Massimo Coltrinari
OSIMO E LE
CONSEGUENZE DEI COMBATTIMENTI DEL 18 SETTEMBRE 1860
Osimo al centro delle polemiche pontificie
Caduta Ancona il 29 settembre 1860, il 30 le truppe sarde
presero possesso della città il 30 settembre, issando il tricolore sulla fortezza
dell’Astagno. Il 3, via mare, giunse in Ancona e vi sostò fino al 7 ottobre,
quando, seguendo le truppe si mise in marcia verso sud. Lasciò come Commissario
per le Marche a svolgere il suo lavoro di rappresentante del Re l’on. Lorenzo
Valerio. Ancona e le Marche tutte
iniziavano la loro trasformazione, politica, amministrativa, sociale ed
economica da quella preunitaria in sostanza pontificia a quella nazionale. In
questo contesto anche in Osimo.si videro profondi cambiamenti. Ma prima che
questi si palesassero nella loro compitezza, Osimo dovette assolvere ad un
compito particolare: quello di assolvere al compito di assistere e curare i
feriti pontificio sia dello scontro del 18 settembre, sia quelle feriti o
ammalti nelle operazioni per la conquista di Ancona.
Osimo, quindi, si sobbarcò tutto il peso delle conseguenze
dello scontro del 18 settembre, in quanto era l’unico centro che aveva le strutture e la capacità per .
Nella sua relazione conclusiva riassuntiva della attività
svolta, redatta il 7 gennaio 1861, il magg. medico, Angelo Zavattaro, al
momento della chiusura dell’ospedale di seconda linea sardo nel periodo
settembre – dicembre furono raccolti da 200 a 300 feriti, e poi parecchie
centinaia di ammalati. Questi dati si riferiscono al solo ospedale da campo non
agli altri sei ospedali operanti nello stesso periodo ad Osimo. Un notevole
aiuto fu dato da tutti i cittadini e Zavattaro mette in luce “ la non lenta compartecipazione di ogni
classe di cittadini” all’opera di assistenza sia verso i militari piemontesi
che i militari pontifici “ attesta alla vetusta Osimo meglio che le virtù
cittadine la generosità e non municipale carità di patria e parla in sua lode
meglio che non si saprebbe fare da chi scrive. Questa, - continua la
relazione -, non incontrarono negli
osimani odi o rancori ma solo, e non altrimenti che quelli, le più pietose e
premurose sollecitudini.”
I deceduti presso gli ospedali non furono sepolti nelle
chiese, ma si dispose che fossero inumati presso il Cimitero di San Giovanni. I
deceduti furono 25 Pontifici e 6 Sardi
Osimo si mostrò in quei primi mesi unitari degna delle sue
tradizioni di carità ed altruismo.[1]
Ma, come sempre succede per chi fa del bene e riceve in cambio l’esatto
contrario, si trovò in mezzo alle polemiche sorte in relazione al trattamento
dei feriti pontifici, susseguenti a quelle accesasi sul trattamento dei prigionieri
pontifici. Secondo la convenzione di resa, la guarigione pontificia di Ancona,
dopo aver deposto le armi e tutto l’equipaggiamento non individuale, si doveva
concentrare alla Torretta ( Oggi Torrette). Qui, una volta raccolti, a
scaglioni, per tappe, (cioè a piedi in quanto non vi erano altri mezzi) tutti i
prigionieri furono avvitati in Piemonte e, via Rimini Bologna, Alessandria.
Qui, una volta giunti i belgi, i francesi, gli austriaci e gli altri stranieri
messi in libertà per tornare alle loro patrie, i cosiddetti indigeni, cioè gli
italiani, furono trattenuti per qualche mese, e poi rilasciati anche loro.
Durante il tragitto da Ancona ad Alessandria furono fatti oggetti da parte
della popolazione dei paesi che attraversavano di manifestazioni ostili, di
scherno, insulti e quant’altro, soprattutto in Romagna in cui era molto vivo il
ricordo dei fatti del 1859 e delle repressioni poliziesche. Questi episodi
furono riportati dalla stampa di parte cattolica che, come detto, avviarono
polemiche accese e virulente. Accanto ciò si aggiunse il trattamento che i
feriti pontifici ebbero all’indomani dello scontro del 18 settembre nella piana
di Loreto, in cui in virtù di sciacalli e delinquenti comuni; molti di loro,
come abbiamo visto, furono depredati. Molte testimonianze si aggiunsero, date
dei feriti ricoverati negli ospedali di Osimo, Ed Osimo divenne il riferimento
territoriale di tutte queste polemiche, anche per le versioni e le
testimonianze dei parenti che da Osimo colloquiavano con le loro famiglie in
patria. Da tutto questo, vi fu un filone che fu raccolto da vari scrittori di
parte pontificia, primo fra tutti il De Segur, che scrissero pagine di fuoco di
come i feriti , dopo, e i prigionieri pontifici furono trattati, dopo. Nasce
con Osimo sullo sfondo, il mito dei “Martiri di Castelfidardo”, mito tanto
inventato quanto falso, che inquinò per oltre un trentennio i rapporti tra le
due sponde del Tevere.
[1] Una
dettagliata ricostruzione della cura dei feriti dopo lo scontro del 18
settembre 1860 comprese le risultanze contabili tra il Comune di Osimo e
l’Intendenza di Armata basata sulla documentazione esistente presso l’Archivio
di Osimo è stata riproposta da M. Serrani,
Osimo nel 1859 -1960, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Urbino,
“Carlo Bo”, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lettere Moderne,
Anno Accademico 2006 - 2007
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