MASSIMO COLTRINARI
Osimo agosto 1860: la
tranquillità prima della tempesta
Note
di storia risorgimentale. La trasformazione dell’assetto economico-sociale
L’estate del 1860 si
presentava ad Osimo come le altre estati. I responsabili pontifici si erano
ripresi dagli avvenimenti dell’anno precedente, quando una situazione
abbastanza tranquilla divenne improvvisamente difficile. La presenza ad Ancona
di una guarnigione di 5000 soldati austriaci, presente dal 1849, garantiva la
pace e la sicurezza. Nessuno aveva l’ardire di promuove rivolte o altro e tutto
sembrava procedere per il meglio. Improvvisamente nel nord scoppia la guerra
tra il Regno di Sardegna e l’Austria, e, in modo sorprendente, al fianco del
Governo di Torino scende le Alpi una Armata francese. Parigi e Napoleone III si
alleavano con la rivoluzione. Una contraddizione che in molti non riuscivano a comprendere.
La Francia era una delle Potenze cosiddette cattoliche, insieme all’Austria, che
garantiva la sopravvivenza dello Stato Pontificio e manteneva a Roma una
Guarnigione di circa 25.000 soldati per prevenire ogni rivoluzione, come era
successo nel 1848. Napoleone III alleato al Cavour era incomprensibile. I
meglio informati assicuravano della lealtà dell’Imperatore Cattolico, che
garantiva al Pontefice la sopravvivenza assicurando in ogni circostanza che gli
spettava di diritto il cosiddetto Patrimonio di San Pietro, territorio
corrispondente all’odierna regione del Lazio. Queste affermazioni di Napoleone
III erano interpretate come una assicurazione per lo Stato Pontifico, inteso
come territori che andavano si dal Lazio, ma comprendevano anche l’Umbria, le
Marche e le Romagne.
Il Cardinale Antonelli,
capo della politica vaticana, e la stessa Segreteria di Stato, vedevano con
diffidenza Napoleone III, ma non riuscirono mai a capire i suoi disegni. Il suo
intervento in Italia era motivato dal fatto che mirava a contrastare il
predominio austriaco in funzione strategica. La Francia, dopo aver acquisito il
controllo del mediterraneo occidentale ed aperte le vie per l’Algeria e la
Tunisia, dove si era installata, ora puntava a portare la sua influenza nel
mediterraneo orientale, verso l’Egitto, riprendendo i vecchi piani predisposti
da Napoleone. La prova generale di questa espansione era stata fatta nel 1854-1855
con la cosiddetta guerra di Crimea, a cui si aggregò, come noto il Cavour, per
portare all’attenzione il problema Italiano sulla scena europea. Alla Francia
occorreva avere punti di appoggio concreti, ovvero basi che le permettessero di
arrivare nel mediterraneo orientale. I progetti e le idee che, poi, nel 1867
portarono alla apertura del canale di Suez a Parigi erano materia di attento
studio. In pratica alla Francia occorreva basi prima in Adriatico, per tentare
il successivo balzo vero i mari greci. Chi impediva tutto ciò era l’Austria,
che non accettava un suo ridimensionamento nella penisola italiana che dal
1815, avendo definito l’Italia “una semplice espressione geografica, assoggettava
ai suoi interessi tutti gli stati italiani, Papa compreso.
Questo significava
anche alterazione degli equilibri economici, che avrebbe inciso sulla vita di
Osimo e degli osimani. Da una imprenditoria agricola, si doveva passare ad una
imprenditoria commerciale e di trasporto, ovvero per Osimo entrare in
concorrenza con Ancona, da sempre orientata ai commerci avendo il porto. In
varie famiglie benestanti anconetane, come i Fazioli e in tutta la comunità
ebraica, lo statu quo era un ostacolo e si vedevano limitare, essendo in
contatto con famiglie imprenditoriali inglesi tramite la organizzazione
massonica, i loro investimenti e le loro possibilità di profitti. Osimo con le
sue famiglie, I Leopardi. I Bellini imprentati con i Brighenti e le altre avevano
investimenti sulla terra, sull’agricoltura e in parte anche sul latifondo, come
le altre famiglie possidenti di Loreto, Recanati e Jesi. Tutti costoro vedevano
i cambiamenti come un salto nel buio. Sul campo politico, da qui il loro
appoggio al Governo Pontificio, considerato un paladino della conservazione e
dello status quo, appoggiato dall’Austria, sempre contraria ad ogni
rinnovamento che avrebbe portato sicuramente alla sovversione ed alla
rivoluzione. In Ancona l’orientamento era all’opposto: si era per Cavour ed il
suo liberalismo, con venature anche progressiste, ma limitate per lo più
all’ideale, non all’espetto economico.
La perdita delle
Romagne sul finire del 1859, era stata compensata nelle Marche con l’arrivo di
una forte guarnigione pontificia di oltre 4000 uomini al comando del Barone
svizzero Kalbermatten, un rude soldato che riteneva suo dovere imporre lo
status quo con la forza. Tale approccio non faceva buon gioco all’elemento
conservatore, che cercava in ogni modo di ingraziarsi la popolazione con modi
molto più intelligenti.
In quell’agosto 1860 in
una situazione tutta in divenire, iniziò quella serie di episodi che a capo di
circa trenta giorni cambiò radicalmente il profilo socio-economico di Osimo.
Garibaldi, nel 1859,
aveva tentato di portare una azione rivoluzionaria ed impadronirsi di Ancona
quando era vicecomandante dell’Esercito dell’Italia Centrale. Spalleggiato da
una Comitato segreto rivoluzionario operante nella dorica guidato da Alessandro
Orsi, tentò di impadronirsi del porto. L’azione fu sventata da un agente del
servizio segreto pontificio che aveva una delle sua sedi in Osimo, operante
sotto diversi nomi, tra cui Erra, Angeli, Micheli, ecc. che addirittura
organizzò un incontro segreto amoroso in cui attirare Garibaldi per ucciderlo,
tramite la complicità del suo aiutante di campo che faceva il doppio gioco, in
una località a ridosso di Ancona (alcune fonti parlano in modo improprio anche
di Osimo) che fallì all’ultimo momento. Contrario all’azione di Garibaldi era anche
Manfredo Fanti, capo dell’esercito dell’Italia Centrale che agiva su ordini di
Cavour. Lo sventato pericolo di un intervento negli Stati del Papa da parte del
partito progressista, non fece abbassare la guardia ai moderati che, nel
prosieguo, orientarono Garibaldi ad altre imprese, tra cui quella di portare la
rivoluzione nel meridione d’Italia, sull’esempio di Pisacane. In molti
speravano a Torino che Garibaldi facesse la stessa fine di Pisacane, ma questa
volta le cose andarono diversamente. Era la spedizione dei Mille che portò
Garibaldi, il 7 settembre 1860 ad entrare a Napoli. La sua intenzione era
quella di marciare su Roma. Occorreva fermarlo. Cavour non trovò altra
soluzione che proporre a Napoleone III di scendere nella bassa Italia con
l’esercito sardo e bloccare le iniziative garibaldine Roma non si doveva toccare,
ma le Marche e l’Umbria si. Questo era il grande equivoco in cui cadde la
diplomazia pontificia.
IL 31 agosto fu una giornata particolare. Ad Osimo in una riunione di possidenti, presente il Delegato Apostolico Randi, si cercava di valutare la situazione, con le preoccupazioni di un futuro incerto, con una vendemmia da fare; nessuno immaginava quelle che in pochi giorni sarebbe successo. Nello stesso giorno Farini e Cialdini, furono mandati a Chambery da Cavour per illustrare la situazione a Napoleone III, e a chiedere il tacito assenso di invadere le Marche e l’Umbria per scendere a fermare Garibaldi. L’assenso fu concesso. Per Osimo iniziava un conto alla rovescia che l’avrebbe portata a cambiare radicalmente il suo assetto economico-sociale, ad iniziare, con l’applicazione delle leggi Siccardi sugli Ordini religiosi, e per molte famiglie, fino ad allora floride e potenti, un inizio di decadenza e oblio che è ben rappresentato oggi dallo stato di abbandono dei due principali palazzi signorili che si affacciano sulla Piazza principale di fronte al Municipio. Un montacarichi in ferro arruginito troneggia da oltre 25 anni, che si potrebbe ormai catalogare come esempio del secolo scorso di archeologia industriale, rammenta come quei giorni del settembre 1860 cambiarono ogni cosa. (continua)
Pubblicato su "La merisian, n. 32 (1219) Anno XXVI 28 agosto 2021
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