L'Ultima difesa pontificia di Ancona . Gli avvenimenti 7 -29 settembre 1860

Investimento e Presa di Ancona

Investimento e Presa di Ancona
20 settembre - 3 ottbre 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860
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Onore ai Caduti

Onore ai Caduti
Sebastopoli. Vallata di Baraclava. Dopo la cerimonia a ricordo dei soldati sardi caduti nella Guerra di Crimea 1854-1855. Vedi spot in data 22 gennaio 2013

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860
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La sintesi del 1860

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Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il Volume di Massimo Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, 18 settembre 1860, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009, pagine 332, euro 21, ISBN 978-88-6134-379-5, è disponibile in
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mercoledì 10 agosto 2022

Campagna nelle marche: 1860 I Parte

 

Osimo agosto 1860: la tranquillità prima della tempesta

Note di storia risorgimentale. La trasformazione dell’assetto economico-sociale

L’estate del 1860 si presentava ad Osimo come le altre estati. I responsabili pontifici si erano ripresi dagli avvenimenti dell’anno precedente, quando una situazione abbastanza tranquilla divenne improvvisamente difficile. La presenza ad Ancona di una guarnigione di 5000 soldati austriaci, presente dal 1849, garantiva la pace e la sicurezza. Nessuno aveva l’ardire di promuove rivolte o altro e tutto sembrava procedere per il meglio. Improvvisamente nel nord scoppia la guerra tra il Regno di Sardegna e l’Austria, e, in modo sorprendente, al fianco del Governo di Torino scende le Alpi una Armata francese. Parigi e Napoleone III si alleavano con la rivoluzione. Una contraddizione che in molti non riuscivano a comprendere. La Francia era una delle Potenze cosiddette cattoliche, insieme all’Austria, che garantiva la sopravvivenza dello Stato Pontificio e manteneva a Roma una Guarnigione di circa 25.000 soldati per prevenire ogni rivoluzione, come era successo nel 1848. Napoleone III alleato al Cavour era incomprensibile. I meglio informati assicuravano della lealtà dell’Imperatore Cattolico, che garantiva al Pontefice la sopravvivenza assicurando in ogni circostanza che gli spettava di diritto il cosiddetto Patrimonio di San Pietro, territorio corrispondente all’odierna regione del Lazio. Queste affermazioni di Napoleone III erano interpretate come una assicurazione per lo Stato Pontifico, inteso come territori che andavano si dal Lazio, ma comprendevano anche l’Umbria, le Marche e le Romagne. 

Il Cardinale Antonelli, capo della politica vaticana, e la stessa Segreteria di Stato, vedevano con diffidenza Napoleone III, ma non riuscirono mai a capire i suoi disegni. Il suo intervento in Italia era motivato dal fatto che mirava a contrastare il predominio austriaco in funzione strategica. La Francia, dopo aver acquisito il controllo del mediterraneo occidentale ed aperte le vie per l’Algeria e la Tunisia, dove si era installata, ora puntava a portare la sua influenza nel mediterraneo orientale, verso l’Egitto, riprendendo i vecchi piani predisposti da Napoleone. La prova generale di questa espansione era stata fatta nel 1854-1855 con la cosiddetta guerra di Crimea, a cui si aggregò, come noto il Cavour, per portare all’attenzione il problema Italiano sulla scena europea. Alla Francia occorreva avere punti di appoggio concreti, ovvero basi che le permettessero di arrivare nel mediterraneo orientale. I progetti e le idee che, poi, nel 1867 portarono alla apertura del canale di Suez a Parigi erano materia di attento studio. In pratica alla Francia occorreva basi prima in Adriatico, per tentare il successivo balzo vero i mari greci. Chi impediva tutto ciò era l’Austria, che non accettava un suo ridimensionamento nella penisola italiana che dal 1815, avendo definito l’Italia “una semplice espressione geografica, assoggettava ai suoi interessi tutti gli stati italiani, Papa compreso.

Questo significava anche alterazione degli equilibri economici, che avrebbe inciso sulla vita di Osimo e degli osimani. Da una imprenditoria agricola, si doveva passare ad una imprenditoria commerciale e di trasporto, ovvero per Osimo entrare in concorrenza con Ancona, da sempre orientata ai commerci avendo il porto. In varie famiglie benestanti anconetane, come i Fazioli e in tutta la comunità ebraica, lo statu quo era un ostacolo e si vedevano limitare, essendo in contatto con famiglie imprenditoriali inglesi tramite la organizzazione massonica, i loro investimenti e le loro possibilità di profitti. Osimo con le sue famiglie, I Leopardi. I Bellini imprentati con i Brighenti e le altre avevano investimenti sulla terra, sull’agricoltura e in parte anche sul latifondo, come le altre famiglie possidenti di Loreto, Recanati e Jesi. Tutti costoro vedevano i cambiamenti come un salto nel buio. Sul campo politico, da qui il loro appoggio al Governo Pontificio, considerato un paladino della conservazione e dello status quo, appoggiato dall’Austria, sempre contraria ad ogni rinnovamento che avrebbe portato sicuramente alla sovversione ed alla rivoluzione. In Ancona l’orientamento era all’opposto: si era per Cavour ed il suo liberalismo, con venature anche progressiste, ma limitate per lo più all’ideale, non all’espetto economico.

La perdita delle Romagne sul finire del 1859, era stata compensata nelle Marche con l’arrivo di una forte guarnigione pontificia di oltre 4000 uomini al comando del Barone svizzero Kalbermatten, un rude soldato che riteneva suo dovere imporre lo status quo con la forza. Tale approccio non faceva buon gioco all’elemento conservatore, che cercava in ogni modo di ingraziarsi la popolazione con modi molto più intelligenti.

In quell’agosto 1860 in una situazione tutta in divenire, iniziò quella serie di episodi che a capo di circa trenta giorni cambiò radicalmente il profilo socio-economico di Osimo.

Garibaldi, nel 1859, aveva tentato di portare una azione rivoluzionaria ed impadronirsi di Ancona quando era vicecomandante dell’Esercito dell’Italia Centrale. Spalleggiato da una Comitato segreto rivoluzionario operante nella dorica guidato da Alessandro Orsi, tentò di impadronirsi del porto. L’azione fu sventata da un agente del servizio segreto pontificio che aveva una delle sua sedi in Osimo, operante sotto diversi nomi, tra cui Erra, Angeli, Micheli, ecc. che addirittura organizzò un incontro segreto amoroso in cui attirare Garibaldi per ucciderlo, tramite la complicità del suo aiutante di campo che faceva il doppio gioco, in una località a ridosso di Ancona (alcune fonti parlano in modo improprio anche di Osimo) che fallì all’ultimo momento. Contrario all’azione di Garibaldi era anche Manfredo Fanti, capo dell’esercito dell’Italia Centrale che agiva su ordini di Cavour. Lo sventato pericolo di un intervento negli Stati del Papa da parte del partito progressista, non fece abbassare la guardia ai moderati che, nel prosieguo, orientarono Garibaldi ad altre imprese, tra cui quella di portare la rivoluzione nel meridione d’Italia, sull’esempio di Pisacane. In molti speravano a Torino che Garibaldi facesse la stessa fine di Pisacane, ma questa volta le cose andarono diversamente. Era la spedizione dei Mille che portò Garibaldi, il 7 settembre 1860 ad entrare a Napoli. La sua intenzione era quella di marciare su Roma. Occorreva fermarlo. Cavour non trovò altra soluzione che proporre a Napoleone III di scendere nella bassa Italia con l’esercito sardo e bloccare le iniziative garibaldine Roma non si doveva toccare, ma le Marche e l’Umbria si. Questo era il grande equivoco in cui cadde la diplomazia pontificia.

IL 31 agosto fu una giornata particolare. Ad Osimo in una riunione di possidenti, presente il Delegato Apostolico Randi, si cercava di valutare la situazione, con le preoccupazioni di un futuro incerto, con una vendemmia da fare; nessuno immaginava quelle che in pochi giorni sarebbe successo. Nello stesso giorno Farini e Cialdini, furono mandati a Chambery da Cavour per illustrare la situazione a Napoleone III, e a chiedere il tacito assenso di invadere le Marche e l’Umbria per scendere a fermare Garibaldi. L’assenso fu concesso. Per Osimo iniziava un conto alla rovescia che l’avrebbe portata a cambiare radicalmente il suo assetto economico-sociale, ad iniziare, con l’applicazione delle leggi Siccardi sugli Ordini religiosi, e per molte famiglie, fino ad allora floride e potenti, un inizio di decadenza e oblio che è ben rappresentato oggi dallo stato di abbandono dei due principali palazzi signorili che si affacciano sulla Piazza principale di fronte al Municipio. Un montacarichi in ferro arruginito troneggia da oltre 25 anni, che si potrebbe ormai catalogare come esempio del secolo scorso di archeologia industriale, rammenta come quei giorni del settembre 1860 cambiarono ogni cosa. (continua)    

La Meridiana Agosto 2021

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