L'Ultima difesa pontificia di Ancona . Gli avvenimenti 7 -29 settembre 1860

Investimento e Presa di Ancona

Investimento e Presa di Ancona
20 settembre - 3 ottbre 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860
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Onore ai Caduti

Onore ai Caduti
Sebastopoli. Vallata di Baraclava. Dopo la cerimonia a ricordo dei soldati sardi caduti nella Guerra di Crimea 1854-1855. Vedi spot in data 22 gennaio 2013

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860
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La sintesi del 1860

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Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il Volume di Massimo Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, 18 settembre 1860, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009, pagine 332, euro 21, ISBN 978-88-6134-379-5, è disponibile in
II Edizione - Accademia di Oplologia e Militaria
- in tutte le librerie d'Italia
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domenica 21 dicembre 2014



a tutti i lettori di questo blog
auguriano un sereno Natale 
e
un Anno Nuovo denso di realizzazioni

mercoledì 19 novembre 2014

Una nota per il "Cittadino", giornale che si pubblicava a Jesi negli anni '90 del secolo scorso

RISORGIMENTO
IL TRIONFO DEI BARONI DI CAMPAGNA
 La storia come scorciatoia al potere

La commemorazione annuale della repubblica Romana e dei suoi significati e dei suoi valori, così come la ricorrenza del 20 settembre in cui si pose finalmente fine al potere temporale dei Papi in Italia, quest’anno assumono aspetti particolari perché ricorre il 150° anniversario della nostra unità nazionale. Sono anni, se non decenni, che sui temi del Risorgimento siamo soli e in pochissima compagna. Da quando, prima Rosario Romeo, poi Giovanni Spadolini ci hanno lasciato, e qualcuno, che ha usurpato i loro posti, si è assiso come giuda nelle sponde avverse, si è sempre più soli. La Storia del Risorgimento non è più insegnata da metà degli anni ottanta del secolo scorso nelle nostre scuole di ogni ordine e grado. Rimangono dei simulacri di insegnamento frutto più della commentizia di bassa lega che altro. Cavour Vittorio Emanuele, Mazzini, Garibaldi e basta. Se citi Cosenz, Bertani, Bandi, il vuoto e il deserto, altro non cè. Le nuove generazioni sono analfabete anche in questo campo; non per altro il fenomeno leghista ha la sua genesi in tutto questo, rivolto come è ai riti celtici, al dio Po, all’odio per Roma, all’acqua della sorgente ed altri retaggi di tribù nord europee che una volta si chiamavano barbare. 
Con il 150° in avvicinamento si è assistito ad un interesse risvegliato per il nostro processo unitario. Questo interesse dei più, spesso legittimo e disinteressato, ha svegliato la cupidigia di elementi, sempre alla ricerca di scorciatoie per il potere e le prebende sostanziose. Quindi abbiamo visto la discesa in campo, senza lacci e laccioli, di personaggi che, sentito dire e letto qualche libro, spargono il verbo risorgimentale alle folle interessate ma ignoranti. Si è visto di tutto e sicuramente attendiamo con ansia la grande kermesse del 17 marzo per vedere questi personaggi  all’opera, tronfi e ben pasciuti che straparlano della nostra unità nazionale. E’ prassi quasi ogni giorno di leggere la “grande scoperta”, il documento inedito, la grande rilevazione che costoro propinano tramite la accondiscende e pari nell’ignoranza stampa locale: non sapendo costoro che già a fine ottocento e poi ripreso negli anni successivi l’argomento era stato ampiamente studiato e divulgato. Ultimamente sul Corriere della Sera, una intera pagina è stata dedicata al passaggio della Marche dallo stato preunitario allo stato unitario. A tutto titolo si asserisce, da parte di uno dei tanti baroni di campagna oggi all’opera, che i vincitori hanno dimenticato la “battaglia di Castelfidardo” perché ”Cavour non volle clamori per non irritare l’Europa” come se le potenze europee avrebbero agito in base alla intensità dei “clamori piemontesi”. Ennesima favola, una delle tante, su questa “battaglia”. Data la novità dell’asserzione, si è avviata  un’ ampia ricerca nel carteggio del Cavour per trovare un qualche appiglio di questo assunto. Abbiamo studiato per oltre trent’anni la vita e l’opera del nostro Primo Ministro, ma non abbiamo trovato mai questo suo orientamento. Ma la nostra ignoranza è tale che  sicuramente in qualche angolo non esplorato ci sarà pure questo assunto e siamo grati chè, anche senza indicare alcun riferimento, qualcuno ci illumini. Ma il dubbio che sia l’ennesina “bufala” è forte.
Dai baroni di campagna ai baroni universitari il passo è breve ed anche questo non ci viene risparmiato. Si battono paesi, campagna e villaggi a diffondere il verbo risorgimentale, in una grande macedonia tra storia moderna, storia contemporanea storia locale ed anedottica. Il faro è la cattedra di Storia del Risorgimento di una università marchigiana, che si presenta come la stella polare di ogni cosa. Tutto discende da lì, e chi non è in sintonia con il verbo scientifico universitario, come prassi, è bollato e vituperato. Del resto, conoscendo il mondo universitario, occorre raccogliere l’acqua quando piove, perchè la siccità è dietro l’angolo. E siccome di sete se né patita tanta, guai a chi cerca di sottrarre una solo goccia di pioggia. Anche se nelle pubblicazioni, presentate con enfasi e sussiego,  il metodo storico in tante parti è disatteso o ignorato, per buona pace di Chabot. 

Del resto una Regione che non riesce a imporre, per il 150° anniversario, a livello nazionale il fatto che ad Ancona si pubblica e si stampa un giornale risorgimentale, fondato da due reduci Garibaldini nel 1870,  protagonista delle lotte sociali di fine ottocento, con Nenni, repubblicano, direttore, partecipe e fautore della quarta guerra d’indipendenza contro il nemico ereditario,  in prima fila nella guerra di liberazione e per tutto il settantennio repubblicano,quale altra spiegazione dare che siamo in mano a baroni di campagna, che utilizzato questo momento commemorativo per prendere scorciatoie e lucrare  prebende. Come sempre, del resto. La speranza è che questa data passi in fretta e si possa ritornare agli studi risorgimentali in pace, senza sentire tutto questi cicalecci e clamori, vedendo i baroni di tutte le risme volgersi ad altre greppie. La conclusone è amara: con il 150° si è persa una occasione; ma anche questo fa parte di quella decadenza morale, etica, sociale ed economica  e di degrado che stiamo vivendo, ma che non vogliamo ammettere nemmeno a noi stessi, convinti di essere un Paese ricco, evoluto, progredito, democratico e civile.  

mercoledì 12 novembre 2014

Il Ruolo del Rancio. il 18 settembre 1860


In un convegno di alcuni anni fa, ne trattare della gavetta, si pose l'accento su come fosse essenziale per un soldato avere una alimentazione regolare e ben equilibrata, senza che la popolazione locale, in operazioni, ne fosse coinvolta.
 Il Servizio di vettovagliamento ha una lunga storia. Della sua importanza si parlò al predetto convegno, portando l'esempio della sua incidenza nello scontro del 18 settembre 1860.
I Pontifici, dopo aver ascoltato la Messa e presa la comunione, che a quel tempo prescriveva il digiuno dalla mezzanotte, in aggiunta ed anche per le carenze logistiche di Loreto, scesero nella pianura a stomaco vuoto.
I Sardi, che erano già all'armi dalle prime luci dell'alba alle 8,30-9 consumarono il rancio.
Quando alle 9,20 si ebbe il contatto a fuoco, ed iniziarono i combattimenti, gli uni erano a stomaco vuoto e gli altri a stomaco pieno.
 Essendo il combattimento anche uno sforzo fisico, oltre che psicologico, si può arguire che, nel momento del cedimento dei Pontifici, intorno alle 13, questo aspetto possa avere avuto la sua incidenza.


mercoledì 29 ottobre 2014

Volume: Die Gendarmen des Papstes di Ulrich Nersinger

Grazie alla sensibilità dell'autore, con cui si è in contatto da anni, abbiamo avuto il volume qui sopra riprodotto, Daremo un resoconto dei contenuti appena letto. Per chi volesse avere ulteriori informazioni, può contattarci tramite:
57sessione@libero.it 

giovedì 2 ottobre 2014

Un discorso a favore delle Istituzioni

Riportiamo il testo base della relazione svolta alla inaugurazione della Mostra sul Risorgimento svolta a Pietralacroce (Ancona) in occasione dei Centocinquanta anni dell'Unità d'Italia. Un discorso valido allora come valido oggi.


Sosteniamo i nostri uomini politici, per continuare ad essere liberi
 Presentando la mostra del Risorgimento a Pietralacroce
La data anniversaria del passaggio delle Marche dallo stato preunitario allo stato nazionale è una occasione per fare alcune riflessioni sul rapporto che oggi è in essere con i nostri rappresentanti politici. E’ prassi che ogni cosa di negativo venga riversata ed imputata ai nostri rappresentanti nelle diverse istituzioni.
Io sono del parere, di contro, che questo rapporto di negatività, almeno a livello locale, deve essere invertito. La nostra Repubblica ci permette di eleggere i nostri rappresentanti ad intervalli regolari e per un periodo di tempo stabilito. Essi hanno il compito di “governare” la nostra collettività, ovvero fare delle scelte nell’interesse superiore della collettività stessa. E’ uno dei mestieri più difficili del mondo, in quanto fare delle scelte in presenza di esigenze pressoché illimitate a fronte di risorse pressoché limitate se non esistenti, comporta sempre scontentare la maggioranza di noi.
Ma se così non fosse, noi non saremo in Repubblica. Occorre sostenere i politici, i quali devono agire secondo scienza e coscienza per il bene superiore della collettività. E se ciò si avvera, allora possiamo ben dire che il nostro sistema politico funziona. E questo, che non è utopia, deve funzionare, in quanto non ci sono alternative:abbiamo già avuto nel ‘900 un uomo della provvidenza e sappiamo tutti come è andata; in questo secolo un altro si sta candidando ad uomo della provvidenza per mezzo di una comunicazione drogata, ma si spera di non veder rinnovare i misfatti del primo.
Se noi sosteniamo i nostri rappresentanti, abbiamo la certezza, fin che ci sono loro ed agiscono, che continueremo ad essere uomini liberi. La loro presenza è la nostra prova tangibile di libertà.
Certamente i problemi non mancano. Abbiamo politici che intendono la politica come il mezzo per curare alla grande i loro interessi, altri che sono veri e propri delinquenti pluricondannati, altri ancora impresentabili facendo del tradimento e del non mantenere la parola data uno dei loro modi di agire: tutto contribuisce  a quel degrado tra rappresentati e rappresentanti che sotto è gli occhi di tutti.
Ma il punto non è questo. Anche dal letame può nascere un fiore.
Dobbiamo spronarli ad avere la forza di scegliere, cercando di far comprendere a tutti che occorre ancorarsi ad una solita etica ed  ad una ancor più solida morale, a prescindere dalla ideologia, che ormai ha mostrato tutta la sua inconsistenza. Occorre sostenerli ad intendere la politica come sintesi dei problemi diversi, economici, sociali, internazionali e quant’altro, e non come mera spartizione di beni per i loro interessi.
Oggi il degrado a cui si assiste nel rapporto sopra detto è perché la politica ha progressivamente perso il collegamento con le capacità di analisi di interpretazione e di intervento in sintesi ha perso lo spessore culturale. Noi dobbiamo convincere i nostri rappresentanti a recuperare questo rapporto nell’interesse di tutti, ma soprattutto nel loro interesse., in quanto le scadenze elettorali sono cadenzate e senza consenso non si ottiene alcunchè.
Per governare e governare bene , ovvero per fare delle scelte ci vogliono conoscenze approfondite, quadri di insieme, prospettive lungimiranti, ovvero è necessaria una classe dirigente locale che sia espressione di etica, di morale, di cultura, intesa questa nel senso più ampio del termine.
Quando ci si allontana da questo, il degrado e la decadenza, oltre alla povertà di moltissimi e la ricchezza di pochissimi sono fenomeni consequenziali, e per la collettività locale e per la Nazione.
La data anniversaria della nostra unità nazionale ci spinge su questa strada, sulla convinzione che i nostri eletti vanno aiutati a fare bene il loro mestiere. Se ci si riesce allora, e lo ribadiamo ancora una volta, noi continueremo ad essere uomini liberi e a continuare a godere di quella libertà che i nostri padri ci diedero con  l’avvio ed il compimento del processo unitario nazionale che in questi mesi stiamo ricordando e celebrando.

 Massimo Coltrinari

giovedì 25 settembre 2014

Una ricerca da riprendere: L'azione del Servizio Segreto Pontificio nel 1860

riportiamo per i giovani studenti un articolo dedicato alla ricerca da riprendere apparso sul Messaggero, eizone di Ancona nel 2011.

UCCIDETE GARIBALDI!
Le spie del papa contro l’eroe che progetta l’attacco ad Ancona   
di Sergio Sparapani
 
“Occorre rapire o uccidere il mostro. Io vi garantisco della riuscita”. Chi è il mostro secondo tal F. De Vezzani che scrive da Verona a monsignor Tancredi Bellà, governatore pontificio a Pesaro? E’ la bestia nera del pontefice, il nuovo Silla nemico di Dio, colui che chiude le case del signore e arresta i suoi ministri. Niente meno che Giuseppe Garibaldi

In quei giorni alla fine di ottobre del 1859, il mostro, comandante in seconda della lega degli Stati centrali (comandante supremo è Manfredo Fanti), pianifica la conquista di Ancona a partire dalla Romagna. Vuole raggiungere Napoli e la Sicilia attraverso le Marche e la nostra piazzaforte si conferma strategica anche in questo disegno. Secondo il Natalucci “malgrado la vigilanza severa della polizia ad Ancona si compiono vari tentativi di insurrezione. Per le difficoltà di impadronirsi della cittadella, il Comitato di Rimini ai primi di novembre de 1859 prepara un moto rivoluzionario che deve partire da Pergola, Fossombrone, Jesi, Sassoferrato e Fabriano, mentre Garibaldi avrebbe marciato oltre confine”.

Sulle tracce di Garibaldi c’è però l’efficiente servizio segreto pontificio diretto dal cardinale Antonelli, che dispone di una formidabile rete di agenti e informatori delle parrocchie. A giudicare dai documenti l’eroe dei due mondi è circondato dalle spie del papa. In una corrispondenza clandestina al delegato apostolico a Pesaro, si fanno i nomi. C’è Cennì, aiutante di campo di garibaldi, Roselli, generale a Rimini, Vincenzini, capitano presso Fanti (“farà tutto ciò che voi ordinerete. Egli attende!!”), persino il cuoco di Garibaldi: “è mia conoscenza fin da Parigi e pel denaro avvelenerebbe Gesù Cristo”. Strane parole queste ultime per un devoto. Poi ci sarebbe un generale disposto a vendersi se sua santità “gli dà 200 mila franchi e il grado di comandante in capo a Roma”.

Il De Vezzani si spinge oltre con i particolari: “Un aiutante di campo di Garibaldi, che ha sua madre a Roma, s’incarica di darmelo nelle mani in una vettura. Quest’aiutante ha sua madre, che è ricolma dei benefizi del santo padre. Il generale Garibaldi sorte tutte le sere a passeggiare solo alla campagna; tutte le volte che va a Bologna e a Modena, vi va sempre di notte: un solo aiutante da campo lo accompagna. Oppure a Rimini (dove Garibaldi arriva il 17 settembre e arringa la folla contro i preti). Ogni mezzo è buono: pugnale, stiletto o veleno…     

Ma chi è il delgato apostolico Tancredi Bellà? E’ l’animatore dell’ultima resistenza papalina, quella del giugno 1859, che stronca la ribellione nell’Umbria e nelle Marche. Uomo risoluto ed energico, perde tuttavia la Romagna che il 7 settembre è annessa al Regno di Sardegna. Uomo di complotti e segreti, reazionario e inviso al popolo, cederà al corpo d’armata di Cialdini un anno dopo per finire prigioniero a Bologna e Torino.    

Sta di fatto che il tentativo di Garibaldi su Ancona è prematuro. Contrario è il governo piemontese che teme l’intervento di Napoleone III. Si oppone il generale Fanti e Garibaldi riflette su un piano differente, via nave dalla Liguria che mette in atto giusto centocinquanta anni fa. Ad Ancona, intanto, i piani dei patrioti, scoperti dalle autorità pontificie, provocano un inasprimento delle misure di polizia. L’insurrezione non si farà mai ma nel giro di un anno, grazie alle armate sarde, la città farà parte della giovane nazione. E le spie papaline? Con scarso successo continueranno a spargere il seme …

 

 

lunedì 22 settembre 2014

Monografia. 1984. In ricordo di alcuni giorni indimenticabili del 1977

In questo giorni, nel 1977, era ospite a casa ad Ancona l'ambasciatore d'Anethan, dopo una sessione del Nato Defence College in cui facemmo amicizia. Nel giugno precedente, quando Laura nacque, eravamo alle isole Lofoten, dopo aver visitato Bergen e Bodo. Parlavamo molto degli avvenimenti del 1860, e, giunti a Bruxelles, in particolare al suo castello di Gringen acquisii molto materiale d'archivio su quelle vicende. La sua venuta in Ancona fu breve, non lo presentai a nessuno e quindi feci bella figura, al contrario delle visite successive in cui "magre" si susseguirono a "magre" che Lui fece finta, da gran Signore quale era, di non rilevare e vedere. Ma il contesto era quello che era. Una vicenda gli era particolarmente cara. Una storia marginale che riuscimmo a ricostruire e che gli fece piace. Nel ricordo di momenti bellissimi e cari, riportiamo quella pubblicazione, naturalmente accolta dagli indigeni nella classica indifferenza, ma che abbiamo avuto il piacere di vedere in bella mostra in un recente convegno proprio nella Sua patria belga.
(mc) 
 
                                 La Morte del gen. De Pimodan e l’enigma della sua sciabola

 di 
Massimo Coltrinari[1]

Il Gen. De Pimodan, capo di Stato Maggiore dell’Esercito Pontificio fu ferito mortalmente alle 11, 30 del 18 settembre 1860, al momento di condurre l’ennesino assalto contro le truppe sarde del generale Pes di Villamarina sulle pendici di colle Oro, tra Loreto e le Crocette, nel tentativo messo in atto dal Comandate in capo dell’Esercito Pontificio, gen. De La Moriciére, di portare le truppe operative e mobili dall’Umbria ad Ancona. Qui chiudersi nella piazzaforte dorica ed attendere l’aiuto delle potenze alleate ed amiche, Francia ed Austria, e quindi sconfiggere l’invasione messa in atto dalle truppe del Re di Sardegna al comando del gen. Manfredo Fanti. Nella nostra storia risorgimentale è la Battaglia di Castelfidardo. Ne retaggio dei legittimisti pontifici è l’epopea della crociata a difesa del potere temporale dei Papi. Questo scontro ebbe riverberi ben marcati per oltre mezzo secolo, e solo nel 1929 con il Concordato vi si pose termine. La Questione Romana segnò e caratterizzò oltre cinquant’anni di vita unitaria. E’ questa contrapposizione la si può cogliere anche in un occasionale fatto, come la vicenda della sciabola che il Gen. De Pimodan aveva sul campo di battaglia il 18 settembre. La ricostruzione di quegli avvenimenti, a scontri ormai composti, è oggetto di questa nota.

Il Racconto del Col. Dovara e la polemica con “La Fedeltà”

“La battaglia era finita. Non si sentivano più che – qua e là – pochi e rari colpi di fucile e le trombe nostre che suonavano ripetutamente: ‘ cessate il ‘foc’, ritirata, assemblea, passo di corsa. Poco lungi, un gran polverone: uno scalpito rumoroso e il nitrito allegro dei cavalli. Era ‘Novara Cavalleria’ che,  al trotto allungato,  muoveva all’inseguimento dei corpi nemici sbandati nella sconfitta.”
Così inizia un suo articolo il Colonnello dei Bersaglieri Angelo Dovara apparso su La Grande Italia del 12 marzo 1911 e ripreso dal foglio, cattolico e legittimista, “La Fedeltà” del 12 marzo 1911 riguardante gli avvenimenti del 18 settembre 1860 [2](16).
La radunata, intanto, delle compagnie 41°, 42°, 43° - proseguì Dovara – si stava effettuando. Erano in pensiero per la 44° che, staccata fin dall’alba dal battaglione, era stata fortemente impegnata sulla sinistra verso il mare ed erano corse su di essa le più brutte notizie.Come succede ad ogni fine combattimento le accoglienze erano fatte a coloro che, via via, giungevano e i più strani commenti si facevano intorno alla battaglia.Una voce sola, generale, proclamava i bersaglieri del 26° che per due lunghe, eterne ore – avevano sostenuto – da soli – l’urto all’avanguardia nemica condotta dal Generale Pimodan e resistito agli attacchi furiosi ed ostinati di un numeroso ed agguerrito nemico.Eravamo riuniti in gruppo parecchi Ufficiali ad attendere il momento della partenza, intanto ognuno a dire la sua, quando insieme ad alcuni bersaglieri tornò anche il nostro dottore Viaroli che, non molto distante da noi, aveva trovato disteso al suolo un Generale nemico gravemente ferito e lo aveva curato.Era il Generale Pimodan, comandante in seconda dell’esercito pontificio.Una cassetta dei ferri chirurgici che stava lì al suo fianco provava che era stato vigliaccamente abbandonato da tutti – persino dai suoi medici. Al dottore Viaroli, tenete medico del nostro battaglione – chirurgo valente quanto soldato coraggioso – riuscì facilissima l’estrazione del proiettile dalla gravissima ferita. Il benessere, la gioia provata, in quel momento, dallo sfortunato generale, furono così grandi che egli, dopo aver voluto esaminare il proiettile – una pallottola da carabina da bersagliere – e postoselo in tasca, presa la sua sciabola, la porse al dottore, pregandolo di accettarla in dono e conservarla per suo ricordo.Il dott. Viaroli, durante tutto il tempo che rimase con noi all’11 battaglione e dopo, cinse sempre – con giusto orgoglio – quella sciabola sostituendo alla impugnatura francese la nostra allora in uso.
Dovara, nominato Direttore del Museo dei Bersaglieri nel 1908, fece delle ricerche e chiese alla Signora Sartorio, vedova del Dott. Viaroli, che la sciabola del marito fosse donata al Museo del quale era Direttore. La Signora acconsentì; l’atto di donazione fu sottoscritto e la sciabola consegnata insieme ad altri ricordi[3] (17).
A commento dell’articolo di Dovara, il foglio “La Fedeltà”, pubblicò la seguente Nota..
Nota della Direzione del nostro giornale. Non vogliamo fare polemiche né commenti. Faremo soltanto osservare che il Generale De Pimodan, stante la gravità delle riportate ferite, non fu possibile trasportarlo a Loreto, ma fu condotto in una vicina casupola della Santa Casa di Loreto, (ora di proprietà della famiglia Pimodan) dal suo Aiutante di campo Capitano Conte Carpegna cui il generale donò il proprio cavallo, e dai suoi ufficiali di ordinanza, le guide Principe di Ligne e Conte de Rainveille, che non l’abbandonarono mai. Di più c’era il sergente maggiore dei Franco – Belgi, Ernesto Maestraeten, valente chirurgo di Lovanio, che nello scoprire le ferite del Generale vide che erano mortali e non potendo fare altro cercò in mille guise di lenire i di lui dolori atrocissimi. E questa è storia. In quanto alla sciabola, di cui è parola nell’articolo che abbiamo riportato, risponderà, se lo crederà opportuna, la Famiglia de Pimodan.”[4] (18)
E’ bene precisare che gli aiutanti di campo del generale, per vari motivi, non ebbero modo di assisterlo durante il pomeriggio del 18 settembre né tanto meno di essere presenti al momento dell’operazione chirurgica. Nella Biografia del gen. De Pimodan vi è scritto: “Cepandant, le soir le vicomte Joseph de Rainneville, aide de camp dei Pimodan, et le prince Fdauard de ligne, officier dans le corps allemand des chevaulégers obtenir de Cialdini l’autorisation réfusée une premiére foi. Environ une huere de matin MM. De Rainneville et de Ligne purent efin pénétrer dans la chambre de de Pimodan.[5] (19).
All’articolo del Dovara così rispose la famiglia de Pimodan sul numero successivo della Fedeltà.
In relazione a quanto osservammo nel passato circa la sciabola del generale de Pimodan, l’illustre Duca de Rarecourt – Pimodan, figlio primogenito dell’eroe ci ha trasmesso la seguente nota:
‘Le genéral de Pimodan possedait naturellement plusierus armes sabres et épées. La sabre qu’il portait au momento où il fut mortellement blessé à la tête des troupes sur le champ de bataille de Castelfidardo fut rapporté ne France par M. le viscomnte de Rainneville aide de camp du général et remis à la famille de Pimodan qui le conserve piusement  [6](20).
La famiglia del generale, quindi, sostiene che de Rainneville portò la sciabola di de Pimodan in Francia.

La versione del Generale Emilio Castelli

Il Generale Emilio Castelli, che partecipò alla campagna delle Marche nello Stato Maggiore del Cialdini come Ufficiale addetto, ritenne suo dovere intervenire nella vicenda, dopo aver preso visione dell’articolo apparso su “La Patria”.
Pubblico la sua versione apparsa sul Giornale di Vicenza. Questa versione fu ripresa dalla Rivista  “Picenum”, nel numero dedicato al Cinquantenario di Castelfidardo.
Dopo aver riportato l’essenza dell’articolo, Castelli si interroga sul suo contenuto:
E’ possibile tutto ciò? Non è anzitutto vero che sia stato abbandonato da tutti e perfino dai suoi medici; e il dott. Viaroli non poteva aver trovato, alla fine della battaglia, per caso, un generale disteso al suolo gravemente ferito, che dopo poche ore moriva, ed estrarne tanto facilmente la palla. Io ho trovato, quando la battaglia non era ancora finita, il Generale coricato in un grande letto contadinesco, regolarmente spogliato e premurosamente assistito da un ufficiale medico pontificio, che dall’età e dall’uniforme che indossava, mi parve di grado superiore; e seppi anche che questi disse al tenente medico, se mi accompagnava quale addetto all’ambulanza, che non era possibile fare tentativi per estrarre la palla. Non era stato abbandonato; poco prima aveva ordinato ai suoi due aiutanti di Campo, De Ligne e Renneveille, di correre a raccogliere le truppe e farle ritirare in buon ordine, come essi stessi ci dissero quando per due giorni furono ospiti nel nostro Quartiere Generale.Circa la spada dichiaro francamente che no l’ho venduta, e nulla ne so; il Generale era a letto, spogliato; ho osservato sopra una sedia l’uniforme e oggetti di vestiario, ma in quel mio breve colloquio con lui non ha potuto osservare se vi fosse pure la spada. Non potrei affermarlo, ma ritengo che sia stata ritirata o fatta ritirare dagli aiutanti di campo[7]
Il Generale Castelli non ci fornisce, purtroppo, una testimonianza diretta e chiarificatrice. Egli dice di aver osservato l’uniforme e gli oggetti di vestiario ma di non aver visto propriamente la sciabola. Ritiene che questa sia stata ritirata dagli aiutanti. Può essere considerata una opinione come un’altra che purtroppo non porta quel chiarimento che è necessario. A sostegno di questa tesi Castelli cita Cavour:
Ad ogni modo che quella posseduta e usata dal dott. Viaroli sia davvero la spada del Gen. Pimodan, un documento molto importante e molto rispettabile verrebbe a negarlo.
Nelle lettere inedite del Conte di Cavour e della contessa di Cricourt, pubblicate nel 1864 dal conte Nigra, ve n’è una che il Conte di Cavour scriveva alla Contessa:
Je vous ai exprimé mes regrets de n’avoir rien su faire de ce que vous me demandiez pour M.me de Pimodan. Maintenant une occasion se présente pour lui prouver que sonmalheur excite chex nous une profonde sympatie, et que nous honorons la valeur même chez nos ennemis. La Général Brignone à saisi sur un échappé de Castelfidardo l’épée et les décorations du général Pimodan. Il me les à envoyées comme une espèce de trophée. Ayant pris les ordres du Rou, S. M. a décidé qu’en lieu d’être placées dans sa magnifique salle d’armes, j’eusse à la les faire pervenir de sa part a M.me de Pimodan comme un hommage à sa douleur et à la bravoure de son mari.
Ne sachant pas où M.me de Pimodan se trouve, je prends la liberté de vous les envoyer, avec une lettre pour elle, en vous prinat de les faire parvenir à leur destination .
Io m’inchino d’innanzi ad una affermazione del nostro grande immortale Ministro; può sorgere però qualche dubbio sul fatto che il Generale Brignone, comandante di una Divisione a Perugia, abbia potuto afferrare un fuggiasco di Castelfidardo, e prendergli la spada ed anche le decorazioni del Pimodan; non si potrebbe pensare che ad un furto commesso da qualche persona, non saprei quando né come, perché il Generale ferito non era, lo ripeto, punto abbandonato e gli si poteva tanto impunemente la spada e strappargli le decorazioni.
Questa versione può essere tuttavia accettata con maggiore fiducia di quella che può prestarsi al racconto della Preparazione.
I soli che potrebbero informare con certezza sulla fine di quella spada, sarebbero i due aiutanti, il Principe Ligne, belga, e il Conte Renneville, francese, se vivono ancora; ma ad ogni modo si può essere sicuri che la spada dalla famiglia del dott. Viaroli al Museo storico dei Bersaglieri, non è la spada che il generale Pimodan cingeva alla battaglia di Castelfidardo, e parmi che fra tanti e gloriosi e commoventi ricordi del nostro valoroso Corpo dei Bersaglieri, che quel museo sta raccolgiendo, non possa trovar posto un cimelio che senza esitazione deve ritenersi falso.”[8]
Il Generale Castelli non ha esitazioni. La sciabolala Museo dei Bersaglieri di Porta Pia non è quella del generale De Pimodan, o meglio quella che impugnava sul campo di battaglia di Castelfidardo.Questa asserzione, drastica, è basata però su una opinione che il generale Castelli si è fatto essendo testimone oculare degli avvenimenti. Più precisa sembra essere la testimonianza del Signor De Buttet che, a seguito degli articoli pubblicati dal Generale, indirizza allo stesso due lettere:
“Signor Generale, ho letto con grandissimo piacere che ella ha pubblicato nella Gazzetta di Venezia del 26 maggio 1911 circa la spada o sciabola – del generale de Pimodan, e sono stato lieto di vedere ristabilita, dalla sua penna così autorevole, la verità dei fatti e tagliate le ali alla leggenda del dottor Viaroli.
Ai suoi ricordi così preziosi permetta di aggiungere i miei. Coloro che hanno vissuto quella giornata del 18 settembre 1860 sono rari oggi, ma Dio mi ha permesso di essere di quel numero.
Il combattimento era finito, l’ultimo colpo di cannone era tirato, l’ultima pallottola era venuta a perdersi fra gli alberi presso il Musone; io ero ai piedi della collina di Loreto cercando di riunire gli uomini della mia compagnia, che aveva assai sofferto.
Fui raggiunto dal visconte di Renneville, che io conoscevo; egli mi annunciò che il generale de Pimodan era stato ferito e che la di lui morte era probabile.
Alla sua sinistra, a lato della sua propria sciabola pendeva quella del generale Pimodan, egli me lo fece notare. Nell’interno della Guardia si vedevano delle gocce di sangue non ancora completamente disseccato, e mi ricordo benissimo di avergli detto: “Se è sangue del generale guardatevi bene dal toglierlo perché sarà un ricordo prezioso per la sua famiglia”.
Che ora era? Non saprei precisarlo. Quae quae ipse… vidi.
I figli del generale de Pimodan possiedono questa sciabola, che fu loro fedelmente portata dal visconte de Renneville.
A quel epoca io ero sottotenente del battaglione dei cacciatori stranieri.
Delle decorazioni del generale non posso dir.
Dopo aver letto ciò che ella ha scritto nella Gazzetta di Venezia ho pensato che le sarebbe grato conoscere la fine di questa storia.
Aggradisca, Signor Generale, l’espressione della mia considerazione più distinta.
A questa lettere ne seguì una seconda.
Signor Generale,
come annesso e conclusione della lettera che ho avuto l’onore di indirizzarle or sono due giorni, mi permetto di aggiungere ciò che mi scrive or ora il signor marchese di Pimodan, figlio del generale, a cui ha scritto per la questione della spada restituita alla sua famiglia.
La sciabola che portava il Generale quando egli fu ferito è stata rimessa alla vedova del signor visconte de Renneville, come già le avevo detto. Quanto alla spada, che per ordine di Re Vittorio Emanuele fu rinviata alla marchesa de Pimodan, essa è la spada della grande uniforme del Generale, la quale si trovava nei bagagli alla coda dell’esercito. Tutto questo è certo ed autentico. Il signor marchese de Pimodan non mi parla delle decorazioni del padre.
Se, frattanto, si vuol azzardare una supposizione, si può benissimo ammettere, poiché i bagagli furono manomessi, che tra le mani di chi commise tale cattiva azione che la spada e le decorazioni di cui parla il conte Cavour sono state trovate e recuperate.
Non ho altri particolari da aggiungere. Voglia gradire, signor generale, l’espressione della mia distintissima considerazione. Ch. De Buttet.”

Può essere utile a questo punto citare un passo delle memorie del senatore di Prampero che partecipò alla battaglia di Castelfidardo come tenente, riportate dal de Cesare [9](21). Attingendo dai ricordi personali del senatore, de Cesare scrive che il cadavere del generale de Pimodan fu prima seppellito, il 19 mattina, presso le Crocette su ordine del generale Avenati; poi fu, su ordine del Cialdini, disseppellito ed imbalsamato; indi, chiuso in una doppia cassa di zinco, consegnato agli aiutanti De Ligne e de Ranneville. I piemontesi resero gli onori militari alla salma del Generale.
“Ma queste testimonianze di generosità non calmarono le ire degli ufficiali esteri prigionieri né quelle dei legittimisti, i quali non risparmiarono al Cialdini ogni sorta d’ingiurie, per l’invio del cadavere del Pimodan, che fu in verità un fatto che si prestava a commenti diversi; ma essi forse ignorarono l’incidente disgustoso che seguì nel trasporto della salma, la quale, consegnata ai due aiutanti, partì il 25, a piccole tappe. Non essendovi ferrovie, al cassa venne legata sull’imperiale di una vettura da viaggio, allo scoperto. Lungo la strada cadde una pioggia dirotta, e la vettura fece alto presso un osteria. L’oste chiese ai due ufficiali, se non era meglio mettere il legno al coperto, e uno dei due, con triste cinismo, rispose.<Celui-là n’a pas peur de la pluie!>>. La cassa fu esposta alla pioggia nel tempo stesso che i due ufficiali facevano colazione dentro la vettura!”[10](22).
La salma giunse a Roma il 30 settembre e fu accolta dai famigliari e dalle massime autorità pontificie. Fu successivamente inumata a San Luigi dei Francesi e qui il 2 ottobre 1860, si celebrò un solenne rito funebre in memoria del Generale presenti tutte le più alte autorità pontificie e il Corpo Diplomatico quasi al completo .[11](23).
La vicenda della sciabola del generale de Pimodan giunse così al suo epilogo. La mattina del 18 settembre 1860 il Generale aveva lasciato Loreto alla testa del secondo scaglione della colonna d’attacco in tenuta d’attacco e così rimase fino a che non fu ferito.
Quando la palla piemontese lo colpì, i suoi soldati lo aiutarono a smontare da cavallo e a stendersi a terra; poco dopo fu trasportato a Casa Andreani. De Ranneiville, che secondo la famiglia Pimodan portò la sciabola del Generale in Francia, un momento prima che questi fosse ferito si allontanò da lui avendo ricevuto un ordine. Al ritorno, non avendo trovato più nessuno, si aggregò al battaglione di Fukmann né rivide più il generale fino all0laba del giorno 19, quando quegli oramai era morto.
Esiste la possibilità che qualche soldato, raccolta la sciabola del generale l’abbia consegnata al suo aiutante di Campo. Ma in questo caso de Pimodan, nel suo letto di morte, non avrebbe avuto a disposizione alcunché essendo il suo bagaglio con la colonna de Tourrane.
A casa Anreani de Pimodan, confuso con gli altri feriti, cercava di superare con difficoltà quei difficili momenti ed espresse solo il desiderio di morire sul campo di battaglia. Ringraziò quanti intorno a lui si prodigavano per lenire i suoi dolori. Non mancò successivamente di ringraziare il dott. Viaroli, che eseguì l’operazione chirurgica[12] (24). Tutte le fonti concordano nel dire che egli fece ciò con grande affidabilità, il Dovara aggiunge che, come segno tangibile volle donare al Viaroli la sua sciabola, forse l’unica cosa che gli era rimasta nella confusione della battaglia.
Tirando le somme si può dire che il dott. Viaroli, per tutto il tempo che rimase al XI Btg. Bersaglieri fu sempre orgoglioso di portare la sciabola ricevuta dal de Pimodan. E si fa mente locale ai costumi militari allora vigenti bisogna ammettere che difficilmente un Ufficiale poteva ostentare una sciabola e relativo aneddoto se questo non era universalmente riconosciuto come realmente accaduto.
Se poi si tiene presente che il bagaglio del de Pimodan non era aggregato alla colonna di attacco, o se lo era, difficilmente seguiva da presso il generale al momento del combattimento, si può avanzare l’ipotesi, sui dati a disposizione, che la sciabola avuta dal Viaroli sia quella che il De Pimodan impugnava sul campo di battaglia di Poggio Montoro. Si può credere che gli aiutanti di campo, recuperato il bagaglio del Generale, in tutta buona fede abbiano riportato in Francia le sciabole, le spade e le armi del Generale e consegnate alla famiglia.
Rimane da prendere in considerazione la versione fornita dal generale Castelli. Il generale è risoluto nell’affermare che Viaroli si sia inventato tutta la storia, arrivando alla conclusione che la sciabola al Museo dei Bersaglieri è falsa. La polemica è basata sull’articolo di Dovara, a 50 anni dai fatti; Viaroli ne rimane estraneo.
Castelli può anche avere ragione; ma a questo punto rimane da spiegare come mai Viaroli abbia sostenuto una versione che poteva essere smentita da numerosi testimoni. Interessante la versione del de Buttet.
Egli ci dice che Renneiville aveva al fianco al sciabola che doveva appartenere al de Pimodan. Ma Renneiville non era presente al momento del ferimento e giunse sul luogo dopo che De Pimodan era stato trasportato altrove. Può aver raccolto una sciabola di diversa oppure quella di Pimodan abbandonata.
Il mistero della vicenda della sciabola del De Pimodan rimane. Ogni versione può essere accettata oppure respinta. Ognuna è data di buona fede. A noi piace pensare che la sciabola che il Pimodan impugnava sul campo di battaglia di Castelfidardo contro i Bersaglieri è conservata con cura e religiosità dai medesimi, ad onore di un avversario di valore, nel loro museo di Porta Pia, a poca distanza dalla tomba del generale a San Luigi dei Francesi, a Roma.



[1] Indirizzo e mail:  risorgimento23@libero.it (oppure ricerca23@libero.it)
[2] “La Fedeltà” era un foglio pubblicato a Roma molto vicino agli ambienti del Vaticano e si batteva per gli stessi principi per cui si erano battuti i legittimisti d’Europa, in difesa del potere temprale dei Papi. Era quindicinale con un frontespizio in cui appariva un trofeo d’armi la triara papale ed il motto “Victoria quae vincit mundum fides nostra”
[3] Al Museo dei Bersaglieri di Porta Pia a Roma è conservata la sciabola di cui all’articolo del Bovara, accanto ad una fotografia del dott. Viaroli. Nel cartello appeso all’elsa in breve riassunto, è contenuto l’articolo del Bovara.
[4] “La Fedeltà”, Parte Militare Anno XLI, 30 Marzo-15 Aprile 1911, n.6-7 pag. 23 e segg.
[5] Gabriel de Pimodan, Vie du General de Pimodan 1822-1860, Paris, Libraire Ancienne Honorè Champion, 1928.
[6] “La Fedeltà”, Parte Militare Anno XLI, 30  Aprile 1911, n.8 pag. 20 e segg.
[7] Cfr. “I ricordi del generale Emilio Castelli - La condotta del generale Cialdini - Lettera ad un giovane clericale, in "Ai vittoriosi di Castelfidardo", numero speciale a cura del "Picenum" autorizzato dal Comitato Pro Monumento, anno IX, Roma, settembre 1912. Emilio Castelli ha partecipato alla Battaglia come capitano, esplicando le sue funzioni al Q.G. del IV Corpo d’Armata. Ebbe la Croce di cavaliere dell’ordine Militare di Savoia.

[8] Cfr. “I ricordi del generale Emilio Castelli - La condotta del generale Cialdini - Lettera ad un giovane clericale, in "Ai vittoriosi di Castelfidardo", numero speciale a cura del "Picenum", cit.
[9] Raffaele de Cesare, Roma e Lo Stato del Papa, Milano, Longanesi, 1970
[10] Raffaele de Cesare, Roma e Lo Stato del Papa, cit, pag. 416 e segg.
[11] La Tomba del generale de Pimodan e a San Luigi dei Francesi. Si trova entrando a sinistra tra la seconda e la terza cappella , accanto ai celeberrimi affreschi di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Davanti ad una bandiera ed ad un fascio d’rarmi si rova un busto del generale; sotto viene riportato il suo nome.
[12] Il Vigevano nella sua operariporta che l’operazione fu diretta dal dott. Angonoa del XII Battaglione Bersaglieri. Alla operazione chirurgica a cui fu sottoposto il generale de Pimodan erano presenti diversi medici militari piemontesi tra cui certamente il dott. Viaroli. Si ritiene che, date le fonti, l’operazione fosse stata materialmente eseguita dal dott. Viaroli.

giovedì 18 settembre 2014

NELLA DATA ANNIVERSARIA DELLO SCONTRO 
TRA I DUE OPPOSTI SCHIERAMENTI, SARDI E PONTIFICI, UN RICORDO 
PER TUTTI I SOLDATI CHE FECERO IL LORO DOVERE, 
IN PARTICOLARE 
UN PENSIERO REVERENTE
PER  I CADUTI.

martedì 16 settembre 2014

L'anniversario del 18 settembre in un documento del 1922


Programma indirizzato al Sindaco di Falconara, 
a sottolineare la dimensione extrapaesana dell'evento.
La partecipazione di tutti i cittadini era data per scontata ed era un evento sentito da tutti, sopratutto a livello popolare, come sta a dimostrare la Tombola  con un premio finale di 1000 lire, cifra all'epoca veramente ragguardevole


mercoledì 10 settembre 2014

Biografia del gen. Cristoforo De La Moricière

Articolo per la Rivista "Pio IX" in cui si tratteggia nelle sue componenti essenziali la vita del Comandante Pontificio a Castelfidardo.. Il riferimento di base sono i due volumi della Biografia del Keller dedicata in modo esaustivo al Gen. De La Moricière

lunedì 8 settembre 2014

Monografia dedicata ai Bersaglieri del Regno di Sardegna


PROTAGONISTI DELLO SCONTRO DEL 18 SETTEMBRE, I BERSAGLIERI DEL REGNO DI SARDEGNA EBBERO A SOSTENERE L'URTO DELLE FORZE ATTACANTI PONTIFICIE. LE LORO PERDITE FURONO GRAVI. TRE CAPITANI DI COMPAGNIA CADDERO SUL CAMPO, MENTRE LE COMPAGNIE DEL XXVI BATTAGLIONE FURONO PRATICAMENTE DISTRUTTE. CADDETO IN MANO PONTIFICIA ANCHE 113 PRIGIONIERI, CHE FURONO PRESTO LIBERATI A SEGUITO DELLA CAPITOLAZIONE DEL GIORNO SUCCESSIVO

LA MONOGRAFIA E' SCRITTA DA DUE BERSAGLIERI, CHE HANNO UNA PENNA FELICE NEI CONFRONTI DEI PROTAGONISTI, DANDOCI UN QUADRO QUANTO MAI ESAUSTIVO DI QUESTA ENNESIMA PAGINA DI STORIA DEI FANTI PIUMATI.

venerdì 5 settembre 2014

Volume: De Pugna ad Castrumficardum. Versione in lingua latina della Battaglia del 1860.




IL LIBRO RIPORTA LA VERSIONE IN LATINO DELLA BATTAGLIA DI CASTELFIDARDO SCRITTA DA GIUSEPPE PASQUALE MARINELLI NEL 1863
MASSIMO MORRONI HA CURATO LA TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA, MENTRE MASSIMO COLTRINARI HA CURATO L'ASPETTO STORICO E LA CONTESTUALIZZAZIONE DEGLI AVVENIMENTI





ulteriori informazioni: coltrinaristoria@gmail.com




giovedì 4 settembre 2014

Monografia dedicata alle forze pontificie


LA MONOGRAFIA RIPORTA L'ORGANIZAZZIONE TABELLARE DELLE FORZE PONTIFICIE NEL 1860.
L'ESERCITO DEL DE LA MORICIERE 
CHE EVVE VITA SOTTO IL SUO COMANDO DALL'8 APRILE AL 4 OTTOBRE 1860

mercoledì 3 settembre 2014

Buona Lettura

Dopo la pausa estiva, riprendono le pubblicazioni dei post, frutto delle ricerche relative al 1860. A tutti i nostri lettori un augurio di un felice rientro dalle vacanze (MC)