venerdì 30 settembre 2022
sabato 17 settembre 2022
La Campagna nelle Marche 1860
Osimo in mezzo al campo di battaglia:
16 - 17 settembre 1860
Alle 23 del 15 settembre le avanguardie del IV Corpo d’Armata
da Torre di Jesi si misero in marcia con destinazione Osimo, obiettivo primario
della manovra. In testa il VII Battaglione Bersaglieri seguiti da una sezione
della 4a Batteria, poi da tutta la Brigata “Como” e dal resto della 4a
Batteria. Le truppe si misero in marcia quasi digiune, non essendo potuto
arrivare a Torre di Jesi, per la tendenza della strada, il carreggio dei
viveri. La marcia durò fino alle 5 del mattino del 16 settembre. Via via che
arrivavano in Osimo le truppe prendevano posizione, ma vi arrivarono stremate.
Appena giunti i soldati si stendevano in terra, allentandosi le buffetterie e
slacciandosi la divisa. Non diedero un buon spettacolo e l’impressione, per gli
Osimani, non fu delle migliori. Si temevano reazioni scomposte, con la
diffidenza che si ha per truppe che erano considerate “straniere”. Anche per
questo, per evitare tali reazioni, la popolazione iniziò ad offrire pane,
formaggio, frutta e vino. Passate le prime ore, ci si accorse che queste truppe
erano saldamente in pugno ai propri ufficiali; presto corse voce che avevano
avuto precise disposizioni di rispettare ogni cosa, anche le proprietà
ecclesiastiche e di non reagire se non in presenza di azioni di fuoco.
Osimo fu presidiata nel seguente modo: col 24° Reggimento
fanteria della Brigata “Como” si pose in riserva al centro della città, pronto
ad intervenire. Due battaglioni del 23° Reggimento fanteria della stessa
brigata furono posti a presidio della porta che guardava verso Ancona (San
Marco); gli altri due battaglioni del 23° Reggimento Fanteria si misero a
presidio della strada proveniente da Filottrano. Metà della 4a Batteria a
sostegno del 23° Reggimento e l’altra a sostegno del 24° Reggimento. Una
sezione (due pezzi) fu messa in batteria a Piazza Nuova, ove oggi una targa
ricorda questo suo posizionamento. In pratica Osimo, con oltre 900 soldati
schierati, era fortemente presidiata. Per tutta la giornata del 16 continuarono
ad arrivare le truppe rimanenti
Come sempre in guerra, le notizie sono confuse,
contradittorie, parzialmente non vere e false. Cialdini nel movimento verso
Osimo ricevette la notizia raccolta da alcuni contadini che De La Moricière era
da Macerata in marcia su Filottrano e quindi puntava su Torre di Jesi. Non fu
creduta per vera, ma per precauzione fece presidiare dal 16° Reggimento
Fanteria Torre di Jesi. Il resto del IV Corpo ebbe l’ordine di raggiungere Osimo
nella giornata del 16 settembre. Jesi e Torre di Jesi divennero la base
logistica arretrata del IV Corpo d’Armata, mentre la linea operativa di
interposizione alla sera del 16 settembre era Osimo. Anche per questo Cialdini
riteneva con l’arrivo in Osimo che le posizioni raggiunte fossero sufficienti
per interporsi alle forze pontificie provenienti da sud e dirette ad Ancona. La
conquista di Osimo fu una brillante azione a carattere logistico che impegnò a
fondo le truppe sarde, che dovettero operare in condizioni non certo ottimali,
tanto che giunsero sulle posizioni stremate.
Si legge nel Diario
del IV Corpo d’Armata:
“Non fu mai vista
stanchezza che uguagliasse quella delle truppe in questa giornata (16
settembre 1860, n.d.a.). gettandosi nei
fossi e nelle campagne vicine, erano sorde alla voce dello stesso generale. Si
aggiunga che i carri ed i viveri, i parchi e le riserve viveri tutte rimaste
indietro per la natura del terreno e la rapidità della marcia. Onde che le
divisioni passarono letteralmente 24 ore senza mangiare.”[1]
Il Generale Cialdini nel suo rapporto al Generale Fanti ebbe
modo di scrivere:
“Le salite e le discese
di Torre di Jesi quindi l’erta di Osimo allontanarono di nuovo i viveri dai
battaglioni; il calore del giorno fu eccessivo; le truppe arrivarono rassegnate
fino ad Osimo, ma quelle che dovettero avanzare a Castelfidardo ed alle
Crocette oppresse dalla fatica dalla sete e dalla sferza del sole e dalla
mancanza si sufficiente alimentazione giunsero in uno stato di prostrazione che
le faceva assolutamente incapaci di sostenere il benché minimo combattimento”.[2]
Questa manovra di interposizione ricorda alla lontana la
manovra napoleonica di Ulm, in cui con marce estreme, il Corso riuscì a far
capitolare per manovra l’intera guarnigione austriaca di 30.000 uomini. Con la
sua manovra, Cialdini pose le premesse per la vittoria dello scontro del 18
settembre.
Via via che giungevano ad Osimo, le truppe a rincalzo
scavalcavano quelle che avevano preso posizione e proseguivo verso est. Fu
disposto che, al comando del Comandante la Brigata “Bergamo” proseguissero per
San Sabino, Castelfidardo Crocette il II ed il XXVI Battaglione Bersaglieri, il
Reggimento “Lancieri di Novara” e la 5a Batteria. Gli ordini per queste truppe
erano chiari: raggiunto il quadrivio delle Crocette, spingersi verso i ponti di
Loreto, se trovati intatti e sgombri da forze nemiche tagliarli e renderli
impraticabili. Indi organizzarsi a difesa, pronti a dare l’allarme e a
ritirarsi con reazioni dinamiche locali. Era il rafforzamento della linea di
interposizione che Cialdini aveva iniziato due giorni prima, che aveva Osimo,
ove Cialdini pose il 16 settembre il suo Quartier Generale, il perno centrale.
Ad Osimo furono gironi di tensione e paura. La città
presidiata da migliaia di soldati, che aumentavano di numero di ora in ora. Chi
arriva e chi partiva. Si comprendeva anche dalle parole dei soldati stessi che
un attacco poteva arrivare sia da Ancona che da Loreto, in pratica si era tra
due fuochi. Queste paure aumentarono quanto l’indomani le truppe sarde furono
poste in allarme in quanto era stata avvista in tarda mattinata una consistente
colonna pontificia uscita da Ancona verso Camerano e si dirigeva verso la
vallata. Nel pomeriggio si sparse la notizia che le avanguardie di questa
colonna erano arrivate a San Biagio. Uno scontro a fuoco era temuto da un
momento all’altro.
La notizia si rilevò poi falsa. La colonna al comando del De
Courthen era la III Brigata operativa che, rientrata in Ancona, era uscita
dalla piazzaforte per andare incontro al De La Moricière che si sapeva essere
giunto a Loreto, ma non scese in pianura; si arrestò dopo Camerano e a sera
rientro in Ancona. Mentre la stragrande maggioranza delle truppe sarde riposava
in quel 17 settembre 1860 il presidio delle posizioni della linea di
interposizione di completavano arrivando a Monte San Pellegrino e Colle Oro,
ultime propaggini collinose verso il mare. Osimo visse un altro giorno di
angoscia e incertezza, con la popolazione che constatava di essere in mezzo ad
un campo di battaglia.
sabato 10 settembre 2022
La Campagna nella MArche. 1860
La fine del
potere temporale dei Papi.
Osimo, abbandonata a se stessa (13 -16
settembre 1860)
Lo stato d’assedio proclamato il 7 settembre 1860 in tutte le
provincie delle Marche fece capire agli osimani che la situazione era diventata
critica. Le disposizioni delle autorità pontificie erano tassative. Nessuno
usciva più di casa. Il Gonfaloniere, come allora si chiamava quello che da là di
un mese si sarebbe chiamato Sindaco, Andrea Bonfigli stava vivendo quei gironi
di settembre con estrema angoscia. Le disposizioni erano severissime: bastava
un nonnulla che si finiva in carcere con pesanti accuse. Come tutti gli osimani
aveva compreso che qualcosa di molto grosso stava accadendo, ma non si sapeva
dove andare a parare. Si teneva una riedizione dei fatti di Perugia del 1859,
ovvero una strage fra quei civili che per superficialità od altro si mostravano
ostili: i soldati del Papa, che la tradizione dileggia, erano rudi e
determinati e non esitavano a sparare in presenza di una minaccia grave e la
rivolta per loro era da reprimere senza esitazione. Il Gonfaloniere sapeva che
in Osimo vi erano esponenti mazziniani e cavourriani, e simpatizzanti, molti
dei quali in contatto con i rivoluzionari di Ancona. Ma ormai il tempo delle rivolte
era finito. Il 13 settembre giunse in Osimo la notizia che Pesaro era caduta che
le truppe “piemontesi” erano in marcia su Ancona. Il giorno dopo giunse la
notizia che Perugia era anch’essa caduta. Giunse anche la notizia che il
Delegato Apostolico di Pesaro, Mons. Tancredi Bellà, a cui fu confiscato ogni
bene, tra cui la tanto curata ed amata cantina contenente oltre 3000 bottiglie
di vino, era stato fatto prigioniero e tenuto in mutande tutta la notte in
piedi nella piazza davanti al palazzo dell’Arcivescovado., mentre uscivano di
prigione tutti i detenuti, sia comuni che politici. Era ormai chiaro che le rivolte
di Pergola, Fossombrone ed Urbino erano state un’esca, quasi una trappola per
far uscire le truppe pontificie dalle loro fortezze, per affrontarle in campo
aperto. Ora erano in ripiegamento su Ancona. Di ora in ora la situazione si
aggravava e nella giornata del 14 settembre giunse la notizia che una colonna
“piemontese” stava marciando su Osimo. Gli ultimi soldati pontifici si
raccolsero in piazza e nessuno sapeva cosa fare. Inizialmente si pensava ad una
organizzazione di difesa di Osimo imbastita in modo dilettantistico, poi arrivò
l’ordine da Ancona che tutti i militari, gendarmi, ausiliari ed impiegati
civili pontifici dovevano raggiungere la piazzaforte e mettersi a disposizione
del col. O’ Gady. In breve Osimo fu lasciata sgombra da ogni militare
pontificio ed affidata a sé stessa. Il 13 settembre, quindi, si erano
allontanati da Osimo i gendarmi e gli ausiliari pontifici e la città si trovò
priba di autorità ed ogni abitante temeva per l’incertezza del domani. Il
potere civico fu preso in mano dal Gonfaloniere Bonfigli e dal Rossi che,
servendosi dei bandisti musicali in divisa e dei loro armati, iniziarono a dare
un minimo di sicurezza alla cittadinanza inviando staffette alle truppe
Sarde ed a perlustrare le strade dei
dintorni ed a predisporre l’ingresso delle truppe sarde che era dato per
imminente
Il IV Corpo d’Armata sardo, al comando del gen. Cialdini il
14 settembre aveva raggiunto Senigallia. Inviate truppe (i Lancieri di Milano e
due battaglioni di fanteria a Rocca Priora con compiti di sicurezza), il grosso
iniziò quella manovra di interposizione che sarà la chiave di volta di tutta la
campagna delle Marche. Avuta conoscenza che una forte colonna pontificia era
dall’Umbria in marcia su Ancona (erano 8500 pontifici al comando del De La
Moricière che intendeva raggiungere Ancona per organizzare una estrema difesa)
Cialdini scelse la linea di cresta delle colline antemurale ad Ancona per
intercettarla e dare battaglia in campo aperto, cercando di evitare quindi un
assedio della piazzaforte che sarebbe stato dispendioso in termini soprattutto
di tempo.
La 7a e la 4a Divisione si incolonnarono quindi da
Senigallia, lasciando la strada litoranea per Jesi e Torre di Jesi, che furono
raggiunte il 15 settembre. Secondo le valutazioni dello Stato Maggiore del IV
Corpo d’Armata, saputo che De La Moriciére era a Macerata, questi per
raggiungere Ancona poteva utilizzare la strada Macerata- Monte Cassiano - Monte
Fano-Osimo, circa 31 chilometri, che era la più diretta. Poteva anche
utilizzare la strada Macerata – Val Potenza – Recanati – Castelfidardo (30 chilometri)
ed infine la strada Macerata – Monte Lupone – Monte Santo – Santa Maria di Potenza
– Porto Recanati – Loreto (38 chilometri). Cialdini doveva assolutamente
occupare e presidiare le posizioni di cresta tra Osimo e Castelfidardo, mentre per
le posizioni in costa tra Castelfidardo ed il mare bastava occupare le
Crocette, bloccando la strada postale Roma- Ancona. Occorreva procedere,
nonostante la stanchezza, in avanti e mettere in atto stratagemmi affinchè il
Comando Pontificio prendesse decisioni contrari ai suoi interessi. Tenendo
presente questa esigenza, il Cialdini ideò ciò che poi fu chiamata “La diversione di Filottrano”
“Persuaso che le poche
forze del generale De La Moricière lo costringerebbero per qualche giorno ad
essere cauto” scrive il Cialdini, volli
tentare di spingerlo a scegliere la strada più lunga con uno di quei stratagemmi
volgari che però riescono quasi sempre in guerra. Feci partire subito uno
squadrone di Lancieri per Filottrano, che arrivò nel cuore della notte. Secondo
gli ordini avuti il capitano dello squadrone fece gran chiasso risvegliò e
spaventò tutto il paese trattò arrogantemente il Municipio ed ordinò 24.000
razioni che io intendevo di prendere l’indomani nel mio passaggio da Filottrano
per Macerata. La cosa fu certamente creduta poiché gran parte delle chieste
razioni fu preparata ed il municipio non mancò di mandare avviso al generale
nemico” [1]
Il “volgare stratagemma” riuscì alla perfezione. De La
Moricière prese la strada più lunga e giunse a Loreto solo la sera del 16
settembre, mentre la I Brigata del generale de Pimodan arrivò solo il giorno
dopo, la sera del 17 settembre. De La Moricière aveva perso il lieve vantaggio
che aveva. Se avesse preso la strada Macerata - Monte Cassiano – Monte Fano –
Osimo: (31 chilometri) i Pontifici sarebbero passati per Osimo circa 24 prima
dell’arrivo delle truppe del Cialdini ed avrebbero raggiunto senza combattere
Ancona. Per Osimo sarebbe stata una vera iattura. Infatti in poche ore
sarebbero arrivati 8500 soldati stanchi ed affamati che chiedevano viveri.
Queste truppe erano poco controllate, composta per lo più da francesi, belgi,
irlandesi ed “indigeni” come erano chiamato gli italiani. Si sarebbero svolte
le scene che si ebbero a Loreto tra il 16 ed il 17 settembre quando molto
soldati pontifici si abbandonarono a violenze a danno della popolazione ed
anche di alcuni ecclesiastici, violenze dettate per lo più dalla ricerca
disperata di qualcosa da mangiare.
In realtà Cialdini, che era a conoscenza che le truppe
pontificie avevano 24 ore di vantaggio su di lui si pose come obiettivo l’occupazione
di Osimo. Riuscire ad occuparla, nella speranza che lo stratagemma di
Filottrano avesse funzionato, vi era speranza di impedire che i Pontifici
giungessero in Ancona. Iniziò una corsa contro il tempo dove tutto fu
sacrificato pur di raggiungere la città dei senza testa. Per Osimo questo
significò la fine del potere temprale dei Papi.
[1]
Cialdini E., Rapporto a S.E. il Generale
in capo sulle operazioni del IV Corpo d’Armata dall11 settembre al 29 settembre
1860. Documenti. In Rivista Militare Italian Volume III, Anno, V giugno
1861. Per inciso da questo rapporto si deduce che Cialdini non era il comandante
delle truppe sarde operanti, ma un subordinato. IL Comandante in Capo era il
gen. Manfredo Fanti, che aveva preparato il piano strategico di operazioni
assegnando al IV Corpo (Gen Cialdini) di occupare le Marche ed al V Corpo
(generale Morozzo della Rocca) di occupare l’Umbria, sempre sotto il suo
diretto ed esclusivo comando.