L'Ultima difesa pontificia di Ancona . Gli avvenimenti 7 -29 settembre 1860

Investimento e Presa di Ancona

Investimento e Presa di Ancona
20 settembre - 3 ottbre 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860
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Onore ai Caduti

Onore ai Caduti
Sebastopoli. Vallata di Baraclava. Dopo la cerimonia a ricordo dei soldati sardi caduti nella Guerra di Crimea 1854-1855. Vedi spot in data 22 gennaio 2013

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860
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La sintesi del 1860

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Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il Volume di Massimo Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, 18 settembre 1860, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009, pagine 332, euro 21, ISBN 978-88-6134-379-5, è disponibile in
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sabato 1 agosto 2015

La Campagna nelle Marche: 11- 29 settembre 1860. II Parte Gli Avvenimenti.

(seguito post precedente in data 1 agosto 2015)
1.     GLI AVVENIMENTI.
Seguendo la cronologia degli avvenimenti il 7 settembre 1860, l’ultimatum del Regno di Sardegna al papato, l’8 settembre il rifiuto del cardinale Antonelli e, quindi, l’11 settembre si dichiarano aperte le operazioni, secondo la prassi stabilita dalla consuetudine bellica dell’epoca.
All’alba dell’11 settembre le truppe Sarde passano la frontiera pontificia con l’Armata d’invasione.
a.     Le operazioni belliche.
L’11 settembre viene inviato dallo Stato maggiore dell’Esercito piemontese un ultimatum tecnico che viene consegnato dal capitano Farini direttamente al de La Moriciere, presso il quartier generale di Spoleto, con l’imposizione di licenziare con immediatezza tutti i componenti stranieri incorporati nelle forze pontificie, considerati alla stregua di truppe mercenarie. Qualora l’imposizione non fosse accolta, l’Esercito Sardo avrebbe dato il via all’attacco. Il de La Moriciere respinge l’ultimatum e ciò comporta l’avvio delle manovre tra l’11 ed il 18 di settembre che poi culminano in quello che viene ricordato come lo Scontro di Castelfidardo, cui seguirà poi la vera battaglia finale per la conquista di Ancona.
Lo scontro di Castelfidardo è, invece, dovuto ad un movimento d’incontro delle due formazioni che manovravano tatticamente inconsapevoli della posizione e della direzione dell’avversario.
(1)  Le operazioni terrestri.
La 1a Brigata operativa pontificia di Spoleto, direttamente sotto il comando del de La Moriciere, la 2a Brigata del de Pimodan (composta di quattro battaglioni e 300 cavalli) e la Brigata Riserva si mettono in linea e, contrariamente alle previsioni del Comando sardo, invece di predisporsi per attendere l’attacco proveniente dal V Corpo d’Armata, si mettono in marcia verso Ancona.
Il giorno 12 settembre, il de La Moriciere parte da Spoleto con alcuni battaglioni per accorrere ad Ancona con il maggior numero di forze e resistere all’assedio sardo, in attesa di un intervento degli austriaci o dei francesi. Con l’ingresso in guerra delle Potenze amiche il fronte non sarebbe più su Ancona e sulle Marche, ma verrebbe spostato sul Mincio, risolvendo quindi il problema di garantire la sicurezza e la difesa dello Stato pontificio. In definitiva, il de La Moriciere intende ricreare i tempi ed i modi della guerra del 1848-49, con una iniziativa del tutto autonoma, senza tenere conto delle indicazioni della diplomazia e del potere politico di Roma ed in contrasto con la volontà del cardinale Antonelli e del De Merode. Il disegno del de La Moriciere prevede l’appoggio militare, nel Lazio ed in Umbria, da parte dell’esercito francese che partito da Tolone sarebbe sbarcato a Civitavecchia. Egli è, infatti, convinto che l’Austria avrebbe attaccato l’Esercito Sardo sul Mincio e la Francia di Napoleone III, dimostrandosi leale verso il Papa, avrebbe mosso guerra dalle Alpi verso il Piemonte. Con questa consapevolezza il de La Moriciere ordina a tutte le sue forze di muovere lungo la strada di Colfiorito e Macerata verso Ancona.
Per quanto concerne invece le manovre dell’Esercito Sardo, al comando di Manfredo Fanti, il IV Corpo d’Armata è in marcia su Ancona, il V Corpo d’Armata verso Perugia e la Reale Flotta Sarda lascia Napoli alla volta dell’Adriatico.
Un elemento molto importante per le operazioni navali è che l’Adriatico è un mare nemico, in quanto la Flotta Sarda non possiede basi logistiche sulle sue coste. L’ammiraglio Persano ed i suoi comandanti devono infatti fare attenzione ai consumi di carbone delle proprie pirofregate, avendo scorte limitate. Inoltre, in caso di avaria di un vascello sardo, questo deve essere affondato per impedirne la cattura da parte nemica.
La 13a Divisione è a supporto delle forze insurrezionali che devono dare vita a moti rivoluzionari per il 10 settembre. L’importanza di questo elemento risiede nell’effettiva capacità di attirare fuori dalle piazzeforti di San Leo, Pesaro e Fano le guarnigioni pontificie per accorrere a sedare i moti rivoluzionari occultando così la reale minaccia. L’espediente riesce e l’Esercito regolare Sardo, trovando le piazzeforti sguarnite, conquista Pesaro in 12 ore, Fano in sole quattro ore.

(a) La manovra nelle Marche.
Il Cialdini che marcia lungo la litoranea adriatica, informato del movimento dell’Esercito pontificio verso Ancona, arriva a Senigallia il 14 settembre ma, a causa del tiro dei cannoni della guarnigione, non può spingersi troppo vicino ad Ancona, dove insistono ben due Brigate con oltre 7000 uomini con circa 150 pezzi di artiglieria. Il Cialdini effettua pertanto una manovra di interposizione tra la guarnigione di Ancona e le Forze Mobili del de La Moriciere che stanno giungendo da Macerata, con l’obiettivo di batterle separatamente. Giunto all’altezza del fiume Esino, predisponendo dei posti di osservazione, manovra verso Jesi e Torre di Jesi lungo la dorsale delle colline antistanti la litoranea, dirigendosi verso Osimo, per spingersi fino alle Crocette. Il Generale, passando per Filtorano, invia un giovane capitano con 100-150 Lanceri con l’ordine di approvvigionare 8500 razioni di pane, segno che di lì a qualche giorno sarebbe arrivato il grosso delle forze. La notizia viene riportata dal podestà di Filotrano al de La Moriciere che, invece di proseguire lungo la strada Macerata-Osimo, la più breve per Ancona, decide di procedere ad Est per evitare di entrare in contatto con le forze dell’Esercito Sardo che pensa essere già a Filotrano. Questa decisione gli fa perdere due giorni, originando oltremodo i presupposti per lo scontro accidentale di Castelfidardo.
Il 15 settembre il de La Moricière è a Macerata. Attraverso la pianura del fiume Potenza giunge a Porto Recanati dove imbarca il tesoro da guerra destinato alla piazza di Ancona. Da Porto Recanati il de La Moricière si porta a Loreto. Le comunicazioni del Comitato segreto di Rimini ed Ancona permettono all’Esercito sardo di avere ogni tre ore l’aggiornamento dei movimenti delle forze del de La Moriciere, che invece resta all’oscuro di ogni azione ed iniziativa avversaria.
Il 17 settembre 1860, alla vigilia dello Scontro di Castelfidardo, la Flotta Reale Sarda arriva di fronte Ancona e prosegue su Senigallia per tenersi fuori dal tiro dell’artiglierie della piazza di Ancona.
L’ammiraglio Persano, venuto a conoscenza della presenza del generale Cialdini nei pressi di Castelfidardo, decide di scendere a terra. Il Persano sbarca a Marotta dove con una carrozza raggiunge il comando sardo per incontrasi con il generale Cialdini al quartier generale a Sant’Agostino e definire, con lui, il piano operativo per il giorno successivo. Mentre il Generale lo ragguaglia sulla sua manovra di interposizione, arriva la notizia di Serristori (che è il responsabile delle Informazioni del comando sardo) che gli comunica che la guarnigione pontificia di Ancona il 17 settembre è uscita alla ricerca delle Forze Mobili del de La Moriciere, ma che non avendole trovate è rientrata. Il Cialdini quindi chiede al Persano di avviare, dal giorno successivo (18 settembre), i cannoneggiamenti su Ancona per impedire alla guarnigione pontificia di ricongiungersi con le forze del de La Moriciere che proviene dall’Umbria.
Ecco l’interforze, c’è la Flotta che aiuta e concorre all’azione delle forze di terra.
Il Persano, quindi, si rimbarca e la mattina dopo alle sette e mezza inizia il bombardamento della città dal mare. Il cannoneggiamento è molto pesante e provoca anche molte vittime civili, però l’iniziativa ha successo e inchioda la guarnigione su Ancona. Il de La Moriciere, che sperava in questo aiuto, è consapevole che se le forze sarde avessero posto in atto una manovra di interposizione si sarebbe trovato circondato dalle forze avversarie.
Lo scontro si svolge in prossimità delle rive del fiume dove c’è il ponte di legno di Loreto, già in mano delle forze Sarde, che nell’area della Cascina, subito alle spalle del ponte, hanno predisposto dei trinceramenti e posizionati due cannoni a mitraglia. La stessa notte durante una ricognizione nei pressi del ponte, a circa un chilometro da Loreto, una Guida del de La Moriciere, il Sig. de Pas, viene fatto oggetto di colpi e rimane ucciso (la famiglia ha acquistato un edificio a Loreto adibendolo ad istituto per gli studi della guerra, denominato de Pas a ricordo di questo episodio). Tale sventurato avvenimento consente però al de La Moriciere di venire a conoscenza della posizione delle forze avversarie e di porre in atto le possibili contromisure per la giornata successiva.
La situazione alle prime ore del 18 settembre vede le forze pontificie concentrate a Loreto con lo scopo di arrivare ad Ancona, ma la strada postale che corre da Loreto ad Ancona e rappresenta la via più veloce è, tuttavia, impegnata dalle forze sarde.
Il 18 settembre, la prima colonna pontificia comincia a marciare da Loreto alle ore 8 e un quarto, la comanda il generale de Pimodan. La seconda alle 9 in punto. La terza segue immediatamente. Il de La Moriciere e i suoi comandanti decidono di attaccare ai fianchi dell’Esercito sardo, adottando le medesime tecniche già utilizzate in Algeria, per aprirsi la strada e permettere alle Forze Mobili pontificie di arrivare ad Ancona per poter poi resistere all’assedio. La disposizione della manovra di interposizione sarda vede il 26° Battaglione bersaglieri, sotto il comando del capitano cav. Ottavio Barbavara di Gravellona, dislocato ad Est della strada postale in posizione terminale alla confluenza del Musone con l’Aspio. I Bersaglieri del 26° non fanno parte del vecchio Esercito sardo, ma sono tutti romagnoli e ravennati (il 26° Btl. che, combatterà poi sul Po durante la Grande Guerra, è oggi inserito nell’Esercito Italiano con il nome di Castelfidardo). Le forze schierate nelle Marche sono una commistione tra vecchio e nuovo Esercito sardo come il 9° ed il 10° Reggimento della Brigata Regina.
Lo sviluppo del piano operativo negli intendimenti del de La Moriciere prevede la disposizione delle forze secondo tre colonne: quella di sinistra deve attaccare le posizioni sarde, con una manovra di 180° si deve trasformare da avanguardia in retroguardia mentre le altre due colonne, la propria e quella dell’artiglieria e dei carriaggi, sfruttando la protezione della prima colonna devono arrivare velocemente ad Ancona. Questa è la situazione sul campo intorno a Castelfidardo tra le 9 e mezza e le 10 e trenta del 18 settembre 1860. L’elemento di punta dell’attacco del de La Moriciere sono ancora una volta i Carabinieri svizzeri del 1° Battaglione.
Il generale Cialdini, già sveglio dalle tre, riceve la notizia della conquista di Camerano da parte del brigadiere Cugia con il 23° Reggimento fanteria e quattro pezzi della 4a batteria del 5° Reggimento. La presa di Camerano è fondamentale per impedire un eventuale arrivo della guarnigione pontificia da Ancona. Alla 4 e mezza si reca quindi sulla parte destra del proprio schieramento, dove si aspetta l’arrivo delle forze pontificie. Quindi alle 6 e mezza nell’area delle Crocette viene informato ed aggiornato dal generale Conte Bernardino Pes di Villamarina, comandante della 4a Divisione. Non essendovi ulteriori sviluppi, il Cialdini ritorna a Castelfidardo, dove incontra il commissario regio per le Marche Lorenzo Valerio[1] che gli da disposizioni su come controllare quello che sarà l’indomani, dopo la conquista di Ancona. Alle 8.30, finita la colazione, non avendo alcuna notizia, si reca ancora più ad Ovest, a Osimo (8 km) in quanto è la strada più breve per giungere da Recanati ad Ancona. Alle 9.30 arriva ad Osimo ed essendo sveglio dalle 3, alle 10 si mette a pranzo. Il fatto risulta di particolare rilevanza perché la tradizione narra che il generale Cialdini durante la battaglia stesse mangiando.
L’attacco pontificio a Castelfidardo è di sorpresa, la colonna d’attacco del de Pimodan, sorprende la 46a e la 44a Compagnia Bersaglieri, travolgendole. Quindi viene portato un successivo attacco alle altre quattro compagnie del 26° Battaglione bersaglieri. Sono ben 3500 uomini contro 450. I Bersaglieri vengono sbaragliati e i comandanti di compagnia uccisi, così come la metà degli Ufficiali subalterni. L’attacco viene lanciato alle 9.30 e, alle 10.30, le Forze Pontificie riescono a creare una linea e ad aprire la via per Ancona. Verso le 9.45 il generale Pes di Villamarina riceve la comunicazione da una staffetta che sono in atto dei combattimenti sulla destra dello schieramento. Il generale Pes di Villamarina tuttavia ritiene che si tratti di un attacco diversivo e, solo per sicurezza, invia due Battaglioni del 10° Reggimento, confermando di non aver dato alla notizia particolare rilevanza. Dopo un quarto d’ora arrivano ulteriori notizie in merito alla consistenza dell’attacco, si parla di 5-6 mila uomini. Questa è la fase in cui i Pontifici hanno vinto e i Sardi sono stati sorpresi.
Vengono dunque inviati altri due Battaglioni del 10° Reggimento Fanteria, comandato dal Colonnello Bossolo, e impiegato anche il 9° Reggimento, Sono inviate, inoltre, due sezioni di artiglieria, una normale ed una rigata.
La seconda batteria del Capitano Sterpone, avrà un ruolo importantissimo perché il fuoco della batteria colpisce le seconde linee pontificie gettandole nello scompiglio e impedendogli così di rafforzare la prima linea. È l’inizio della sconfitta pontificia.
Alle ore 11, il momento dell’equilibrio, le forze pontificie hanno la via aperta verso Ancona, nonostante le gravi perdite e dopo durissimi scontri corpo a corpo, riescono a raggiungere casa Serenella del Mirà a poche centinaia di passi dalla sommità del colle, dominata dal Casino Sciava, ma il de La Moriciere commette un errore: non sfrutta il vantaggio tattico e indugia sul proseguire verso Ancona con il grosso delle forze. Il generale pontificio decide invece di sostenere il de Pimodan e da l’ordine di portarsi a ridosso della prima linea, dove viene agganciato dalle forze  sarde.
L’Esercito pontificio non ha sfruttato questo elemento di successo, perché il Comandante non ha dato l’ordine di abbandonare una parte delle sue forze, per portare il resto ad Ancona, come era nel piano originario.
Il passare del tempo avvantaggia le truppe Sarde che, contando su rinforzi e rincalzi, ottengono la superiorità in uomini, facendo accorrere altre forze alle Crocette, respingendo così le truppe pontificie che si difendono con accanimento nelle cascine di Campanari e di Aquaviva, ma vengono travolte oltre la destra del Musone e costrette a riguadagnare disordinatamente Loreto, lasciando sul campo di battaglia l'artiglieria, le armi, i carriaggi e tutti i propri caduti e feriti, tra i quali Io stesso generale de Pimodan morente.
Alle 17 e mezza il generale de La Moricière, sconfitto a Colle Oro e vista la rotta delle sue forze, abbandona il campo di battaglia e con una trentina di cavalieri riesce, con rapida corsa, a guadagnare Ancona lungo la marina per Numana e Sirolo, dove è accolto dalle autorità pontificie sulla piazza di fronte alle Muse.
Degli 8500 uomini partiti dall’Umbria ne giungono ad Ancona poco più di un centinaio, quasi 5000 si portano su Loreto, mentre i restanti sbandano nella campagne marchigiane.
Approfittando della notte il generale Cialdini occupa intanto Recanati e le zone circostanti, sbarrando in tal modo ogni possibile ritirata al nemico. Il mattino dopo i pontifici, circondati, capitolano. Più di 4000 uomini con le rimanenti Guide del Lamoricière depongono le armi a Recanati.
Il 19 settembre le  truppe pontificie stanziate a Loreto si arrendono al IV Corpo d’Armata dell’Esercito Sardo che, quindi, può muovere alla volta di Ancona dove sarà la battaglia finale.
Hanno preso parte al combattimento:
-       Piemontesi, il 9° e il 10° Reggimento fanteria della Brigata Regina, l'11°,12° e 26° Battaglione bersaglieri, i Lancieri del Novara e la Brigata Dho di artiglieria, in tutto 4880 uomini, 45 cavalli e 14 cannoni;
-       Pontifici:
.   Colonna de Pimodan – il 1° Battaglione carabinieri svizzeri, 1° Battaglione cacciatori indigeni (magg. Ubaldini), il 1° Battaglione tiragliatori zuavi (Becdelievre), il 2° Battaglione austriaco e mezza batteria dell'11° (capitano Uhde con due cannoni e un obice) e l'altra mezza batteria (tenente Daudier);
.   Colonna de La Moricière – il 1° Reggimento stranieri e la cavalleria;
in tutto 6800 uomini, 45 cavalli e 16 pezzi di artiglieria.
Riepilogando: i pontifici riescono a vincere a Castelfidardo perché sorprendono il generale Cialdini lontano ad Osimo, Pes di Villamarina non comprende come sta evolvendo la situazione, i Bersaglieri del 26° battaglione vengono in breve sbaragliati ma, sebbene la strada fosse libera, i pontifici indugiano, perdendo quasi 20 minuti. Alle 11.30 viene ferito il generale de Pimodan, entra in azione l’artiglieria rigata sarda, le truppe pontificie vengono agganciate da quelle sarde in superiorità numerica e inizia lo sbandamento: qui è l’origine della sconfitta dei pontifici.
Il de La Moriciere, ancora convinto che i Francesi stiano imbarcando a Tolone, vuole portarsi ad Ancona e resistere in attesa dell’imminente aiuto delle Potenze amiche. Questo è il combattimento di Loreto per i pontifici.
Nella versione dell’Esercito sardo lo scontro di Castelfidardo è una lezione al nemico. Nel pomeriggio del 18 settembre, la carica dei Lanceri di Novara nella pianura, i Pontifici si ritirano su Loreto, i dati dicono che su 8500 uomini che dovevano arrivare ad Ancona, 5000 rifugiano a Loreto, gli altri si sbandano, ad Ancona giungono solo 127 uomini. Questa è la sostanza della vittoria sarda a Castelfidardo.
Il generale Cialdini impedisce l’arrivo ad Ancona delle Forze Mobili del de La Moriciere per la battaglia conclusiva. Se fossero giunti tutti gli 8500 uomini partiti dall’Umbria, uniti ai già presenti 7000 sarebbero stati quasi 15 mila uomini ed Ancona sarebbe stata inespugnabile e l’assedio si sarebbe protratto per mesi.
Tuttavia, la sera del 18 settembre il generale Cialdini comunica la situazione e predispone tutte le sue truppe per l’assalto a Loreto, non avendo la minima percezione di ciò che realmente è accaduto nella giornata e di quello che significa la vittoria di Castelfidardo. Infatti, la tradizione riporta che il generale Cialdini nei momenti dello scontro è alla Trattoria del Moro ad Osimo, fuori porta Vaccaro come riporta il Giacomo Gallo, testimone dell’epoca. Quando il generale Cialdini giunge alle Crocette, intorno alle 12 e mezza, tutto è finito. Quindi la tradizione riferisce che il generale Cialdini non è sul campo di battaglia, anche se, come comandante in capo del Corpo d’Armata, non deve svolgere i compiti dei propri subalterni. In definitiva, secondo le sue direttive, il generale Pes di Villamarina esegue l’ordine di non far passare nessuno dei pontifici sulla strada per Ancona mentre l’ammiraglio Persano nel frattempo bombarda Ancona.
Il giorno successivo le truppe pontificie si arrendono ed il generale Cialdini comprende, non solo di aver veramente vinto, ma anche l’effettiva entità di ciò che era accaduto il 18.
Ancona rappresenta la battaglia finale della campagna delle Marche e dell’Umbria. L’ordine per il IV Corpo d’Armata è quindi di dirigere verso Ancona. Il V Corpo d’Armata, al comando del generale Morozzo della Rocca, non ha quindi più ostacoli lungo la propria direttrice Sud e, passando da Perugia attraverso gli Appennini, via Foligno, Colfiorito e Macerata, giunge in prossimità delle linee di difesa della piazzaforte di Ancona per partecipare all’assedio.
Il 23 settembre la Reale Flotta pone in atto il blocco del porto e della città di Ancona, il giorno successivo giungono sia il IV che il V Corpo d’Armata, Manfredo Fanti assume, quindi, il comando di tutte le forze d’invasione e dirige le operazioni di assedio alla piazzaforte di Ancona, stabilendo il proprio Stato maggiore a Villa Favorita, sotto Candia.
La città è protetta da due linee di difesa: una esterna che si appoggia sui forti Scrima, Monte Pulito, Monte Pelago e Pietralacroce; una interna che corre dal Cardeto, ai Cappuccini, lungo le mura ove si aprono le porte Farina e Calamo, alla valle degli Orti, all’Astagno con la Cittadella, che fornisce sostegno al cosiddetto campo trincerato, che include la Lunetta Santo Stefano e verso nord Porta di Capodimonte e Porta Pia, fino a mare con il Lazzaretto.
Lungo il porto ci sono i bastioni di Santa Lucia e d’Agostino fino al molo, in cui si erige la Lanterna che regge la catena collegata al molo a Sud.
La prima linea, difesa da appena 450 pontifici, viene investita dal V Corpo d’Armata ed è in breve abbandonata per l’insufficienza numerica degli uomini a disposizione del De Courten (4000 uomini), che conta appena la metà di quelli necessari. Le truppe di Morozzo della Rocca con i fanti del 40° Reggimento conquistano il Forte di Pietralacroce e, quindi, proseguono verso Monte Pelago, ma a Monte Pulito sono fermati.
Il Fanti bombarda con accanimento la Cittadella ed il campo trincerato dal Forte Monte Pelago per costringere la piazza d’Ancona ad arrendersi, mentre l’Esercito pontificio tenta di resistere il più a lungo possibile, nella speranza che le Potenze amiche raggiungano Ancona, rovesciando così gli esiti della battaglia e riportare la guerra in campo aperto.
Il rapporto di forze tra i due eserciti è di 30-40 a uno a favore dei Sardi. Nel giro di due tre giorni le difese esterne di Ancona vengono prese, il IV Corpo d’Armata muove lungo la strada per Portonovo e il V Corpo d’Armata verso la strada per Bologna.
(2)  Le operazioni navali.
Il 17 settembre, l’ammiraglio Persano, concordate le linee d’azione con il generale Cialdini per le operazioni del giorno successivo su Ancona, rientra presso la propria flotta.
Il compito della Flotta Reale Sarda è di trattenere la guarnigione pontificia di Ancona, 4000 uomini al comando del de Courten, e impedirgli di ricongiungersi alle forze pontificie provenienti dall’Umbria al comando di de La Moriciere. L’ammiraglio Persano deve, quindi, presentarsi il 18 settembre davanti al porto di Ancona e bombardare i forti e minacciare sbarchi, costringendo così il de Courten a non tentare sortite fuori della piazzaforte. L’azione della flotta Sarda permette al Cialdini di contenere, prima, e poi disperdere le forze di de La Moriciere a Castelfidardo.
Il Persano, secondo il volere di Cavour, tenta di prendere Ancona dal mare con dei colpi di mano e perciò cala in acqua delle lance la sera del 25 settembre per tentare la presa delle posizioni sul Lazzaretto. Tali azioni, sebbene infruttuose, facilitano l’assalto dei Bersaglieri del IV Corpo d’Armata che il 27 settembre riescono a conquistarlo, privando la difesa del porto del proprio pilastro Sud.
È l’azione della Flotta Reale, al comando dell’ammiraglio Persano, che permette la rapida capitolazione di Ancona in soli quattro giorni (dal 25 al 29 settembre), contrariamente a ciò che poi avverrà a Gaeta.
Le principali unità navali della Flotta sarda (il Maria Adelaide, il Governalo, il Costituzione e il Vittorio Emanuele) avviano il bombardamento contro costa in maniera coordinata e contemporanea al cannoneggiamento da terra. Tutto il perimetro di difesa della piazza di Ancona è oggetto di attacco interforze.
La mattina del 28 settembre, infatti, l’ammiraglio Persano, sul Maria Adelaide, ordina una azione per saggiare le difese della piazzaforte di Ancona e consentire di mettere a punto l’attacco di terra, in quanto sia il IV che il V Corpo d’Armata sono ormai a ridosso della città. Il Persano invia la nave Altavilla a bombardare il forte Pietralacroce, il Capo di Monte la Cittadella e lo Scrima quello dalla Posatora. Le navi iniziano a manovrare e, in breve, danno inizio ad un tiro preciso e mirato. Al tempo, Il tiro controcosta è effettuato ancorando la nave per dare agli artiglieri la massima stabilità per non condizionare la precisione del tiro. Tuttavia, quel pomeriggio, un vento teso di scirocco rende difficoltoso stabilizzare le navi e il Vittorio Emanuele II del Capitano Albini viene portato fuori dalla linea del tiro. Il generale Fanti, notando che il Vittorio Emanuele è fuori dalla linea di tiro e non prende parte al bombardamento, esprime il proprio disappunto all’Ammiraglio della Flotta tramite segnalazione ottica dal posto comando. L’Albini a questo punto, in un moto d’orgoglio chiede libertà di manovra. Il Vittorio Emanale II ottenuta la libertà richiesta, alza le vele e manovra per rientrare nella formazione della Flotta. La manovra del Vittorio Emanuele II è all’origine della capitolazione di Ancona. L’Albini punta diritto sulla Lanterna e, passando a solo cinquanta metri dall’istallazione, fa fuoco ad alzo zero in sequenza con tutti i suoi cannoni che provocano l’esplosione della Santa Barbara, distruggendo la struttura che regge la catena. La manovra di “tiro controcosta con nave in movimento” è diventata una delle manovre principali della Marina Italiana, studiata in seguito anche dalla Flotta Reale inglese.
Alle 16 pomeridiane del 18 settembre il porto è aperto e libero per l’azione delle compagnie da sbarco della Flotta.
Il de La Moriciere che ha atteso invano durante i 10 giorni di assedio l’arrivo dei rinforzi[2], comprende che non arriverà più nessuno e quindi ordina la resa.
Al momento dell’ordine di resa, una regia nave sbarca una compagnia di bersaglieri sul pontile del porto di Ancona che, poi, entrano in città e ne determinano di fatto la resa.
2.     CONSIDERAZIONI FINALI.
Dopo dieci giorni di combattimenti le truppe pontificie si resero conto che dall’Austria e dalla Francia non sarebbero giunti aiuti e si arresero. Alle 16 e mezza da tutti i forti di Ancona si alzò la bandiera bianca. La resa fu firmata il 29 settembre a Villa Favorita, sede del comando di Fanti.
Ancona, in sostanza, venne presa dal mare, ma la coordinazione dimostrata sia dalle forze di terra condotte dal generale Fanti, sia da quelle navali dell’ammiraglio Persano che condusse anche sbarchi di forze dal mare, ha consentito la rapida capitolazione della piazzaforte comunque ben difesa. Come già accennato, la Battaglia di Ancona è una delle poche occasioni del XIX secolo in cui si ritrova una consistente unità di comando e tutte le componenti coinvolte nelle operazioni sono riuscite a coordinarsi. Può definirsi come il primo esempio di operazione interforze a due dimensioni.
Fondamentale per l’operazione interforze è il fatto che il generale Fanti pone sotto il suo comando il generale Cialdini (IV C.A.), il generale Morozzo della Rocca (V C.A.) e l’ammiraglio Persano (Flotta Reale) e porta un comando tattico alla Posatora da dove si domina tutta Ancona. L’azione del generale Fanti realizza la cosiddetta unità di comando che, come già detto, non si realizzerà nel 1866 (III Guerra d’Indipendenza).
L'esercito mobile dei pontifici era distrutto. La via del Sud era aperta alle truppe di Cavour e di Vittorio Emanuele. Lo scontro di Castelfidardo costituì un’importante tappa liberatrice: come Solferino lo era stato per le province lombarde. Grazie a quel avvenimento le Marche e l’Umbria entravano a far parte di una comunità più grande, quella dell’Italia che si stava unificando.
Senza Castelfidardo non sarebbe stato pensabile, esattamente dieci anni dopo, Porta Pia.




[1]  Lorenzo Valerio era un deputato, era l’agente di Cavour (il politico che controlla il militare). Uomo politico, giornalista e scrittore, Valerio fu tra i capi del movimento liberale piemontese durante il Risorgimento. Costretto all'esilio per le sue idee innovatrici, ritornò in patria nel 1836 e si interessò della cultura popolare e delle relazioni sociali nel mondo del lavoro. Nel 1837 fondò il quotidiano «La Concordia» (1848), che con la sua direzione apparve come giornale di ispirazione democratica, aperto ai tempi che stavano maturando. Fra i collaboratori, Federico Menabrea e Roberto d'Azeglio.
Nel 1836 aprì il settimanale «Letture Popolari» con rubriche di arti e mestieri, poi soppresso dalla censura nel 1842, che risuscitò con la nuova testata «Letture di famiglia». Deputato, senatore (1862) Valerio è prefetto a Messina e a Como.
[2]  Il 7 settembre la flotta austriaca aveva infatti effettuato una ricognizione davanti ad Ancona, inducendo pertanto il de La Moriciere a sperare in un aiuto dell’Austria che ha atteso invano. 

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