Mentre le
autorità sanitarie dell’esercito rilasciavamo attestati di lode al
comportamento della popolazione di Osimo nei confronti dei feriti di entrambe
le parti dello scontro del 18 settembre, da parte legittimista pontificia
arrivarono pesanti accuse verso gli osimani.
In numerose
testimonianze raccolte i feriti pontifici ebbero a lamentarsi del trattamento ricevuto.
Queste lamentele furono raccolte in un volume, I Martiri di Castelfidardo” da parte del De Segur, dando vita al mito dei
legittimisti francesi e belgi che accorsero in Italia a salvare dalla
rivoluzione la Cattedra di San Pietro e sacrificarono tutto, anche la loro
vita, come i primi martiri durante le persecuzioni degli imperatori romani. Un
mito molto forzato, anche in relazione a certi comportamenti dei soldati che,
soprattutto a Loreto il 16 ed il 17 settembre non si comportarono in modo corretto
verso la popolazione. DE Segur, che avrebbe fatto meglio ad intitolare il suo
volume i “Martiri di Loreto” non avvalorando il nome di quello che “i nemici”
avevano scelto per il combattimento del
18 settembre, porta varie testimonianze.
Riguardo
alla morte di Arturo, conte di Chalus, da Nantes scrive;
“Fu con altri feriti
trasportato allo spedale di Osimo e stette calmo ed intrepido sopra
l’insanguinario convoglio del suo dolore …. Dopo morto fu spogliato di tutto
quello che aveva e non si si pote pure trovare la corona per mandarla alla
famiglia. Fu sepolto ad Osimo. I Piemontesi non vollero che fosse scolpita sul
suo sepolcro una iscrizione in memoria del suo valore e del suo coraggio.”[1]
La testimonianza di Giacinto Lanascot è la seguente
“.. finita la
battaglia, i Piemontesi ci si cacciarono addosso come tigri per depredarci, e
senza punto guardare se eravamo feriti ci malmenarono in modo orribile. Io
portavo in dosso seicento franchi, e me li rubarono senza lasciarmi un soldo.
Mi strapparono da dosso la medaglia datami dal Papa quindi le mie due pistole.
Eccovi caro padre detto in buona parte come mi trovo”.
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