Massimo Coltrinari
Osimo, abbandonata a se stessa (13 -16
settembre 1860)
Lo stato d’assedio proclamato il 7 settembre 1860 in tutte le
provincie delle Marche fece capire agli osimani che la situazione era diventata
critica. Le disposizioni delle autorità pontificie erano tassative. Nessuno
usciva più di casa. Il Gonfaloniere, come allora si chiamava quello che da là di
un mese si sarebbe chiamato Sindaco, Andrea Bonfigli stava vivendo quei gironi
di settembre con estrema angoscia. Le disposizioni erano severissime: bastava
un nonnulla che si finiva in carcere con pesanti accuse. Come tutti gli osimani
aveva compreso che qualcosa di molto grosso stava accadendo, ma non si sapeva
dove andare a parare. Si teneva una riedizione dei fatti di Perugia del 1859,
ovvero una strage fra quei civili che per superficialità od altro si mostravano
ostili: i soldati del Papa, che la tradizione dileggia, erano rudi e
determinati e non esitavano a sparare in presenza di una minaccia grave e la
rivolta per loro era da reprimere senza esitazione. Il Gonfaloniere sapeva che
in Osimo vi erano esponenti mazziniani e cavourriani, e simpatizzanti, molti
dei quali in contatto con i rivoluzionari di Ancona. Ma ormai il tempo delle rivolte
era finito. Il 13 settembre giunse in Osimo la notizia che Pesaro era caduta che
le truppe “piemontesi” erano in marcia su Ancona. Il giorno dopo giunse la
notizia che Perugia era anch’essa caduta. Giunse anche la notizia che il
Delegato Apostolico di Pesaro, Mons. Tancredi Bellà, a cui fu confiscato ogni
bene, tra cui la tanto curata ed amata cantina contenente oltre 3000 bottiglie
di vino, era stato fatto prigioniero e tenuto in mutande tutta la notte in
piedi nella piazza davanti al palazzo dell’Arcivescovado., mentre uscivano di
prigione tutti i detenuti, sia comuni che politici. Era ormai chiaro che le rivolte
di Pergola, Fossombrone ed Urbino erano state un’esca, quasi una trappola per
far uscire le truppe pontificie dalle loro fortezze, per affrontarle in campo
aperto. Ora erano in ripiegamento su Ancona. Di ora in ora la situazione si
aggravava e nella giornata del 14 settembre giunse la notizia che una colonna
“piemontese” stava marciando su Osimo. Gli ultimi soldati pontifici si
raccolsero in piazza e nessuno sapeva cosa fare. Inizialmente si pensava ad una
organizzazione di difesa di Osimo imbastita in modo dilettantistico, poi arrivò
l’ordine da Ancona che tutti i militari, gendarmi, ausiliari ed impiegati
civili pontifici dovevano raggiungere la piazzaforte e mettersi a disposizione
del col. O’ Gady. In breve Osimo fu lasciata sgombra da ogni militare
pontificio ed affidata a sé stessa. Il 13 settembre, quindi, si erano
allontanati da Osimo i gendarmi e gli ausiliari pontifici e la città si trovò
priba di autorità ed ogni abitante temeva per l’incertezza del domani. Il
potere civico fu preso in mano dal Gonfaloniere Bonfigli e dal Rossi che,
servendosi dei bandisti musicali in divisa e dei loro armati, iniziarono a dare
un minimo di sicurezza alla cittadinanza inviando staffette alle truppe
Sarde ed a perlustrare le strade dei
dintorni ed a predisporre l’ingresso delle truppe sarde che era dato per
imminente
Il IV Corpo d’Armata sardo, al comando del gen. Cialdini il
14 settembre aveva raggiunto Senigallia. Inviate truppe (i Lancieri di Milano e
due battaglioni di fanteria a Rocca Priora con compiti di sicurezza), il grosso
iniziò quella manovra di interposizione che sarà la chiave di volta di tutta la
campagna delle Marche. Avuta conoscenza che una forte colonna pontificia era
dall’Umbria in marcia su Ancona (erano 8500 pontifici al comando del De La
Moricière che intendeva raggiungere Ancona per organizzare una estrema difesa)
Cialdini scelse la linea di cresta delle colline antemurale ad Ancona per
intercettarla e dare battaglia in campo aperto, cercando di evitare quindi un
assedio della piazzaforte che sarebbe stato dispendioso in termini soprattutto
di tempo.
La 7a e la 4a Divisione si incolonnarono quindi da
Senigallia, lasciando la strada litoranea per Jesi e Torre di Jesi, che furono
raggiunte il 15 settembre. Secondo le valutazioni dello Stato Maggiore del IV
Corpo d’Armata, saputo che De La Moriciére era a Macerata, questi per
raggiungere Ancona poteva utilizzare la strada Macerata- Monte Cassiano - Monte
Fano-Osimo, circa 31 chilometri, che era la più diretta. Poteva anche
utilizzare la strada Macerata – Val Potenza – Recanati – Castelfidardo (30 chilometri)
ed infine la strada Macerata – Monte Lupone – Monte Santo – Santa Maria di Potenza
– Porto Recanati – Loreto (38 chilometri). Cialdini doveva assolutamente
occupare e presidiare le posizioni di cresta tra Osimo e Castelfidardo, mentre per
le posizioni in costa tra Castelfidardo ed il mare bastava occupare le
Crocette, bloccando la strada postale Roma- Ancona. Occorreva procedere,
nonostante la stanchezza, in avanti e mettere in atto stratagemmi affinchè il
Comando Pontificio prendesse decisioni contrari ai suoi interessi. Tenendo
presente questa esigenza, il Cialdini ideò ciò che poi fu chiamata “La diversione di Filottrano”
“Persuaso che le poche
forze del generale De La Moricière lo costringerebbero per qualche giorno ad
essere cauto” scrive il Cialdini, volli
tentare di spingerlo a scegliere la strada più lunga con uno di quei stratagemmi
volgari che però riescono quasi sempre in guerra. Feci partire subito uno
squadrone di Lancieri per Filottrano, che arrivò nel cuore della notte. Secondo
gli ordini avuti il capitano dello squadrone fece gran chiasso risvegliò e
spaventò tutto il paese trattò arrogantemente il Municipio ed ordinò 24.000
razioni che io intendevo di prendere l’indomani nel mio passaggio da Filottrano
per Macerata. La cosa fu certamente creduta poiché gran parte delle chieste
razioni fu preparata ed il municipio non mancò di mandare avviso al generale
nemico” [1]
Il “volgare stratagemma” riuscì alla perfezione. De La
Moricière prese la strada più lunga e giunse a Loreto solo la sera del 16
settembre, mentre la I Brigata del generale de Pimodan arrivò solo il giorno
dopo, la sera del 17 settembre. De La Moricière aveva perso il lieve vantaggio
che aveva. Se avesse preso la strada Macerata - Monte Cassiano – Monte Fano –
Osimo: (31 chilometri) i Pontifici sarebbero passati per Osimo circa 24 prima
dell’arrivo delle truppe del Cialdini ed avrebbero raggiunto senza combattere
Ancona. Per Osimo sarebbe stata una vera iattura. Infatti in poche ore
sarebbero arrivati 8500 soldati stanchi ed affamati che chiedevano viveri.
Queste truppe erano poco controllate, composta per lo più da francesi, belgi,
irlandesi ed “indigeni” come erano chiamato gli italiani. Si sarebbero svolte
le scene che si ebbero a Loreto tra il 16 ed il 17 settembre quando molto
soldati pontifici si abbandonarono a violenze a danno della popolazione ed
anche di alcuni ecclesiastici, violenze dettate per lo più dalla ricerca
disperata di qualcosa da mangiare.
In realtà Cialdini, che era a conoscenza che le truppe
pontificie avevano 24 ore di vantaggio su di lui si pose come obiettivo l’occupazione
di Osimo. Riuscire ad occuparla, nella speranza che lo stratagemma di
Filottrano avesse funzionato, vi era speranza di impedire che i Pontifici
giungessero in Ancona. Iniziò una corsa contro il tempo dove tutto fu
sacrificato pur di raggiungere la città dei senza testa. Per Osimo questo
significò la fine del potere temprale dei Papi.
[1]
Cialdini E., Rapporto a S.E. il Generale
in capo sulle operazioni del IV Corpo d’Armata dall11 settembre al 29 settembre
1860. Documenti. In Rivista Militare Italian Volume III, Anno, V giugno
1861. Per inciso da questo rapporto si deduce che Cialdini non era il comandante
delle truppe sarde operanti, ma un subordinato. IL Comandante in Capo era il
gen. Manfredo Fanti, che aveva preparato il piano strategico di operazioni
assegnando al IV Corpo (Gen Cialdini) di occupare le Marche ed al V Corpo
(generale Morozzo della Rocca) di occupare l’Umbria, sempre sotto il suo
diretto ed esclusivo comando.
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