PARTE II
La carriera militare del De La Moricière fu brillante
ed ebbe il suo massimo splendore nelle campagne in Algeria e Tunisia condotte
dall'Esercito Francese tra il 1830 e il 1840. Meno brillante fu la carriera
politica: oppositore di Napoleone nel 1848-1852 fu emarginato progressivamente
dalla scena politica francese. Nell'assumere il Comando delle truppe Pontificie
era conscio di non avere appoggi diretti da Parigi; contava però sull'appoggio
del partito cattolico molto influente in Francia, anche tramite 1'imperatrice
Eugenia e sull'aiuto fattivo del1'Austria. La sua attività come Comandante fu
frenetica: modellò progressivamente le truppe di campagna Pontificie sulle
istituzioni francesi: riordinò la Fanteria, istituì il Corpo dei Bersaglieri
Pontifici, in cui fece affluire i volontari austriaci, rimise ordine
nell'Artiglieria e nell'Arsenale del Belvedere, e diede una configurazione
operativa alla Cavalleria ed alle altre Armi.
La sua opera fu coronata da successo: infatti al
momento della dichiarazione di guerra riuscì a radunare e portare le truppe
mobili Pontificie dall'Umbria alle Marche con una marcia degna dei migliori
eserciti del tempo. Quindi a livello professionale si può dire che il de La
Moricière non aveva deluso le aspettative di chi lo aveva scelto, anche
relazione a quello che era il livello operativo dell’Esercito Pontificio prima
della sua assunzione del comando.
Certamente poteva anche riuscire, senza sparare un colpo,
arrivare ad Ancona ed evitare lo scontro aperto.
Uno dei motivi per cui il Generale De La Moricière
prese la strada che da Macerata porta a Porto Recanati per le alture del
Chienti e del Potenza, e che nella sostanza gli fece perdere quella mezza giornata
di vantaggio che aveva su Cialdini, è
senza dubbio quello di porre in salvo il Tesoro dell'Armata papale.
De La Moricière aveva mandato nella primavera del 1860
una somma di 500.000 mila franchi ad Ancona; questa somma, custodita nella
Cittadella dell'Astagno, doveva servire solo per casi estremi. Il Comando
Piazza di Ancona, invece, per superare le momentanee deficienze di cassa,
attinse a questa somma, non riconoscendone l'intangibilità. Di modo che, al
momento della invasione sarda, l'11 Settembre 1860, il Comandante civile di
Ancona, Conte di Quattrebarbes, fece presente al Generale De La Moricière che
Ancona aveva urgentemente bisogno di denaro.
Il Comandante in Capo si vide costretto a chiedere a
Roma, al Pro Ministro per le Armi De Merode, il denaro necessario per Ancona.
Al momento di mettersi in marcia da Spoleto, avendo immediatamente ricevuto
varie casse di monete d'argento, il Generale De La Moricière si trovò
appesantito da un considerevole “treno
di cassa”, come allora si definiva l’amministrazione militare.
Al Generale De La Moricière stava molto a cuore
preservare questo tesoro; aveva chiesto ad Ancona delle cannoniere;
all'appuntamento a Porto Recanati si presentò il postale San Paolo, con a bordo
il Sig. De La Perraudiere, volontario di cavalleria. Il tesoro fu imbarcato in gran fretta:
infatti notizie ultime davano i Sardi a Loreto; inoltre il mare ingrossava;
furono imbarcate tutte le casse, compreso il denaro che serviva all'Armata per
i servizi ordinari.
Con il Tesoro si imbarcava anche il Sottointendente
Ferri. La fretta fu all'origine di un grave inconveniente: a Loreto De La
Moricière aveva bisogno di farina, ma non aveva soldi per pagarla, essendo
tutti i molini caduti in mano nemica. “Gli abitanti” , riferisce nella
sua relazione , “nonché a noi bene affetti, vedendo 1'inferiorità delle
nostre forze, volevano essere pagati in contanti, ed abbiamo già detto come la
cassa di servizio era stata trasportata ad Ancona. Eravamo quasi senza denaro.”
Ovvero 1'Armata Pontificia, dopo aver allungato la via per imbarcare il Tesoro
e salvarlo, perdendo ore preziose, si trovava quasi a digiunare, il 17
Settembre a Loreto, per mancanza di denaro. La vicenda del Tesoro è
sintomatica: scarsa previdenza amministrativo - logistica da parte dei
sottordini incidono fortemente nelle scelte operative del Comando Pontificio.
De La Moricière, forse, però giustifica 1'aver scelto
la strada più lunga per andare da Macerata a Loreto con la scusa di porre in
salvo il Tesoro, per non ammettere di essere stato tratto in inganno dal
Cialdini con la diversione, fittizia, su Filottrano.
La manovra del Cialdini rappresenta una delle migliori
esecuzioni sul terreno del generale nativo di Castelvetro e che varrà
l’imperitura memoria nelle nostre terre.
Il Generale Cialdini, agli ordini del Comandante in
Capo Manfredo Fanti era al Comando del IV Corpo sardo. Tale grande unità era
ordinata su tre Divisioni: la 4a, la 7 a e la 13 a.
Secondo il piano generale doveva operare nelle Marche e conquistare al più presto
Ancona e battere in campo aperto le eventuali forze Pontificie. Poi, passare ad
operare verso il Sud. Fin dal 9 Settembre il IV Corpo era pronto ad operare. La
7 a e la 4 a Divisione dovevano investire Fano e Pesaro;
la 13 a operare in soccorso e sostegno dei rivoluzionari operanti
nel Montefeltro. Le operazioni iniziarono all'alba dell'11 Settembre e presto
il ritmo delle operazioni fu sostenuto. Nella giornata dell'11 e del 12
Settembre le truppe sarde investirono e conquistarono sia Pesaro che Fano. Nella
giornata del 13 Settembre, la 4 a e 7 a Divisione
marciarono lungo la strada adriatica verso Senigallia, mentre la 13 a
Divisione, dopo aver portato soccorso ai patrioti raggiunse ed oltrepassò
Cagli.
Questo ritmo elevato delle operazioni aveva di molto
allungato le linee di rifornimento dei Sardi. I vari parchi erano rimasti
indietro, mentre quello d'assedio addirittura era per mare, nel Tirreno, ed il
carreggio ancora in Emilia. Il Comando sardo valutò che occorreva una sosta al
fine di riorganizzare le truppe. Con tale decisione, dettata del resto dalla
necessità, si concessero altre 24 ore di vantaggio, nella corsa verso Ancona,
al Generale De La Moricière, che in quel 14 Settembre aveva la Brigata Cropt in
marcia verso Macerata e la Brigata De Pimodan verso Tolentino. La sosta del 14
Settembre fu conveniente mente utilizzata, però, dal Cialdini, per mettere a
punto le operazioni dei giorni successivi, alla luce delle informazioni
acquisite sui movimenti Pontifici. Nella sua relazione a Fanti, il Cialdini
così spiega le ragioni che lo convinsero ad adottare il suo piano, dando inizio
a quella manovra che lo portò successivamente a Castelfidardo:
“Tali notizie mi turbarono assai, giacché m'era
ormai difficilissimo, se non impossibile, di precludergli la strada di Ancona.
Avrei potuto da Sinigallia portarmi addirittura su Torretta e di là andarmi a
collocare a Castro, onde tener così le due strade da Macerata per Osimo e le
Crocette di Castelfidardo mettono ad Ancona. Ma oltreché un tal movimento in tanta
prossimità della piazza, che pur doveva contenere settemila uomini di truppe
buone e fresche, era in se stesso pericoloso per il mio grave attiraglio di
carri; era poi impossibile d'altronde trasportare rapidamente da Torretta in
Val Baracola questo stesso attiraglio, dovendo sormontare 1'elevato
contrafforte che da Sappenico [Sappanico] discende a Posatore sottu Ancona,
traversato da strade senza fondo di ghiaie, rotte in molti luoghi e con
frequenti pendenze maggiori del 15 per cento. Oltreciò io non aveva sufficienti
forze per disporre di una divisione a tutela delle mie comunicazioni che
sarebbero state prontamente tagliate, qualora mi fossi collocato la dove
accennai.
Per ultimo era evidente che, volendo io collocarmi fra
la piazza e il Generale De La Moricière, non dovevo mai farlo in tanta
vicinanza di Ancona, che la guarnigione udendo il cannone, potesse in men di
due ore venirmi alle spalle, ed unirsi con facile concerto all'attacco di
fronte del Generale De La Moricière. Riflettei poi che le marce forzate
avrebbero stancato le truppe da lui condotte, e che in numero di tre o quattro
mila non oserebbero esporsi ad incontrarmi, ne vorrebbero abbandonare il
Generale Pimodan, che le seguiva di un giorno con altre cinque o sei mila. Era
naturale che il generale nemico non amasse perdere gran parte delle sue truppe
senza combattere, ed ammettendo che nella notte del 14 egli dormisse a Macerata
potendo così la sera seguente trovarsi in Val Musone, ei doveva assolutamente
scegliere uno dei due partiti: o passare oltre e condursi in Ancona, Castro dista da Ancona poco più di sette
chilometri coi 4.000 uomini che aveva sotto la mano, od attendere in Loreto o
Recanati, la riunione del generale Pimodan che non poteva sfuggirmi; nel
secondo caso, io passando per Jesi sarei arrivato a tempo a pormi fra Ancona e
lui.
La somma di queste riflessioni mi decise a dirigermi
su Jesi, città che poteva mettersi brevemente in istato di difesa, che aveva
alle spalle una strada per le mie sussistenze, troppo lontana dalla piazza
perché la guarnigione fosse in grado di spingere una sortita sino ai miei
magazzini”.
I concetti espressi si attuarono in una manovra che è
all’origine della
Battaglia di Castelfidardo
All'alba del 15 Settembre le forze sarde erano in movimento:
la 7a Divisione procedette per la via Flaminia, fino alle foci
dell'Esino, poi si diresse verso 1'interno nella direzione di Chiaravalle. La 4
a Divisione procedeva nella stessa direzione percorrendo le alture tra il
Misa e 1'Esino. Fu disposto che un battaglione del 23 Reggimento percorrendo le
strade a mezza costa tra Torre Albani, Montignano in direzione di Jesi,
assicurasse la necessaria protezione. I “Lancieri di Milano”, con due
battaglioni del 23° Reggimento Fanteria presero posizione al ponte di Rocca
Priora per fronteggiare una eventuale sortita Pontificia da Ancona.
La Brigata “Bergamo” ebbe 1'ordine di presidiare Monte
Marciano. Un dispositivo di sicurezza degno di nota, nel segno del rispetto che
Cialdini nutriva per i Pontifici e per mettersi al riparo da ogni sorpresa. In
ogni caso gli ordini che il Comandante del IV Corpo emanava erano perentori. Ad
esempio, al Comandante della Riserva, il 14 Settembre da Senigallia concludeva
un ordine con queste parole, che certamente non erano tenere: “Raccomando
che non succedano sbagli ne male intelligenze che io assolutamente non saprei
tollerare una seconda volta. Se vi sono dubbi la S.V. Ill.ma mandi a chiedere
spiegazioni, ma si guardi seriamente dal fare passi falsi che finirebbero per
riuscirle funesti.”
Relazione
Cialdini
contatti:
massimo coltrinari
(centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
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