio. È in tale contesto che si colloca la vicenda, raccontata nelle pagine del Bandi, dei fucili Chassepot[7], utilizzata per nascondere invece la sconfitta dell’esercito garibaldino. Il Chassepot è un fucile a retrocarica ad ago di prima generazione, che tuttavia riusciva a sparare solo due salve, dopodiché l’ago si deformava, tanto che fu ritirato qualche mese dopo. Tali fucili, inoltre, non diedero bella prova nemmeno nel 1870 contro i tedeschi durante la campagna di Sedan.
L’esercito del Kanzler è infine sciolto il 21 settembre 1870 con la solenne benedizione papale in piazza San Pietro. Da allora restano solo i 147 elementi della Guardia Svizzera, risalenti a papa Giulio II, la Guardia Nobile e la gendarmeria. Ancor oggi, infatti, lo Stato pontificio ha le proprie forze armate che mantengono le tradizione dell’Esercito pontificio e di cui viene conservata memoria presso il museo di San Giovanni in Laterano.
(1)  L’esercito del de La Moriciere.
L’esercito di de La Moriciere[8] che va dall’8 aprile al 3 ottobre del 1860, termine della campagna in esame, è organizzato su tre brigate operative ed una brigata di riserva, ma soprattutto si incardina su di un dispositivo stanziale basato su gendarmerie e piazzeforti, le cui principali sono Roma ed Ancona. Roma è logicamente la sede, mentre Ancona garantisce i collegamenti con Trieste e l’Austria. Il dispositivo si compone anche di piazze di seconda classe, come quella di Castel Sant’Angelo a Roma, e quelle presso le principali città dell’Umbria e delle Marche, che garantiscono il punto di appoggio per la manovra ed il sostegno logistico delle brigate operative.
Il de La Moriciere l’8 aprile 1860, con il patrimonio del de Merode istituisce cinque battaglioni bersaglieri procedendo al reclutamento soprattutto di croati, sloveni e tedeschi perché animati da un forte sentimento anti-italiano. Queste unità reclutate al doppio del soldo, dal Nunzio a Vienna e dal co-nunzio a Trieste vengono imbarcate alla volta di Ancona e, quindi, instradate verso Foligno o Perugia. Il de La Moriciere riesce a costituire, nel giro di tre mesi, cinque battaglioni bersaglieri di cui uno prenderà poi parte allo scontro di Castelfidardo. Istituisce, altresì, il corpo dei tiragliatori franco-belgi che diventerà poi il battaglione degli zuavi pontifici. Questi sono dei legittimisti francesi e belgi (spesso nobili di nascita) che combattono per il Papa, ma non volendo entrare nel reggimento esteri si danno ordinamento in un distinto battaglione, che il 1° gennaio del 1861 adotta l’uniforme zuava, che ricorda poi quella francese e coloniale. Le truppe pontificie hanno tra le proprie file anche il battaglione San Patrizio, composto da volontari provenienti dall’Irlanda, spinti dall’estrema povertà che impone, quale alternativa all’emigrazione in America, la possibilità di arruolarsi nell’Esercito del Papa. La loro uniforme non ha zaino e buffetterie, ma dei larghi pantaloni dove si ripone l’occorrente.
Un’unità d’eccellenza dell’Esercito pontificio è il battaglione Carabinieri svizzeri, specializzato nel tiro di precisione con la carabina i cui componenti sono reclutati con gli stessi metodi della Guardia Svizzera. I Carabinieri pontifici sono elementi eccellenti, come dimostrato a Castelfidardo, che risultano fondamentali per il conseguimento del successo nella prima parte dei combattimenti. In ultimo, le Guide di de La Moriciere, cavalleria composta da nobili, costituita da  circa 80 elementi che si muove con tutto l’equipaggiamento al seguito.
L’esercito pontificio è strutturato per contenere la rivoluzione, come dimostra l’episodio delle stragi di Perugia[9], e quindi esercitare pienamente il controllo del territorio.
(2)  I Capi dell’esercito del de La Moriciere.
I protagonisti sono il de La Moriciere stesso ed il generale G. de Pimodan ex colonnello francese, sepolto a San Luigi dei Francesi. Morto a Castelfidardo nell’ottobre del 1860, è divenuto il simbolo e il martire della difesa dei diritti della Chiesa contro la rivoluzione, la massoneria e i nemici di Pio IX.
4.     LA SITUAZIONE PARTICOLARE.
  1. La battaglia delle Grotte di Castro (19 maggio 1860).
Ne corso della spedizione dei Mille, Garibaldi contravvenendo agli ordini di Mazzini e soprattutto del Controllore piemontese, sbarca a Talamone un contingente di 60 rivoluzionari che, al comando dello Zanbianchi, reduce della Repubblica Romana e animato da un forte sentimento anticlericale, tenta di portare la Rivoluzione nello Stato Pontificio e direttamente nel Lazio. I 60 garibaldini, grazie ad ottime informazioni, vengono individuati e attaccati dalla brigata del de Pimodan alle Grotte di Castro il 19 maggio 1860 e, nel giro di tre ore, vengono inseguiti e circondati. Durante gli scontri con le forze regolari pontificie vengono uccisi 19 uomini, mentre gli altri riguadagnano il confine, ma vengono poi arrestati e condotti in fortezza a Bardonecchia dalle truppe sarde su ordine del Governo piemontese. Tale episodio dimostra che l’Esercito pontificio è ben preparato e addestrato alla difesa dello Stato ed al controllo del territorio, ma soprattutto eccelle nella lotta contro rivoluzionaria.
  1. I protagonisti.
Pio IX[10], dei Mastai Ferretti (1792-1878), nato a Senigallia e legato alle famiglie marchigiane dei Castelferetti, già in giovane età è iscritto alla massoneria, ma per volere della famiglia viene mandato in seminario. Fu eletto Papa in quanto il vero candidato, il cardinale Tommaso Gizzi[11]non giunse in tempo per il conclave”.
Il Conclave decise allora per l’elezione del cardinale Mastai nella convinzione che fosse dotato di scarsa personalità e potesse essere facilmente condizionabile. Tale convinzione, invece, si rivelò ben presto errata. Il rapporto di Pio IX con il regno delle due Sicilie di Francesco II può dirsi formidabile e molto stretto, difatti, quando il Papa si rifugia a Gaeta dal 1848 al 1850 è lo stesso Francesco II che lo protegge.
Ma la vera “anima nera” del governo pontificio in quel tempo è il cardinale Giacomo Antonelli[12] che rappresenta la Chiesa del passato che si scontra con la realtà del presente. Il cardinale Antonelli è una figura estremamente significativa del tempo e degli avvenimenti che seguirono.
Sul fronte opposto c’è il generale Manfredo Fanti (1806-1865), fondatore dell’Esercito Italiano, che mise la firma sul decreto che trasformava l’Armata sarda in Esercito Italiano il 4 maggio 1861. Il Fanti si è formato sui campi di battaglia, dopo le sommosse del 1832 a Modena, con Cialdini, Durant ed altri prende parte alle guerre spagnole. Un’altra figura centrale del Risorgimento italiano è il generale Enrico Cialdini[13], già colonnello dell’esercito pontificio, ferito a Cornuda, nel 1849 entra a far parte dell’Esercito sardo, comandante del 23° Reggimento a la Cava[14] (20 marzo 1849) resiste allo stremo, ma alla fine è circondato e si arrende.
È interessante notare come la vita militare di questi personaggi del Risorgimento italiano sia caratterizzata dai medesimi problemi operativi (mancanza di informazioni sui movimenti e le posizioni del nemico), logistici (scarsità di risorse) e soprattutto di carenza di bilancio, che oggigiorno assillano le F.A. italiane. Le lettere di questi Ufficiali dimostrano come hanno affrontato i loro problemi e li hanno risolti, rappresentando un riferimento anche per le situazioni attuali.
I veri protagonisti di queste vicende, le figure di riferimento del Risorgimento italiano, che tengono le file sia politiche, che militari sono il re Vittorio Emanuele II, Cavour, Mazzini e Garibaldi che, nonostante l’iconografia popolare voglia veder agire per un unico scopo in qualità di “Padri della Patria”, sono in sostanza perennemente in lotta tra loro, animati sia da scopi ed intenti spesso contrastanti, sia da rivalità ed antipatie personali.
  1. Avvenimenti e provvedimenti in vista del conflitto.
È opportuno, tuttavia, comprendere quali siano i processi decisionali che portano all’Unità d’Italia e all’avvio della campagna delle Marche e dell’Umbria del 1860.
I protagonisti, a dispetto delle profonde rivalità e delle diverse prospettive politiche, sono accomunati dall’obiettivo politico-militare di ricondurre l’intera Penisola sotto un’unica Autorità governativa e, quindi, di eliminare il potere temporale del Papa che grava sulla collettività dell’Italia centrale.
Il Cavour, nella sua visione politica di costruzione dell’Unità nazionale, è restio ad intraprendere azioni nel centro Italia e nell’Umbria in particolare. Il suo timore è che un’ulteriore annessione dei territori dell’Italia centrale possa compromette l’equilibrio dell’intero progetto e farlo definitivamente naufragare. Di contro, Mazzini è dell’idea opposta, preme affinché la Rivoluzione venga portata ovunque dal Partito d’Azione, nella convinzione che la spinta destabilizzante agevoli i progetti di unificazione dello Stato. Garibaldi, da uomo d’azione quale è, preme per riprendere le operazioni, ma viene di fatto distratto dal centro Italia con la Spedizione dei Mille nel Mezzogiorno. Infine, il re Vittorio Emanuele II, quale elemento centrale di riferimento, si trova nella difficile condizione di dover gestire la situazione sia per dare coerenza alle molteplici azioni, sia perché tutti i personaggi agiscono per suo nome e conto.
Per Cavour e, quindi il Re, i progetti di Mazzini e Garibaldi possono mettere in discussione gli equilibri dell’intera Europa, soprattutto un’eventuale costituzione di una repubblica di stampo “mazziniano” al centro del Mediterraneo è uno scenario assolutamente non accettabile dalle principali Potenze (Inghilterra, Francia e Austria). Questo rappresenta il punto centrale della questione a quel tempo. Il progetto di Mazzini e Garibaldi, quest’ultimo già arrivato a Napoli con i Mille, prevede di entrare a Roma, rovesciare il papato e ricostituire una repubblica sul modello di quella Romana del 1849. È opportuno ricordare che la Repubblica Romana è stata caratterizzata da una costituzione assolutamente innovativa per l’epoca: consentiva, ad esempio, il diritto di voto alle donne, il divorzio e l’aborto.
Di fronte a questo pericolo reale, rappresentato dalle idee e dalle azioni del Mazzini e Garibaldi, le grandi Potenze devono intervenire per non vedere compromesso lo status quo. L’Austria, tuttavia, affronta pesanti problemi in Oriente ed in Romania, la Francia è scossa al suo interno per le lotte tra Conservatori, Cattolici e Progressisti e l’Inghilterra, da ultima, non è in una situazione migliore. La Guerra Civile Americana (1860-65) vede, altresì, impegnate fortemente sia la Francia, che l’Inghilterra nel tentativo di riguadagnare una certa influenza sul continente americano. In questo quadro generale alquanto instabile si inserisce, appunto, anche la situazione italiana che fino ad allora non ha posto particolari preoccupazioni ai principali Attori dell’epoca.
L’occasione comunque viene colta da Napoleone III che, a causa delle tensioni interne con i Cattolici, intravede un’opportunità per ridimensionarne il potere in Francia e indebolire il potere di Pio IX. La proposta di Cavour di agire nel centro Italia è l’occasione favorevole per ridurre lo stato della Chiesa al solo Patrimonio di San Pietro (Lazio), ma contemporaneamente di sfruttare la situazione per obbligare il Papa a intervenire in suo favore e contenere i Cattolici in Francia. La Cancelleria sabauda, parimenti, deve entrare nelle Marche e nell’Umbria per raggiungere il Meridione e porre un freno a Garibaldi che intanto sta risalendo vittorioso la Penisola. Le Grandi potenze hanno, infatti, necessità di ricondurre la Rivoluzione mazziniana in un alveo più moderato e conservatore per non destabilizzare l’intera Penisola e la situazione esistente.
L’unico in grado, al momento, di intervenire in Italia centrale è Cavour che può disporre dell’esercito di Vittorio Emanuele II. L’Austria da parte sua si trova in una situazione d’impasse: un intervento contro il Regno di Sardegna significherebbe riaprire il fronte sul Mincio (I Guerra d’Indipendenza), contrariamente lasciare mano libera a Cavour equivarrebbe ad offrirgli l’opportunità di conquistare l’Italia centrale.
L’Inghilterra, dal canto suo, non gradisce la costituzione di una repubblica  progressista nell’alveo europeo, ma potrebbe accogliere favorevolmente un ridimensionamento dell’influenza francese ed austriaca nella penisola italiana e la costituzione di uno Stato unitario guidato dal massone Cavour e da Vittorio Emanuele II più facilmente controllabile. Il principale e forse unico obiettivo dell’Inghilterra è rappresentato dalla necessità di mantenere la propria libertà sulle rotte commerciali del Mediterraneo e, con un’Italia unita e amica, di fatto potrebbe esercitare il controllo su tali rotte marittime.
Alla fine di agosto del 1860, una delegazione del Regno di Sardegna composta dal generale Cialdini e dal generale Farini si reca a Chambery, per incontrare Napoleone III e metterlo a conoscenza dell’intenzione di scendere in bassa Italia e ricondurre Garibaldi sotto il controllo della politica del Cavour, impedendogli di fatto di giungere a Roma. Con tale progetto il Cavour propone la creazione di un grande Stato italiano legato alla Francia, in considerazione della gratitudine per l’intervento a proprio favore. Napoleone III, a cui piace la proposta piemontese, tuttavia si vede costretto a non accettare a causa delle forti pressioni avanzate dal partito Cattolico rappresentato dalla moglie che interferisce con la politica dell’Imperatore. In tale occasione comunque Napoleone III, pur non potendosi esprimere a favore dell’iniziativa non la contrasta e, di fatto, autorizza tacitamente l’azione del Regno di Sardegna[15]. In tale frangente il Cavour, ricevendo le rassicurazioni di non intervento di Francia e Austria, ha di fatto mano libera nelle Marche e nell’Umbria, per andare incontro a Garibaldi e impedirgli di portare a termine la propria campagna nel Sud d’Italia.

  1. I piani operativi.
Importante per comprendere lo svolgimento degli eventi è guardare agli atteggiamenti della diplomazia pontificia. PIO IX e il cardinale Antonelli non sembrano intuire la gravità della situazione, anzi sono convinti che la principale minaccia provenga dalla campagna di Garibaldi nel Sud d’Italia e che, in caso di una invasione da parte dell’esercito di Vittorio Emanuele II, la Francia intervenga a loro favore. A tal proposito, anche il de La Moriciere è convinto che il pericolo maggiore provenga dalla bassa Italia e lo dimostra il fatto che il grosso del dispositivo militare pontificio sia schierato ed orientato a Sud.
I francesi sono disposti all’interno del Patrimonio di San Pietro, il de La Moriciere con le tre Brigate operative sull’asse Terni–Spoleto–Foligno ed il de Courten su Ancona per mantenere i collegamenti marittimi con Trieste e l’Austria. Sul fronte Nord dello Stato pontificio invece non c’è praticamente nulla.
Nel gioco delle grandi Potenze il Regno di Sardegna ottiene il sostanziale via libera per invadere l’Italia centrale e scendere nel Meridione.
Cavour rimane comunque molto scettico, se non contrario, sull’opportunità di dare corso all’iniziativa nelle Marche e nell’Umbria, ma il Re si impone e affida il comando dell’Esercito al generale Fanti con l’ordine di preparare il piano di invasione che comprende anche l’obiettivo occulto di fermare Garibaldi.
Il 7 settembre 1860, per il tramite del Conte della Minerva, è inviato da Torino un ultimatum a Roma, che, a causa di una tempesta nell’alto Tirreno, giunge il giorno successivo e viene immediatamente respinto dal Antonelli.
Sono giorni estremamente difficili per il Cancelliere piemontese. Gli ambasciatori di Russia, Francia, Austria e Inghilterra vengono ritirati da Torino lasciando, almeno per alcuni giorni, il Regno di Sardegna formalmente isolato diplomaticamente. Ciò fa temere la Cancelleria piemontese che ci sia un cambiamento di fronte delle Potenze europee e, quindi, che venga a mancare il promesso appoggio politico all’iniziativa piemontese. Contestualmente al rifiuto dell’ultimatum da parte dell’Antonelli, due reggimenti francesi si imbarcano a Tolone l’8 settembre. Tale evento è differentemente interpretato dai due protagonisti. Per l’Antonelli, Napoleone III viene in soccorso, mentre per il Cavour significa che la Francia mantiene le promesse date, assicurandosi esclusivamente che il Lazio resti a Pio IX.
Il piano di invasione piemontese prevede lo schieramento di due Corpi d’Armata sardi nella Romagna esattamente nell’area ad Ovest di Rimini per muovere verso Ancona secondo due direttrici parallele. La prima esterna, con il IV Corpo d’Armata al comando del generale Cialdini, marcia lungo la costa adriatica; quella interna, del V Corpo d’Armata, al comando del generale Enrico Morozzo della Rocca, secondo l’ordine di Fanti, marcia verso Perugia lungo l’asse San Sepolcro, Foligno, Perugia, Spoleto, Terni, cioè lungo l’asse dove era schierato l’Esercito pontificio.
Il generale Fanti, comandante delle truppe piemontesi, si ripromette di muovere con il IV Corpo d'Armata (la sinistra) lungo l'Adriatico, per attirare il nemico verso Ancona. Il V Corpo (la destra) deve intanto avanzare verso la valle del Tevere e tagliare la ritirata su Roma all'esercito pontificio che, in tal modo, sarebbe costretto a dare battaglia in condizioni di netta inferiorità numerica. Per tale motivo, nella convinzione che l’Esercito pontificio rimanga schierato in Umbria per mantenersi alle spalle la base logistica della piazza di Roma, viene dato, nell’assegnazione delle forze, maggiore peso al V Corpo d’Armata. Questo rappresenta uno dei primi errori di valutazione strategica dell’Esercito piemontese, a cui purtroppo ne seguono altri di natura tattica, sebbene l’esito della campagna risulterà favorevole al Regno di Sardegna.
La Reale flotta Sarda, al comando dell’ammiraglio Carlo Pellion di Persano, si deve portare di fronte ad Ancona per imporre il blocco del porto e condurre cannoneggiamenti contro la piazzaforte. Il Persano sarà poi il protagonista della battaglia di Lissa (1866) che lo vedrà soccombere alla flotta austriaca, principalmente a causa della scarsa amalgama della neo costituita flotta del Regno d’Italia con quella ex-pontificia e quella ex-borbonica al comando dell’ammiraglio Artun.
  1. Le forze in campo.
Le forze Sarde, che in quel momento stanno marciando dalla Romagna verso il centro Italia, sono costituite da 35 mila uomini, 2500 cavalli e 77 pezzi d'artiglieria. La restante parte dell’Esercito Sardo, costituito da 82 mila unità, è già schierato lungo il Mincio in funzione di sicurezza. Le forze al comando del generale Fanti (IV Corpo d’Armata composto dalla 4a e dalla 7a Divisione) marciano al centro, quelle del generale Cialdini (V Corpo d’Armata composto dalla 1a Divisione e dalla Divisione di riserva), muove lungo la litoranea adriatica ed il collegamento tra i due corpi d’armata è costituito dalla 13a Divisione al comando del generale Raffaele Cadorna, che poi guiderà la presa di Roma. L’importanza della 13a Divisione risiede nel fatto che deve supportare le azioni rivoluzionarie diversive che i patrioti innescheranno il 9, 10 e l’11 di settembre nel Nord delle Marche presso Pergola e Fossombrone, con lo scopo di attirare le forze delle guarnigioni pontificie al di fuori delle piazzeforti.
Il piano operativo delle forze pontificie, al comando del generale de La Moriciere con il quartier generale a Spoleto, è composto dalla Brigata Schmidt a Foligno, una seconda Brigata a Terni sotto il de Pimodan e la Brigata riserva Cropt a Spoleto.
Su Ancona invece staziona la terza Brigata agli ordini di de Courten.
L’essenza del piano operativo risiede nel dislocamento delle truppe francesi a presidio di Roma, per garantire la sicurezza della piazza principale ed il grosso delle truppe schierate al centro, in maniera tale da poter muovere più agevolmente e poter difendere sia il Lazio, che le Marche. Il piano dispositivo prevede appunto le forze migliori (terza Brigata operativa) a Sud perché da lì, ritengono, possa concretizzarsi la minaccia. Tutto il dispositivo pontificio delle Forze Mobili è infatti orientato verso Sud.
Per ciò che riguarda le istallazioni fisse, risulta d’importanza strategica per l’Esercito pontificio mantenere aperti i porti ed i collegamenti con Ancona e Civitavecchia per consentire, in caso di attacco da parte del Regno Sardo, l’arrivo di forze delle potenze amiche di Austria e Francia che sarebbero certamente intervenute.
La piazzaforte di Ancona, collegata attraverso Colfiorito, lungo la strada postale Roma–Ancona, è in grado di mantenere e garantire le comunicazioni con l’Austria, mentre i collegamenti con la Francia sono assicurati tramite il porto di Civitavecchia. I numeri delle forze dell’Esercito pontificio consistono in circa 8500 uomini delle Forze Mobili e 7000-7500 nelle piazzeforti per un totale di circa 16 mila uomini, molto ben preparati anche grazie all’impegno del de La Moriciere che ha costituito un dispositivo estremamente efficace.



[1] Le atrocità e gli orrori del campo di battaglia di Solferino e Castiglione delle Stiviere, cittadina presso la quale iniziò la grande battaglia del 24 giugno 1859, ispirarono i criteri umanitari per il recupero e la cura del ferito. In quei tempi erano infatti più numerose le perdite di uomini causate da setticemie e infezioni dopo gli scontri, che quelle durante la battaglia. Tuttavia, l’esigenza era anche militare, di natura tattica, essendo gli eserciti post-napoleonici caratterizzati per la volontarietà e professionalità dei componenti, per cui il recupero degli uomini feriti era indispensabile nel corso del conflitto per curarli ed evitare quindi la falcidia di caduti dopo la battaglia.
[2] Furono anche le grandi tragedie francesi a Solferino, con quattro comandanti di reggimento morti sul campo, a motivare il ritiro della Francia.
[3]  Carlo Pisacane nel 1857 con 300 uomini tenta di portare la Rivoluzione nel napoletano e nel Sud, ma muore sotto le forcole per mano dei contadini. Pisacane è stato uno dei massimi pensatori militari italiani dell’800, uno dei migliori prodotti dell’istituto militare La Nunziatella che era una fonte primaria di studi militari dell’epoca. Le sue idee  innovative hanno influenzato tutta la seconda metà del XIX secolo.
[4]  Le truppe borboniche erano ben piazzate sulle alture del colle, in posizione favorevole, ottimamente armate e supportate da due moderni pezzi di artiglieria da campagna ed un reparto di cavalleria. All'opposto, i garibaldini si trovavano nelle posizioni sottostanti, senza l'appoggio di cavalleria e dotati di armamenti superati e fatiscenti.
[5]  Christophe L.L.J. de La Moriciere è nominato nel 1830 capitano degli Zuavi e nello stesso anno partecipa alla spedizione d'Algeria. Diviene colonnello nel 1837. Nel 1843 viene nominato generale di divisione. Nel 1860 si mette a disposizione dell'esercito pontificio dove tenta invano di opporsi all'invasione delle Marche e dell'Umbria da parte dell'esercito sabaudo. A seguito della sconfitta di Castelfidardo, rientra quindi in Francia per finire i suoi giorni nel suo castello di Prouzel.
[6]  Saverio de Merode, (Pro-Ministro delle Armi dello Stato pontificio dal 1860 al 1865), è stato tenente belga ed ha combattuto in Africa inquadrato nella Legione straniera. Nel 1848 scelse però la carriera ecclesiastica: prese gli ordini e, caduta la breve Repubblica romana del 1849, partecipò attivamente alla restaurazione dello Stato pontificio. Divenuto cardinale, ha riformato l’Esercito pontificio con il proprio patrimonio personale, facendo costruire numerose caserme tra cui la Pio IX riadattando inoltre palazzo Salviati.
[7]  Chassepot è il nome di un'arma individuale in dotazione all'esercito francese nella seconda metà del XIX secolo. È uno dei primi fucili a retrocarica utilizzati in operazioni di larga scala.
Prese il nome da Antoine-Alphonse Chassepot (1833–1905), l'inventore del sistema d'otturazione gomma che lo equipaggiava. Il Chassepot consentiva una portata utile fino a 1300 metri poiché il proiettile usciva con un terzo della velocità in più, migliorando precisione e penetrazione.
L'esercito francese che sbarrò la strada alla spedizione garibaldina per annettere Roma all'Italia e la sconfisse nella battaglia di Mentana era equipaggiato con quest'arma. I francesi ebbero facilmente ragione dei garibaldini, equipaggiati invece con obsolete armi ad avancarica: il comandante francese, al termine dello scontro, commentò: "I nostri Chassepot hanno fatto meraviglie".
Il fucile fu rimpiazzato nel 1874 dal fucile Gras, che era capace di trattenere una cartuccia fatta di metallo e non di carta, come nel Chassepot. Tutti i Chassepot ancora in uso vennero convertiti per accettare la stessa cartuccia (fusil modèle 1866/74).
[8] De la Moriciere è ufficiale francese, forte oppositore di Napoleone III già dal 1848. È divenuto generale durante le campagne d’Africa ed è stato l’eroe di Costantina che per manovra e per assalti è riuscito ad espugnare. È ricordato, altresì, per aver istituito il corpo militare dei Tuareg, le truppe celeri, equivalente coloniale dei bersaglieri italiani.
[9] Perugia insorse al potere papale il 14 giugno 1859 quando instaurò un governo provvisorio. Il legato pontificio dovette fare ritorno a Roma e lo Stato della Chiesa reagì in maniera dura, ordinando la repressione dei moti ed inviando duemila guardie svizzere comandate dal colonnello Schmidt. Il segretario di stato di Pio IX, il cardinale Antonelli, autorizzò al saccheggio della città le truppe svizzere inviate per riportare entro i confini del dominio della Chiesa la città perugina: il 20 giugno 1859 questi entrarono in città e fecero strage dei rivoltosi, senza risparmiare donne e bambini. L'evento passò alla storia come le “stragi di Perugia”
[10] Pio IX, terziario francescano, è stato il 255° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica (1846-1878): è stato proclamato beato nel 2000. Il suo pontificato, di 31 anni, 7 mesi e 23 giorni, rimane il più lungo della storia della Chiesa cattolica, dopo quello di san Pietro.
[11] Tommaso Pasquale Gizzi, appartenente all'ala riformista moderata della Curia romana, godeva di grande popolarità, tanto da essere considerato tra i papabili nel Conclave del 1846, nel quale raccolse inizialmente numerosi voti; nelle successive votazioni tuttavia le preferenze dei Cardinali si rivolsero al cardinal Giovanni Maria Mastai Ferretti che, eletto Papa col nome di Pio IX, lo nominò Segretario di Stato l'8 agosto 1846. Gizzi tuttavia si dimise l'estate successiva, il 17 luglio 1847. Gli successe il cardinal Gabriele Ferretti, cugino del Papa. Morì il 3 giugno 1849, a Lenola, all'età di 61 anni.
[12] Giacomo Antonelli di origine umilissime, appena ordinato diacono, fu voluto da Papa Gregorio XVI fra i propri collaboratori. Tale decisione segnò la vita di Antonelli. A 22 anni egli divenne assessore presso una delle sezioni di giudizio penale della provincia di Roma e, con rapidissima carriera, fu nominato delegato a Orvieto, poi a Viterbo e, infine, a Macerata. Nel 1841 fu nominato sottosegretario agli interni, quale vice del cardinale Mattei, nel 1845 fu Grande Tesoriere, ovvero Ministro delle Finanze. Dopo la restaurazione del potere papale, il 15 luglio 1849, grazie all’intervento francese, Antonelli tornò a Roma con il Papa Pio IX, fu posto alla guida del neocostituito Consiglio di Stato. Egli riorganizzò l’amministrazione, perseguitò i suoi avversari politici e introdusse, in modo deciso e astuto, un regime assolutistico di polizia.
[13] Enrico Cialdini, generale e politico italiano del Risorgimento, combatté contro i Carlisti in Spagna, come il conterraneo Manfredo Fanti, col grado di colonnello. Rientrato in Italia nel 1848, nel corso della Prima Guerra d'Indipendenza, prese parte sia alla Seconda, sia alla Terza. Fu eletto deputato al primo (1860) ed al secondo (1861) parlamento italiano; quindi, nel 1864 divenne senatore. Dal 1869 al 1881, anno in cui si ritirò definitivamente dalla vita politica, fu ambasciatore prima in Spagna, quindi in Francia.
[14] Il 20 marzo 1849 il Re Carlo Alberto riprende la Guerra per liberare la Lombardia dall'Austria e crede di liberare Milano muovendo da Trecate, varcando il Ticino al Ponte di Buffalora verso Magenta; invece è il Radetzky che prende l'iniziativa da Pavia, forzando il confine col Piemonte al Gravellone di S. Martino Siccomario e di qui irrompendo per tutta la Lomellina.
[15] Una frase mai detta è: “Fate e fate presto”.