(seguito post precedente in data 1 agosto 2015)
1.
GLI AVVENIMENTI.
Seguendo la cronologia degli
avvenimenti il 7 settembre 1860, l’ultimatum
del Regno di Sardegna al papato, l’8 settembre il rifiuto del cardinale Antonelli
e, quindi, l’11 settembre si dichiarano aperte le operazioni, secondo la prassi
stabilita dalla consuetudine bellica dell’epoca.
All’alba dell’11 settembre le truppe
Sarde passano la frontiera pontificia con l’Armata d’invasione.
a.
Le operazioni belliche.
L’11 settembre viene inviato dallo Stato
maggiore dell’Esercito piemontese un ultimatum
tecnico che viene consegnato dal capitano Farini direttamente al de La Moriciere,
presso il quartier generale di Spoleto, con l’imposizione di licenziare con
immediatezza tutti i componenti stranieri incorporati nelle forze pontificie, considerati
alla stregua di truppe mercenarie. Qualora l’imposizione non fosse accolta,
l’Esercito Sardo avrebbe dato il via all’attacco. Il de La Moriciere respinge
l’ultimatum e ciò comporta l’avvio
delle manovre tra l’11 ed il 18 di settembre che poi culminano in quello che
viene ricordato come lo Scontro di Castelfidardo, cui seguirà poi la vera
battaglia finale per la conquista di Ancona.
Lo scontro di Castelfidardo è, invece,
dovuto ad un movimento d’incontro delle due formazioni che manovravano
tatticamente inconsapevoli della posizione e della direzione dell’avversario.
(1)
Le operazioni terrestri.
La 1a Brigata operativa
pontificia di Spoleto, direttamente sotto il comando del de La Moriciere, la 2a
Brigata del de Pimodan (composta di quattro battaglioni e 300 cavalli) e la Brigata
Riserva si mettono in linea e, contrariamente alle previsioni del Comando
sardo, invece di predisporsi per attendere l’attacco proveniente dal V Corpo
d’Armata, si mettono in marcia verso Ancona.
Il giorno 12 settembre, il de La
Moriciere parte da Spoleto con alcuni battaglioni per accorrere ad Ancona con il
maggior numero di forze e resistere all’assedio sardo, in attesa di un
intervento degli austriaci o dei francesi. Con l’ingresso in guerra delle
Potenze amiche il fronte non sarebbe più su Ancona e sulle Marche, ma verrebbe spostato
sul Mincio, risolvendo quindi il problema di garantire la sicurezza e la difesa
dello Stato pontificio. In definitiva, il de La Moriciere intende ricreare i
tempi ed i modi della guerra del 1848-49, con una iniziativa del tutto
autonoma, senza tenere conto delle indicazioni della diplomazia e del potere
politico di Roma ed in contrasto con la volontà del cardinale Antonelli e del De
Merode. Il disegno del de La Moriciere prevede l’appoggio militare, nel Lazio
ed in Umbria, da parte dell’esercito francese che partito da Tolone sarebbe
sbarcato a Civitavecchia. Egli è, infatti, convinto che l’Austria avrebbe
attaccato l’Esercito Sardo sul Mincio e la Francia di Napoleone III, dimostrandosi
leale verso il Papa, avrebbe mosso guerra dalle Alpi verso il Piemonte. Con
questa consapevolezza il de La Moriciere ordina a tutte le sue forze di muovere
lungo la strada di Colfiorito e Macerata verso Ancona.
Per quanto concerne invece le manovre
dell’Esercito Sardo, al comando di Manfredo Fanti, il IV Corpo d’Armata è in
marcia su Ancona, il V Corpo d’Armata verso Perugia e la Reale Flotta Sarda
lascia Napoli alla volta dell’Adriatico.
Un elemento molto importante per le operazioni navali è che l’Adriatico è un
mare nemico, in quanto la Flotta Sarda non possiede basi logistiche sulle sue
coste. L’ammiraglio Persano ed i suoi comandanti devono infatti fare attenzione
ai consumi di carbone delle proprie pirofregate, avendo scorte limitate.
Inoltre, in caso di avaria di un vascello sardo, questo deve essere affondato per
impedirne la cattura da parte nemica.
La 13a Divisione è a
supporto delle forze insurrezionali che devono dare vita a moti rivoluzionari per
il 10 settembre. L’importanza di questo elemento risiede nell’effettiva capacità
di attirare fuori dalle piazzeforti di San Leo, Pesaro e Fano le guarnigioni
pontificie per accorrere a sedare i moti rivoluzionari occultando così la reale
minaccia. L’espediente riesce e l’Esercito regolare Sardo, trovando le
piazzeforti sguarnite, conquista Pesaro in 12 ore, Fano in sole quattro ore.
(a) La
manovra nelle Marche.
Il Cialdini che marcia lungo la
litoranea adriatica, informato del movimento dell’Esercito pontificio verso
Ancona, arriva a Senigallia il 14 settembre ma, a causa del tiro dei cannoni
della guarnigione, non può spingersi troppo vicino ad Ancona, dove insistono
ben due Brigate con oltre 7000 uomini con circa 150 pezzi di artiglieria. Il
Cialdini effettua pertanto una manovra di interposizione tra la guarnigione di
Ancona e le Forze Mobili del de La Moriciere che stanno giungendo da Macerata,
con l’obiettivo di batterle separatamente. Giunto all’altezza del fiume Esino,
predisponendo dei posti di osservazione, manovra verso Jesi e Torre di Jesi
lungo la dorsale delle colline antistanti la litoranea, dirigendosi verso Osimo,
per spingersi fino alle Crocette. Il Generale, passando per Filtorano, invia un
giovane capitano con 100-150 Lanceri con l’ordine di approvvigionare 8500 razioni
di pane, segno che di lì a qualche giorno sarebbe arrivato il grosso delle
forze. La notizia viene riportata dal podestà di Filotrano al de La Moriciere
che, invece di proseguire lungo la strada Macerata-Osimo, la più breve per
Ancona, decide di procedere ad Est per evitare di entrare in contatto con le
forze dell’Esercito Sardo che pensa essere già a Filotrano. Questa decisione
gli fa perdere due giorni, originando oltremodo i presupposti per lo scontro
accidentale di Castelfidardo.
Il 15 settembre il de La Moricière è a
Macerata. Attraverso la pianura del fiume Potenza giunge a Porto Recanati dove
imbarca il tesoro da guerra destinato alla piazza di Ancona. Da Porto Recanati il
de La Moricière si porta a Loreto. Le comunicazioni del Comitato segreto di
Rimini ed Ancona permettono all’Esercito sardo di avere ogni tre ore
l’aggiornamento dei movimenti delle forze del de La Moriciere, che invece resta
all’oscuro di ogni azione ed iniziativa avversaria.
Il 17 settembre 1860, alla vigilia
dello Scontro di Castelfidardo, la Flotta Reale Sarda arriva di fronte Ancona e
prosegue su Senigallia per tenersi fuori dal tiro dell’artiglierie della piazza
di Ancona.
L’ammiraglio Persano, venuto a
conoscenza della presenza del generale Cialdini nei pressi di Castelfidardo,
decide di scendere a terra. Il Persano sbarca a Marotta dove con una carrozza
raggiunge il comando sardo per incontrasi con il generale Cialdini al quartier
generale a Sant’Agostino e definire, con lui, il piano operativo per il giorno
successivo. Mentre il Generale lo ragguaglia sulla sua manovra di
interposizione, arriva la notizia di Serristori (che è il responsabile delle
Informazioni del comando sardo) che gli comunica che la guarnigione pontificia
di Ancona il 17 settembre è uscita alla ricerca delle Forze Mobili del de La
Moriciere, ma che non avendole trovate è rientrata. Il Cialdini quindi chiede
al Persano di avviare, dal giorno successivo (18 settembre), i cannoneggiamenti
su Ancona per impedire alla guarnigione pontificia di ricongiungersi con le
forze del de La Moriciere che proviene dall’Umbria.
Ecco l’interforze, c’è la Flotta che
aiuta e concorre all’azione delle forze di terra.
Il Persano, quindi, si rimbarca e la
mattina dopo alle sette e mezza inizia il bombardamento della città dal mare.
Il cannoneggiamento è molto pesante e provoca anche molte vittime civili, però
l’iniziativa ha successo e inchioda la guarnigione su Ancona. Il de La
Moriciere, che sperava in questo aiuto, è consapevole che se le forze sarde
avessero posto in atto una manovra di interposizione si sarebbe trovato
circondato dalle forze avversarie.
Lo scontro si svolge in prossimità
delle rive del fiume dove c’è il ponte di legno di Loreto, già in mano delle
forze Sarde, che nell’area della Cascina, subito alle spalle del ponte, hanno
predisposto dei trinceramenti e posizionati due cannoni a mitraglia. La stessa
notte durante una ricognizione nei pressi del ponte, a circa un chilometro da
Loreto, una Guida del de La Moriciere, il Sig. de Pas, viene fatto oggetto di
colpi e rimane ucciso (la famiglia ha acquistato un edificio a Loreto
adibendolo ad istituto per gli studi della guerra, denominato de Pas a ricordo
di questo episodio). Tale sventurato avvenimento consente però al de La
Moriciere di venire a conoscenza della posizione delle forze avversarie e di
porre in atto le possibili contromisure per la giornata successiva.
La situazione alle prime ore del 18
settembre vede le forze pontificie concentrate a Loreto con lo scopo di
arrivare ad Ancona, ma la strada postale che corre da Loreto ad Ancona e
rappresenta la via più veloce è, tuttavia, impegnata dalle forze sarde.
Il 18 settembre, la prima colonna
pontificia comincia a marciare da Loreto alle ore 8 e un quarto, la comanda il
generale de Pimodan. La seconda alle 9 in punto. La terza segue immediatamente.
Il de La Moriciere e i suoi comandanti decidono di attaccare ai fianchi
dell’Esercito sardo, adottando le medesime tecniche già utilizzate in Algeria,
per aprirsi la strada e permettere alle Forze Mobili pontificie di arrivare ad
Ancona per poter poi resistere all’assedio. La disposizione della manovra di
interposizione sarda vede il 26° Battaglione bersaglieri, sotto il comando del
capitano cav. Ottavio Barbavara di Gravellona, dislocato ad Est della strada
postale in posizione terminale alla confluenza del Musone con l’Aspio. I
Bersaglieri del 26° non fanno parte del vecchio Esercito sardo, ma sono tutti
romagnoli e ravennati (il 26° Btl. che, combatterà poi sul Po durante la Grande
Guerra, è oggi inserito nell’Esercito Italiano con il nome di Castelfidardo).
Le forze schierate nelle Marche sono una commistione tra vecchio e nuovo
Esercito sardo come il 9° ed il 10° Reggimento della Brigata Regina.
Lo sviluppo del piano operativo negli
intendimenti del de La Moriciere prevede la disposizione delle forze secondo
tre colonne: quella di sinistra deve attaccare le posizioni sarde, con una
manovra di 180° si deve trasformare da avanguardia in retroguardia mentre le
altre due colonne, la propria e quella dell’artiglieria e dei carriaggi,
sfruttando la protezione della prima colonna devono arrivare velocemente ad
Ancona. Questa è la situazione sul campo intorno a Castelfidardo tra le 9 e
mezza e le 10 e trenta del 18 settembre 1860. L’elemento di punta dell’attacco
del de La Moriciere sono ancora una volta i Carabinieri svizzeri del 1°
Battaglione.
Il generale Cialdini, già sveglio
dalle tre, riceve la notizia della conquista di Camerano da parte del
brigadiere Cugia con il 23° Reggimento fanteria e quattro pezzi della 4a
batteria del 5° Reggimento. La presa di Camerano è fondamentale per impedire un
eventuale arrivo della guarnigione pontificia da Ancona. Alla 4 e mezza si reca
quindi sulla parte destra del proprio schieramento, dove si aspetta l’arrivo
delle forze pontificie. Quindi alle 6 e mezza nell’area delle Crocette viene
informato ed aggiornato dal generale Conte Bernardino Pes di Villamarina,
comandante della 4a Divisione. Non essendovi ulteriori sviluppi, il
Cialdini ritorna a Castelfidardo, dove incontra il commissario regio per le
Marche Lorenzo Valerio che
gli da disposizioni su come controllare quello che sarà l’indomani, dopo la
conquista di Ancona. Alle 8.30, finita la colazione, non avendo alcuna notizia,
si reca ancora più ad Ovest, a Osimo (8 km) in quanto è la strada più breve per
giungere da Recanati ad Ancona. Alle 9.30 arriva ad Osimo ed essendo sveglio
dalle 3, alle 10 si mette a pranzo. Il fatto risulta di particolare rilevanza
perché la tradizione narra che il generale Cialdini durante la battaglia stesse
mangiando.
L’attacco pontificio a Castelfidardo è
di sorpresa, la colonna d’attacco del de Pimodan, sorprende la 46a e
la 44a Compagnia Bersaglieri, travolgendole. Quindi viene portato un
successivo attacco alle altre quattro compagnie del 26° Battaglione
bersaglieri. Sono ben 3500 uomini contro 450. I Bersaglieri vengono sbaragliati
e i comandanti di compagnia uccisi, così come la metà degli Ufficiali
subalterni. L’attacco viene lanciato alle 9.30 e, alle 10.30, le Forze
Pontificie riescono a creare una linea e ad aprire la via per Ancona. Verso le
9.45 il generale Pes di Villamarina riceve la comunicazione da una staffetta
che sono in atto dei combattimenti sulla destra dello schieramento. Il generale
Pes di Villamarina tuttavia ritiene che si tratti di un attacco diversivo e,
solo per sicurezza, invia due Battaglioni del 10° Reggimento, confermando di
non aver dato alla notizia particolare rilevanza. Dopo un quarto d’ora arrivano
ulteriori notizie in merito alla consistenza dell’attacco, si parla di 5-6 mila
uomini. Questa è la fase in cui i Pontifici hanno vinto e i Sardi sono stati
sorpresi.
Vengono dunque inviati altri due
Battaglioni del 10° Reggimento Fanteria, comandato dal Colonnello Bossolo, e
impiegato anche il 9° Reggimento, Sono inviate, inoltre, due sezioni di
artiglieria, una normale ed una rigata.
La seconda batteria del Capitano Sterpone, avrà un ruolo importantissimo perché
il fuoco della batteria colpisce le seconde linee pontificie gettandole nello
scompiglio e impedendogli così di rafforzare la prima linea. È l’inizio della
sconfitta pontificia.
Alle ore 11, il momento
dell’equilibrio, le forze pontificie hanno la via aperta verso Ancona,
nonostante le gravi perdite e dopo durissimi scontri corpo a corpo, riescono a
raggiungere casa Serenella del Mirà a poche centinaia di passi dalla sommità
del colle, dominata dal Casino Sciava, ma il de La Moriciere commette un
errore: non sfrutta il vantaggio tattico e indugia sul proseguire verso Ancona
con il grosso delle forze. Il generale pontificio decide invece di sostenere il
de Pimodan e da l’ordine di portarsi a ridosso della prima linea, dove viene
agganciato dalle forze sarde.
L’Esercito pontificio non ha sfruttato
questo elemento di successo, perché il Comandante non ha dato l’ordine di
abbandonare una parte delle sue forze, per portare il resto ad Ancona, come era
nel piano originario.
Il passare del tempo avvantaggia le
truppe Sarde che, contando su rinforzi e rincalzi, ottengono la superiorità in
uomini, facendo accorrere altre forze alle Crocette, respingendo così le truppe
pontificie che si difendono con accanimento nelle cascine di Campanari e di
Aquaviva, ma vengono travolte oltre la destra del Musone e costrette a
riguadagnare disordinatamente Loreto, lasciando sul campo di battaglia
l'artiglieria, le armi, i carriaggi e tutti i propri caduti e feriti, tra i
quali Io stesso generale de Pimodan morente.
Alle 17 e mezza il generale de La
Moricière, sconfitto a Colle Oro e vista la rotta delle sue forze, abbandona il
campo di battaglia e con una trentina di cavalieri riesce, con rapida corsa, a
guadagnare Ancona lungo la marina per Numana e Sirolo, dove è accolto dalle
autorità pontificie sulla piazza di fronte alle Muse.
Degli 8500 uomini partiti dall’Umbria ne
giungono ad Ancona poco più di un centinaio, quasi 5000 si portano su Loreto,
mentre i restanti sbandano nella campagne marchigiane.
Approfittando della notte il generale
Cialdini occupa intanto Recanati e le zone circostanti, sbarrando in tal modo
ogni possibile ritirata al nemico. Il mattino dopo i pontifici, circondati,
capitolano. Più di 4000 uomini con le rimanenti Guide del Lamoricière depongono
le armi a Recanati.
Il 19 settembre le truppe pontificie stanziate a Loreto si
arrendono al IV Corpo d’Armata dell’Esercito Sardo che, quindi, può muovere
alla volta di Ancona dove sarà la battaglia finale.
Hanno preso
parte al combattimento:
-
Piemontesi,
il 9° e il 10° Reggimento fanteria della Brigata Regina, l'11°,12° e 26°
Battaglione bersaglieri, i Lancieri del Novara e la Brigata Dho di artiglieria,
in tutto 4880 uomini, 45 cavalli e 14 cannoni;
-
Pontifici:
.
Colonna de Pimodan – il 1° Battaglione carabinieri svizzeri,
1° Battaglione cacciatori indigeni (magg. Ubaldini), il 1° Battaglione
tiragliatori zuavi (Becdelievre), il 2° Battaglione austriaco e mezza batteria
dell'11° (capitano Uhde con due cannoni e un obice) e l'altra mezza batteria
(tenente Daudier);
.
Colonna de La Moricière – il 1° Reggimento stranieri e la
cavalleria;
in tutto 6800 uomini, 45 cavalli e 16
pezzi di artiglieria.
Riepilogando: i pontifici riescono a
vincere a Castelfidardo perché sorprendono il generale Cialdini lontano ad
Osimo, Pes di Villamarina non comprende come sta evolvendo la situazione, i
Bersaglieri del 26° battaglione vengono in breve sbaragliati ma, sebbene la
strada fosse libera, i pontifici indugiano, perdendo quasi 20 minuti. Alle
11.30 viene ferito il generale de Pimodan, entra in azione l’artiglieria rigata
sarda, le truppe pontificie vengono agganciate da quelle sarde in superiorità
numerica e inizia lo sbandamento: qui è l’origine della sconfitta dei
pontifici.
Il de La Moriciere, ancora convinto
che i Francesi stiano imbarcando a Tolone, vuole portarsi ad Ancona e resistere
in attesa dell’imminente aiuto delle Potenze amiche. Questo è il combattimento
di Loreto per i pontifici.
Nella versione dell’Esercito sardo lo
scontro di Castelfidardo è una lezione al nemico. Nel pomeriggio del 18
settembre, la carica dei Lanceri di Novara nella pianura, i Pontifici si
ritirano su Loreto, i dati dicono che su 8500 uomini che dovevano arrivare ad
Ancona, 5000 rifugiano a Loreto, gli altri si sbandano, ad Ancona giungono solo
127 uomini. Questa è la sostanza della vittoria sarda a Castelfidardo.
Il generale Cialdini impedisce
l’arrivo ad Ancona delle Forze Mobili del de La Moriciere per la battaglia
conclusiva. Se fossero giunti tutti gli 8500 uomini partiti dall’Umbria, uniti
ai già presenti 7000 sarebbero stati quasi 15 mila uomini ed Ancona sarebbe
stata inespugnabile e l’assedio si sarebbe protratto per mesi.
Tuttavia, la sera del 18 settembre il
generale Cialdini comunica la situazione e predispone tutte le sue truppe per
l’assalto a Loreto, non avendo la minima percezione di ciò che realmente è
accaduto nella giornata e di quello che significa la vittoria di Castelfidardo.
Infatti, la tradizione riporta che il generale Cialdini nei momenti dello
scontro è alla Trattoria del Moro ad Osimo, fuori porta Vaccaro come riporta il
Giacomo Gallo, testimone dell’epoca. Quando il generale Cialdini giunge alle
Crocette, intorno alle 12 e mezza, tutto è finito. Quindi la tradizione
riferisce che il generale Cialdini non è sul campo di battaglia, anche se, come
comandante in capo del Corpo d’Armata, non deve svolgere i compiti dei propri
subalterni. In definitiva, secondo le sue direttive, il generale Pes di
Villamarina esegue l’ordine di non far passare nessuno dei pontifici sulla
strada per Ancona mentre l’ammiraglio Persano nel frattempo bombarda Ancona.
Il giorno successivo le truppe
pontificie si arrendono ed il generale Cialdini comprende, non solo di aver
veramente vinto, ma anche l’effettiva entità di ciò che era accaduto il 18.
Ancona rappresenta la battaglia finale
della campagna delle Marche e dell’Umbria. L’ordine per il IV Corpo d’Armata è
quindi di dirigere verso Ancona. Il V Corpo d’Armata, al comando del generale
Morozzo della Rocca, non ha quindi più ostacoli lungo la propria direttrice Sud
e, passando da Perugia attraverso gli Appennini, via Foligno, Colfiorito e
Macerata, giunge in prossimità delle linee di difesa della piazzaforte di
Ancona per partecipare all’assedio.
Il 23 settembre la Reale Flotta pone
in atto il blocco del porto e della città di Ancona, il giorno successivo
giungono sia il IV che il V Corpo d’Armata, Manfredo Fanti assume, quindi, il
comando di tutte le forze d’invasione e dirige le operazioni di assedio alla
piazzaforte di Ancona, stabilendo il proprio Stato maggiore a Villa Favorita,
sotto Candia.
La città è protetta da due linee di
difesa: una esterna che si appoggia sui forti Scrima, Monte Pulito, Monte
Pelago e Pietralacroce; una interna che corre dal Cardeto, ai Cappuccini, lungo
le mura ove si aprono le porte Farina e Calamo, alla valle degli Orti,
all’Astagno con la Cittadella, che fornisce sostegno al cosiddetto campo
trincerato, che include la Lunetta Santo Stefano e verso nord Porta di
Capodimonte e Porta Pia, fino a mare con il Lazzaretto.
Lungo il porto ci sono i bastioni di
Santa Lucia e d’Agostino fino al molo, in cui si erige la Lanterna che regge la
catena collegata al molo a Sud.
La prima linea, difesa da appena 450
pontifici, viene investita dal V Corpo d’Armata ed è in breve abbandonata per
l’insufficienza numerica degli uomini a disposizione del De Courten (4000
uomini), che conta appena la metà di quelli necessari. Le truppe di Morozzo
della Rocca con i fanti del 40° Reggimento conquistano il Forte di
Pietralacroce e, quindi, proseguono verso Monte Pelago, ma a Monte Pulito sono
fermati.
Il Fanti bombarda con accanimento la
Cittadella ed il campo trincerato dal Forte Monte Pelago per costringere la
piazza d’Ancona ad arrendersi, mentre l’Esercito pontificio tenta di resistere
il più a lungo possibile, nella speranza che le Potenze amiche raggiungano
Ancona, rovesciando così gli esiti della battaglia e riportare la guerra in
campo aperto.
Il rapporto di forze tra i due
eserciti è di 30-40 a uno a favore dei Sardi. Nel giro di due tre giorni le
difese esterne di Ancona vengono prese, il IV Corpo d’Armata muove lungo la
strada per Portonovo e il V Corpo d’Armata verso la strada per Bologna.
(2)
Le operazioni navali.
Il 17 settembre, l’ammiraglio Persano,
concordate le linee d’azione con il generale Cialdini per le operazioni del
giorno successivo su Ancona, rientra presso la propria flotta.
Il compito della Flotta Reale Sarda è di
trattenere la guarnigione pontificia di Ancona, 4000 uomini al comando del de Courten,
e impedirgli di ricongiungersi alle forze pontificie provenienti dall’Umbria al
comando di de La Moriciere. L’ammiraglio Persano deve, quindi, presentarsi il
18 settembre davanti al porto di Ancona e bombardare i forti e minacciare sbarchi,
costringendo così il de Courten a non tentare sortite fuori della piazzaforte. L’azione
della flotta Sarda permette al Cialdini di contenere, prima, e poi disperdere
le forze di de La Moriciere a Castelfidardo.
Il Persano, secondo il volere di
Cavour, tenta di prendere Ancona dal mare con dei colpi di mano e perciò cala
in acqua delle lance la sera del 25 settembre per tentare la presa delle
posizioni sul Lazzaretto. Tali azioni, sebbene infruttuose, facilitano
l’assalto dei Bersaglieri del IV Corpo d’Armata che il 27 settembre riescono a
conquistarlo, privando la difesa del porto del proprio pilastro Sud.
È l’azione della Flotta Reale, al
comando dell’ammiraglio Persano, che permette la rapida capitolazione di Ancona
in soli quattro giorni (dal 25 al 29 settembre), contrariamente a ciò che poi avverrà
a Gaeta.
Le principali unità navali della
Flotta sarda (il Maria Adelaide, il Governalo, il Costituzione e il Vittorio
Emanuele) avviano il bombardamento contro costa in maniera coordinata e
contemporanea al cannoneggiamento da terra. Tutto il perimetro di difesa della
piazza di Ancona è oggetto di attacco interforze.
La mattina del 28 settembre, infatti,
l’ammiraglio Persano, sul Maria Adelaide, ordina una azione per saggiare le
difese della piazzaforte di Ancona e consentire di mettere a punto l’attacco di
terra, in quanto sia il IV che il V Corpo d’Armata sono ormai a ridosso della città.
Il Persano invia la nave Altavilla a bombardare il forte Pietralacroce, il Capo
di Monte la Cittadella e lo Scrima quello dalla Posatora. Le navi iniziano a
manovrare e, in breve, danno inizio ad un tiro preciso e mirato. Al tempo, Il
tiro controcosta è effettuato ancorando la nave per dare agli artiglieri la
massima stabilità per non condizionare la precisione del tiro. Tuttavia, quel
pomeriggio, un vento teso di scirocco rende difficoltoso stabilizzare le navi e
il Vittorio Emanuele II del Capitano Albini viene portato fuori dalla linea del
tiro. Il generale Fanti, notando che il Vittorio Emanuele è fuori dalla linea
di tiro e non prende parte al bombardamento, esprime il proprio disappunto
all’Ammiraglio della Flotta tramite segnalazione ottica dal posto comando.
L’Albini a questo punto, in un moto d’orgoglio chiede libertà di manovra. Il
Vittorio Emanale II ottenuta la libertà richiesta, alza le vele e manovra per
rientrare nella formazione della Flotta. La manovra del Vittorio Emanuele II è all’origine
della capitolazione di Ancona. L’Albini punta diritto sulla Lanterna e,
passando a solo cinquanta metri dall’istallazione, fa fuoco ad alzo zero in
sequenza con tutti i suoi cannoni che provocano l’esplosione della Santa
Barbara, distruggendo la struttura che regge la catena. La manovra di “tiro controcosta
con nave in movimento” è diventata una delle manovre principali della Marina
Italiana, studiata in seguito anche dalla Flotta Reale inglese.
Alle 16 pomeridiane del 18 settembre
il porto è aperto e libero per l’azione delle compagnie da sbarco della Flotta.
Il de La Moriciere che ha atteso
invano durante i 10 giorni di assedio l’arrivo dei rinforzi, comprende
che non arriverà più nessuno e quindi ordina la resa.
Al momento dell’ordine di resa, una
regia nave sbarca una compagnia di bersaglieri sul pontile del porto di Ancona
che, poi, entrano in città e ne determinano di fatto la resa.
2.
CONSIDERAZIONI FINALI.
Dopo dieci giorni di combattimenti le
truppe pontificie si resero conto che dall’Austria e dalla Francia non
sarebbero giunti aiuti e si arresero. Alle 16 e mezza da tutti i forti di
Ancona si alzò la bandiera bianca. La resa fu firmata il 29 settembre a Villa
Favorita, sede del comando di Fanti.
Ancona, in sostanza, venne presa dal
mare, ma la coordinazione dimostrata sia dalle forze di terra condotte dal generale
Fanti, sia da quelle navali dell’ammiraglio Persano che condusse anche sbarchi
di forze dal mare, ha consentito la rapida capitolazione della piazzaforte
comunque ben difesa. Come già accennato, la Battaglia di Ancona è una delle poche
occasioni del XIX secolo in cui si ritrova una consistente unità di comando e
tutte le componenti coinvolte nelle operazioni sono riuscite a coordinarsi. Può
definirsi come il primo esempio di operazione interforze a due dimensioni.
Fondamentale per l’operazione
interforze è il fatto che il generale Fanti pone sotto il suo comando il
generale Cialdini (IV C.A.), il generale Morozzo della Rocca (V C.A.) e
l’ammiraglio Persano (Flotta Reale) e porta un comando tattico alla Posatora da
dove si domina tutta Ancona. L’azione del generale Fanti realizza la cosiddetta
unità di comando che, come già detto, non si realizzerà nel 1866 (III Guerra
d’Indipendenza).
L'esercito mobile dei pontifici era
distrutto. La via del Sud era aperta alle truppe di Cavour e di Vittorio
Emanuele. Lo scontro di Castelfidardo costituì un’importante tappa liberatrice:
come Solferino lo era stato per le province lombarde. Grazie a quel avvenimento
le Marche e l’Umbria entravano a far parte di una comunità più grande, quella
dell’Italia che si stava unificando.
Senza Castelfidardo non sarebbe stato pensabile,
esattamente dieci anni dopo, Porta Pia.
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