OSIMO E LE CONSEGUENZE DEI COMBATTIMENTI
DEL 18 SETTEMBRE 1860
Osimo visse la giornata del 18 settembre con apprensione,
immediata retrovia del campo di battaglia.
Terminati i combattimenti, nel primo pomeriggio del 18
settembre questi “era nel più completo
abbandono per la fuga dei pontifici e per la scarsità dei servizi di cui poteva
disporre l’esercito piemontesi, molti concittadini si recarono con vetture sul
luogo e diedero a soccorrere i feriti, portandone in parte a Loreto e negli
istituti, non solo ed un po' nelle varie chiese ad eccezione della Cattedrale
(di Osimo) e di quelle troppo piccole, ed un po' nelle case private. Le signore
e le donne della autocrazia e del popolo fecero a gara nel preparare le bende e
nell’assistere i degenti. Quel giorno (18 settembre ) era la festa del nostro
patrono San Giuseppe da Copertino ma, come ci raccontano i nostri vecchi che ne
furono testimoni mentre sul presbiterio si salmodiava e si dava la benedizione
ai pochi fedeli, si udivano i lamenti dei feriti giacenti sui lettucci di
fortuna, sistemate nella parte della chiesa più prossimi all’ingresso
principale e separata dal resto a mezzo di un tendone”[1]
Dal 13 settembre, come detto, il Gonfaloniere Bonfigli aveva
assunto i poteri civili a seguito del ritiro dei gendarmi e degli ausiliari e
di ogni autorità pontificia su Ancona. Su sua iniziativa il 18 settembre fu
costituito un Comitato, di assistenza e soccorso composto da FR.E. Lor.
Fiorenti, B.Bellini, Aug. Sinibaldi, Ant. Landinelli e Fr. Mazzoleni conb Fr.
Petrini come segretario.
All’indomani del 18 settembre, passato il primo momento della
raccolta e della sistemazione dei feriti, la situazione fu presa in mano in
Osimo dal Cav. Alessandro Landinelli aiutato da suo fratello Antonio. I feriti
furono smistati tra l’ospedale Comunale, detto anche Ospedale Vecchio, un
ospedale allestito alla chiesa di San Marco, un terzo ospedale allestito a San
Niccolò, un quarto ospedale a San Silvestro, un quinto all’Orfanatrofio femminile, che aveva
un appendice nel vicino Palazzo Pini, ed il sesto a San Francesco.
La organizzazione sanitaria dell’esercito sardo seguiva le
connotazioni logistiche dell’epoca. Prevedeva una assistenza ai combattenti
dall’indietro in avanti. Un ospedale da campo era stato impiantato ad Osimo
diretto dal dott. Zavattaro, mentre un ospedale di prima linea , diretto dal
sottointendente Luino, era stato dispiegato a Castelfidardo.[2]
Alla Chiesa di Crocette erano dislocate le ambulanze della 4a Divisione (dott.
Lai) e della 7a Divisione (Dott. Loretti) ed altri elementi dei servizi
sanitari comprese le ambulanze reggimentali dei reparti ivi gravitanti. La
Chiesa delle Crocette divenne il centro ove affluivano i feriti e presto si
trasformò in un vero e proprio luogo di degenza. Nel suo cortile si provvide a
sotterrare i Caduti.
Secondo la ricostruzione di Don Carlo Grillantini il 15
ottobre ad Osimo erano ancora degenti 315 feriti. A San Francesco, anche se non
vi sono documenti scritti ma solo una testimonianza orale, Padre Cesanelli,
afferma che i frati dovettero per qualche tempo girare nel loro convento
camminando tra i letti dei feriti. Negli ospedali di Osimo prestavano servizio
una decina di medici, oltre agli infermieri ed a quattro cappellani cappuccini,
mentre le suore, Figlie della Carità, ed altro personale civile coadiuvavano il
personale medico.
Nelle prime ore dopo i combattimenti emerse un dato che trova
riporto nella relazione di Cialdini a Fanti. Vagavano sul campo di battaglia loschi
figuri tutti intenti a spogliare i cadaveri e a depredare i feriti. Questa
situazione può aver innescato un comportamento di reazione dei feriti verso chi
li voleva soccorrere, scambiati per predatori. . Nel rapporto di Cialdini a
Fanti la sera del 18 settembre viene evidenziato il comportamento dei soldati
pontifici feriti di origine tedesca o svizzera di lingua tedesca che
continuarono a combattere anche dopo essere stati feriti o essere fatti passare
per finti feriti. Il rancore che questi provavano verso l’elemento indigeno,
come lo chiamavano, ovvero italiano era al di sopra delle righe. Molto di
questo personale, peraltro, proveniva da un reclutamento verso individui che
volevano correre certe avventure, quindi moralmente deficitario. Aggiunto al
fatto che elementi locali si diedero allo sciacallaggio si ha un quadro
abbastanza esaustivo di questi tristi episodi.
Questo diede vita a una serie di polemiche sulla stampa
nazionale e internazionale, soprattutto In Francia e in Belgio, a tutto danno
della immagine delle nostra terra e dei suoi abitanti. Osimo, divenne la metà di tanti viaggio,
intrapresi dai parenti che volevano andare a visitare i proprii cari feriti o
ammalati. (continua)
[1][1]
Grillantini C., Storia di Osimo, Pinerolo, Scuola di Tipografia Cottolengo,
1969, Vol II dal 1860 ad oggi. Pag. 703.
[2] Il
Personale sanitario dell’esercito era considerato civile assimilato alla
organizzazione militare. Prevdeva medici divisonali di 1° e 2° classe. Medici
reggimentali di 1° e 2° classie, medici di battaglie di 1° e 2° classe e medici aggiunti. CFr. Ales S., Dall’Armata sarda all’Esercito Pontificio
1843 -1861, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito,
Ufficio Storico, 1990 pp. 157 e segg.
Nessun commento:
Posta un commento