Osimo
incredula è sorpresa dagli avvenimenti
Dallo
Stato d’assedio alla prima linea
Ai primi di settembre
1860 qualche cosa di anomalo e di grave fu avvertito ad Osimo. Vi era una
frenesia insolita nei responsabili Pontifici; mons. Randi, delegato Apostolico ad
Ancona, ma che nel giugno 1859, al momento dei tumulti seguiti alla partenza
della guarnigione austriaca per il nord, si era rifugiato in Osimo, ritenendola
più sicura, lasciando Ancona di notte e senza dare disposizione alcuna,
lasciando una impressione pessima. In quei primi giorni del settembre 1860
aveva dato disposizioni di ripristinare in Osimo luoghi ed uffici “per ogni
evenienza”. Le notizie da Roma erano praticamente le solite. Giungevano, invece,
in Osimo notizie da Ancona molto inquietanti. La vicenda del cittadino inglese,
ma in realtà italiano, Pasquale Tommasi divenne nota a tutti. Questi aveva
apertamente violato ogni norma politica agendo e sostenendo le idee liberali e
promettendo interventi, anche esterni, per avviare una opposizione che in realtà
portava ad una rivolta vera e propria. La Gendarmeria pontificia aveva
sequestrato carte compromettenti ed anche materiale di propaganda e politico. Le
prove erano schiaccianti. Il Governatore di Ancona De Quattrebarbes ne aveva fatto partecipe non
solo il comandante della Piazza, col. O’Gady, ma anche il generale De La
Moriciere al suo quartier generale a Spoleto. Il pericolo imminente di una
sovversione era palese. L’intervento del console britannico in Ancona fu così
pesante che ottenne la liberazione del Pasquali, che fu imbarcato su un piroscafo
diretto a Trieste; tutti compresero, di fronte alle accuse evidenti di
spionaggio e sovversione, che in tutta la vicenda c’era dietro l’Inghilterra.
Che l’Inghilterra, anglicana e massonica, si interessasse così da vicino delle
vicende di Ancona e delle Marche lasciava riflettere. In realtà è ampiamente
dimostrato che dietro Cavour vi era la Francia, dietro il partito progressista,
rivoluzionario e democratico, impersonato da Mazzini, Quadrio, Bertani, e lo
stesso Garibaldi ed in Ancona da Alessandro Orsi, vi era l’Inghilterra. Questo
non fu mai a fondo tenuto in considerazione dovuta dai responsabili pontifici e
dai loro consiglieri austriaci.
Il governatore civile De
Quattrebarbes aveva indizi che alimentavano sospetti di sovversione ogni
giorno, mentre il comandante della Piazza di Ancona col. O’Gady ordinava
ispezioni e ricognizioni in tutto il territorio compreso quello di Osimo. Ai
primi di settembre si videro passare reparti pontifici che provenivano da
Macerata ed andavano a rafforzare la guarnigione di Ancona. Erano i reparti
operativi della III Brigata pontificia al comando del De Courthen: con il suo
arrivo, la piazzaforte di Ancona da difensiva divenne offensiva. Oltre alle
pattuglie di Gendarmeria nel territorio di Osimo si videro anche pattuglie di
soldati a piedi e drappelli di cavalleria. I contadini, venendo in Osimo, oltre
che ai loro signori e padroni non facevano mistero che i soldati parlavano
apertamente di guerra. Ovvero ci si aspettava che Garibaldi portasse la
rivoluzione nello Stato Pontificio, ovvero un attacco da sud.
Le dicerie e le voci si
accavallavano sempre più, come quella di un Ufficiale dei Bersaglieri austriaci
che era stato pesantemente insultato da alcuni viaggiatori nella carrozza che
lo portava da Camerano in Ancona. Questi viaggiatori giunti in città si
dileguarono, la polizia arrestò il postiglione ed iniziò varie perquisizioni
sia in città che a Camerano. Altre voci riferivano che un soldato della
Gendarmeria ausiliare pontificia aveva ferito con la sua spada, durante un
alterco, un “rivoluzionario”. Per questo episodio il soldato fu elogiato e
ricevette un premo in denaro, mentre una compagnia di soldati fu inviata a
Camerano a rinforzo dei reparti di gendarmeria ivi presenti. Anche per questo
il ten. Baldoni, comandante della Gendarmeria pontificia di Ancona, venne in
Osimo e chiese al Comune di predisporre alloggi e vettovagliamento per circa
100 soldati. Continuavano a passare, soprattutto per la strada postale sotto
Castelfidardo, continuamente drappelli di soldati sia a piedi che a cavallo. In
Osimo l’inquietitudine aumentava di giornp in giorno: vi erano tanti indizi che
qualcosa stava per succedere ma nessuna certezza. Inquietava il silenzio che
proveniva da Roma: generalmente dalla Città Eterna arrivano notizie certe e
sicure. Molte famiglie di Osimo avevano stretti legami familiari con famiglie
romane anche altolocate e a loro si chiedevano notizie; anche loro brancolavano
nel buio. Da Pesaro, peraltro, mons. Bellà, delegato apostolico di quella
città, aveva informato le Autorità che in Toscana, quasi a ridosso del confine,
era stato sequestrato un carico di armi e munizioni diretto prima a Pesaro poi
via mare in Ancona.[1]
Il 5 settembre mons. Bellà lanciò l’allarme. Notizie certe provenienti da
Pergola e da Fossombrone parlavano apertamente di rivolta; per questo chiese
l’invio a Pesaro di una compagnia di Gendarmeria come rinforzo al III
battaglione di fanteria di linea al comando del ten. col Zappi. Era prevista,
per informazioni raccolte oltre confine, una sollevazione di Urbino e delle
città dell’alto pesarese. Le autorità militari pontificie presero molto sul
serio queste notizie temendo l’inizio di una rivolta nelle Marche. Per questo
il 6 settembre fu messa in allarme la III Brigata pontificia che da Ancona
doveva essere pronta, su ordine, a marciare prima su Pesaro poi su Urbino. Le
unità presenti nel pesarese passarono sotto il diretto controllo del ten. col.
Zappi. Il 7 settembre giunse la notizia che Pergola e Fossombrone si erano
sollevate e dato inizio alla rivolta, disarmando i posti della gendarmeria e
costringendo i pochi soldati pontifici a ripiegare su Pesaro. Zappi
immediatamente ordinò ad una compagnia di formazione di uscire da Pesaro e
portarsi si Pergola e Fossombrone per ristabilire l’ordine. Intanto le prime
compagnie della III Brigata uscirono da Ancona e si portarono a Senigallia. Alla
sera del 6 settembre le notizie erano ancora più inquietanti tanto che il De
Quattrebarbes e il O’Gady, di concerto con il De Courthen, chiesero per
l’indomani a De La Moricière di proclamare lo Stato d’Assedio e la legge
marziale, per avere più libertà di agire. De La Moricière, da Spoleto, convinto
che il vero pericolo provenisse da sud portato da Garibaldi, voleva le sue
retrovie tranquille e sotto il suo controllo. Diede l’autorizzazione alla
proclamazione dello Stato d’assedio, che fu proclamato per la città di Perugia[2] e
provincia e poi esteso a tutte le Marche[3] il 7
settembre 1860. Appena i manifesti di detta proclamazione furono affissi in
Osimo, le preoccupazioni divennero ancora più forti. Alcune famiglie
benestanti, memori di quanto era successo il giugno dell’anno precedente,
iniziarono a fare preparativi per raggiungere Roma, ritenuta sicura ed al
riparo da ogni sovversione. Altri, invece, invitavano alla calma in quanto le
forze pontificie erano consistenti, che le autorità avevano la situazione sotto
controllo e che prima che Garibaldi arrivasse in Osimo doveva passare del
tempo, ricordando che a Roma vi era una guarnigione di 25.000 soldati francesi.
Ogni giorno che passava la situazione diveniva, però sempre più grave.
Fa impressione
l’edizione ultima del giornale il “Piceno” che si stampava ad Ancona con ampi
spazi bianchi, dovuti alla censura esercitata direttamente dal De
Quattrebarbes”. Finalmente giunse il Osimo l’edizione del “Giornale di Roma”
del 10 settembre 1860 che riportava un’ampia panoramica di quanto stava
accadendo nelle Marche. Colpisce che anche Macerata è coinvolta negli eventi
sovversivi. Tra l’altro si apprende che un buon tratto dei pali del telegrafo
verso Osimo sono stati abbattuti e che sono intervenuti i gendarmi e i
cantonieri per ripristinarli.
De La Moricière, De
Courthen, O’Gady, de Quatrebarbes, tutti sono determinati a reprimere la
rivoluzione sul nascere, assistiti in ciò dai delegati Pontifici, soprattutto
mons. Randi a Pesaro e mons. Randi in Ancona. Tutte le forze militari e di
polizia vengono mobilitate, e vi è la certezza di poter avere facile successo
sui rivoluzionari sia per il numero sia per la determinazione dei comandanti,
che non esitano ad impiegare anche l’artiglieria pur di avere ragione di ogni
rivolta.
Questo porta un po' di
sicurezza in Osimo, anche se la notizia che una colonna di oltre 600
rivoluzionari dalla bassa Romagna ha passato il confine ed invaso Urbino e poi
Fossombrone, già in rivolta con Pergola non rassicura. Sono in marcia su queste
città consistenti forze pontificie, ovvero tutta la III Brigata operativa
uscita da Ancona. Corre voce che hanno ricevuto l’assicurazione che, una volta
repressa la rivolta, avranno 12 ore di libertà di saccheggio in queste città
per punire la popolazione che appoggia apertamente i rivoluzionari. Tale
notizie viene smentita categoricamente da De La Moricière, ma inquieta ancor
più gli abitanti di Osimo che ormai hanno la certezza che si andrà incontro a
giorni veramente difficili. In questo clima surriscaldato, come un fulmine a
ciel sereno che sorprende tutti, giunge la notizia da parte di mons. Bellà che
l’11 settembre 1860, le truppe del Regno di Sardegna, gli intimano di
sospendere ogni azione contro i rivoluzionari e che contemporaneamente stanno
passando il confine e puntano a porre l’assedio a Pesaro. Nessuno in Osimo
comprende che cosa stia succedendo, tantomeno immagina che nel giro di quattro
giorni Osimo si troverà sulle linee di scontro la l’Esercito Sardo e l’Esercito
Pontificio per il possesso di Ancona. E’ l’inizio della invasione delle Marche
dell’Umbria di una forza di 35.000 uomini al comando del gen. Fanti. (continua)
[1] La
notizie indirettamente fu confermata da un agente del servizio segreto
pontifici, il Niccolini, che in una lettera al Mons, Randi il 6 settembre in
cui scrive che “..dal confine toscano e
precisamente in località Luviano dove ai
poderi la Sig,ra Buonaparte belle sequestrati e confiscati dalla Finanza
Toscana 9 carri di fucili che erano 1500 e cio per essere stati senza regolari
recapiti questi erano diretti alla abitazione della predetta Signora. Così
siamo sicuri che le armi non sono state a noi introdotte, ma è certo che sono
lì ai confini per l’occorrenza” Cfr. Scoccianti S, Appunti sul servizio informativo pontificio nelle Marche nel 1859-1960.
Citato in Coltrinari M., L’Ultima
difesa pontificia di Ancona 7-29 settembre 1860. La Fine del potere temporale
dei Papi nelle Marche, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2014. Pag 255
[2] Sono
noti i fatti del 1859 accaduti in questa città, che sono passati alla storia
come “Le stragi di Perugia”, perpetuate dai soldati della II Brigata operativa
al comando del gen Schmit.
[3] Tra le
misure che suggerisce, anche quella di somministrare una multa di 10.000 scudi
a quelle famiglie facoltose che mostrano segni di simpatia per la rivoluzione.
Questa misura la ritiene molto più efficace di una scarica di fucileria. Aa
Osimo questo provvedimento suggerisce ad alcune famiglie di professare lealtà e
fiducia al Governo Pontificio
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