18
SETTEMBRE 1860. CASTELFIDARDO
Il
mito, il rafforzamento del mito, il superamento del mito.
Massimo
Coltrinari*
I ricordi ed i racconti
della popolazione delle vallate del Musone e dell'Aspio[1] riportano che il generale
Enrico Cialdini, comandante del IV Corpo d'Armata sardo[2] nella campagna delle
Marche dell'Umbria durante lo scontro che prese poi il nome di Castelfidardo
non era sul campo di battaglia nei momenti cruciali e decisivi dello scontro
stesso. In questi momenti, verso le ore 11 del 18 settembre 1860, il comandante
del IV Corpo è a tavola a consumare una colazione preparata appositamente per
loro insieme ai suoi ufficiali ed al Regio Commissario per le Marche Lorenzo
Valerio a vari chilometri distanza dal luogo dello scontro, cioè ad Osimo. Pochi
anni dopo la morte del Cialdini, nel 1892, a cavallo quindi degli anni di fine
secolo, articoli e note pubblicate sui giornali e riviste a firma di testimoni
oculari delle giornate fidardensi misero in discussione i meriti di Cialdini
avvalorando la tradizione tramandata per via orale dalla popolazione marchigiana.
Articoli e note sostennero che i brillanti risultati della giornata del 18
settembre 1860 furono più merito dei suoi sottoposti che del Cialdini stesso e
in aggiunta la vittoriosa giornata del 18 settembre 1860 fu più frutto del caso,
del demerito e degli avversari, che del comandante sardo.
Altri articoli e note in
risposta ai primi, sempre di testimoni oculari, confutarono le predette tesi
portando altrettante validi ragioni a sostegno di riconoscimento dei meriti del
Cialdini stesso e affermando la versione ufficiale degli avvenimenti.
Queste polemiche, spesso
acri e poco educate, continuano ancora oggi ad ogni data anniversaria degli eventi
del 1860. Senza avere la pretesa di dire la parola definitiva in quanto sarebbe
inutile per via del fatto che la conoscenza dettagliata dello svolgersi degli
avvenimenti basata su dati oggettivi interessa a pochi, prevalendo altri
interessi, come quelli economici, di immagine, di “si è sempre detto così”, di
turismo ed altro, qui si vuole pacatamente anche capire perché, anche per
questi avvenimenti, ormai lontani del tempo, prevalga sempre la manipolazione
rispetto alla ricostruzione scientifica.
Credo che il punto di
partenza sia la esposizione sintetica dei risultati a cui si è pervenuti in
oltre 40 anni di ricerche basate sul metodo storico, che sono:
. L’obiettivo dei
pontifici era quello di raggiungere, da Loreto, Ancona con il maggior numero
delle forze.
. I pontifici vinsero sul
campo i sardi nella mattina del 18 settembre 1860, sorprendendoli con una
manovra che distrusse tre compagnie di bersaglieri e fecero arretrare la linea
fino alla Crocette. La via di Ancona era aperta. Non sfruttarono questo
successo per una catena di errori di comando, prima si fermarono poi
disordinatamente rientrarono a Loreto, senza che i sardi si rendessero conto di
questo loro successo.
. Il comandante delle
operazioni, ideatore del piano generale, era Manfredo Fanti, ai cui ordini
operavano Morozzo della Rocca (V Corpo) e Enrico Cialdini (IV), e Carlo Pellion
di Persano (comandante la Flotta). Obiettivo del piano: la conquista di Ancona.
Cialdini era quindi un sottoposto.
. Al momento della resa,
il 19 settembre alle ore 12, delle forze pontificie raccolte a Loreto, Cialdini
si rese finalmente conto che il giorno prima aveva fermato l’azione pontificia,
constatando il numero dei soldati arresisi. Era la “vittoria”.[3]
Nel nostro ragionamento
ora occorre inserire il dato politico. Il Cavour, sostenuto dalla Francia,
“doveva” fermare Garibaldi che il 7 settembre 1860 era entrato a Napoli. E così
fu con l’incontro di Teano. Ma la lotta contro l’Austria non era terminata e si
dovette costruire il mito del “risorgimento”, pena l’ennesimo fallimento del
processo unitario italiano. Come tanti altri miti, si creò anche il mito di
“Castelfidardo”. I lineamenti erano: assolutamente non nominare Loreto, simbolo
per il mondo cattolico, ma usare il nome di un paese viciniore, sconosciuto a
tutti; esaltare i soldati sardi ed il loro comportamento, esaltare i
comandanti, primo fra tutti, il Cialdini. Parlare di “battaglia”, anche se il
tutto si svolse in un arco di tempo che va 9,20 alle 13. Sottolineare il dato
che era una vittoria pura che concluse la campagna nelle Marche, sottacendo che
il Corpo d’Armata operante in Umbria fu diretto su Ancona, come la flotta,
operante in mare nemico e lontano dalle sue basi, che pose il blocco navale ed
il IV Corpo a sostegno, tutto sotto il comando diretto di Fanti. Se la vittoria
fosse stata così definitiva, che senso a tutto questo, alla luce del fatto che
occorreva urgentemente fermare Garibaldi? Era un inutile perdita di tempo. La
realtà sta nel fatto che per chiudere la campagna occorreva conquistare Ancona
e lo scontro del 18 settembre fu una brillante tappa come la presa di Perugia
ed altri scontri.
Era il mito di “Castelfidardo”,
a cui i pontifici risposero con il mito dei” Martiri di Castelfidardo”, per
esaltare i soldati cattolici provenienti da tutta Europa che andavano a
difendere il papato, con velato discredito per gli “indigeni” cioè per gli
italiani soldati del Papa. Mito che ancora oggi in Francia perdura ed è molto
sentito.
Il mito di “Castelfidardo”
resse per oltre 50 anni, essendo aperto ancora lo scontro con la Chiesa
Cattolica e l’Austria. Nel 50° anniversario (1910) tale mito si rafforzò con la
creazione del Monumento Nazionale delle Marche, dedicato a Cialdini, il comandante
vittorioso. Fanti era morto da 45 anni, Morozzo della Rocca impresentabile,
Pellion di Persano, dopo Lissa, innominabile. Ed il mito si rafforzò ancora con
l’esaltazione di Cialdini ed i riti “patriottici”
Creazione del Mito (1860),
rafforzamento del Mito (1910): due fasi che sono storia e che occorre tutto
conservare perché è la nostra storia. Poi venne il 1918, la scomparsa
dell’Austria, la Chiesa Cattolica chiuse la questione Romana nel 1929 con il
Concordato, poi la Seconda Guerra Mondiale, il Vaticano II (1964), il mondo
cattolico che si apre al mondo, infine si arriva a papa Bergoglio.
Credo che i tempi siano
maturi dopo 160 anni per avviare la fase del “superamento del mito” ovvero di
conoscere oggettivamente quello che è accaduto; dare ad ognuno il suo ruolo,
ricostruire sulla base del metodo storico e con i dettami della Storia
Militare, gli avvenimenti nella loro oggettività senza manipolazioni o
interpretazioni di parte. È un lusso che oggi ci possiamo permettere; quello
che non era minimamente permesso agli artefici del Risorgimento, ed ai loro
figli, impegnati nella costruzione di un Italia unitaria come Stato e come
Nazione. Il superamento del mito non è stato ordinato dal dottore. Occorre
scegliere tra l’accontentarsi delle ricostruzioni di parte, oppure volere
conoscere, una realtà che la ricostruzione oggettiva e scientifica ci propone.
Le due cose sono rispettabilissime e scegliendo o l’una o l’altra si vive bene
lo stesso. Basta scegliere.
Nella prossima nota si
illustrerà la manovra e la sua attuazione attraverso la quale i pontifici si aprirono
la via per Ancona alle 11.00 del 18 settembre 1860.
*centrostudicesvam. Articolo pubblicato su La Meridiana di Osimo settembre 2020
[1]
Lorenza Francioni, Le fonti orali: le
testimonianze superstiti della Battaglia di Castelfidardo, in Tra progetto e Ricerca. Atti del
Convegno di Studi “Castelfidardo nell’età del Risorgimento”, Castelfidardo,
Italia Nostra, 1991.
[2]
Si ritiene utile usare questa espressione in quanto la dizione “italiano”
appare scorretta. L’Esercito del reno di Sardegna prese il nome di Esercito
Italiano solo il 4 maggio 1861, a poco più di un mese dalla proclamazione del
Regno d’Italia avvenuta il 17 marzo 1861
[3] I
riscontri di queste asserzioni sono in: Coltrinari M., Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo. 18 settembre 1860, Roma,
Università La Sapienza Roma, Edizioni Nuova Cultura, Ill., pag. 310, Euro 20,
Coltrinari M., L’investimento e la presa
di Ancona. 19 settembre – 3 ottobre 1860, Roma, Università La Sapienza,
Edizioni Nuova Cultura, Ill., pag 303 Erro 20. I volumi sono reperibili ad
Osimo all’edicola di Luca, sotto le logge.
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