giovedì 25 settembre 2014
Una ricerca da riprendere: L'azione del Servizio Segreto Pontificio nel 1860
riportiamo per i giovani studenti un articolo dedicato alla ricerca da riprendere apparso sul Messaggero, eizone di Ancona nel 2011.
UCCIDETE GARIBALDI!
Le spie del papa contro l’eroe
che progetta l’attacco ad Ancona
di Sergio Sparapani
“Occorre
rapire o uccidere il mostro. Io vi
garantisco della riuscita”. Chi è il mostro secondo tal F. De Vezzani che
scrive da Verona a monsignor Tancredi Bellà, governatore pontificio a Pesaro?
E’ la bestia nera del pontefice, il nuovo Silla nemico di Dio, colui che chiude
le case del signore e arresta i suoi ministri. Niente meno che Giuseppe
Garibaldi
In quei
giorni alla fine di ottobre del 1859, il mostro,
comandante in seconda della lega degli Stati centrali (comandante supremo è
Manfredo Fanti), pianifica la conquista di Ancona a partire dalla Romagna.
Vuole raggiungere Napoli e la Sicilia attraverso le Marche e la nostra
piazzaforte si conferma strategica anche in questo disegno. Secondo il
Natalucci “malgrado la vigilanza severa della polizia ad Ancona si compiono vari
tentativi di insurrezione. Per le difficoltà di impadronirsi della cittadella,
il Comitato di Rimini ai primi di novembre de 1859 prepara un moto
rivoluzionario che deve partire da Pergola, Fossombrone, Jesi, Sassoferrato e
Fabriano, mentre Garibaldi avrebbe marciato oltre confine”.
Sulle tracce
di Garibaldi c’è però l’efficiente servizio segreto pontificio diretto dal
cardinale Antonelli, che dispone di una formidabile rete di agenti e informatori
delle parrocchie. A giudicare dai documenti l’eroe dei due mondi è circondato
dalle spie del papa. In una corrispondenza clandestina al delegato apostolico a
Pesaro, si fanno i nomi. C’è Cennì, aiutante di campo di garibaldi, Roselli,
generale a Rimini, Vincenzini, capitano presso Fanti (“farà tutto ciò che voi
ordinerete. Egli attende!!”), persino il cuoco di Garibaldi: “è mia conoscenza
fin da Parigi e pel denaro avvelenerebbe Gesù Cristo”. Strane parole queste
ultime per un devoto. Poi ci sarebbe un generale disposto a vendersi se sua
santità “gli dà 200 mila franchi e il grado di comandante in capo a Roma”.
Il De Vezzani
si spinge oltre con i particolari: “Un aiutante di campo di Garibaldi, che ha
sua madre a Roma, s’incarica di darmelo nelle mani in una vettura.
Quest’aiutante ha sua madre, che è ricolma dei benefizi del santo padre. Il
generale Garibaldi sorte tutte le sere a passeggiare solo alla campagna; tutte
le volte che va a Bologna e a Modena, vi va sempre di notte: un solo aiutante
da campo lo accompagna. Oppure a Rimini (dove Garibaldi arriva il 17 settembre
e arringa la folla contro i preti). Ogni mezzo è buono: pugnale, stiletto o
veleno…
Ma chi è il
delgato apostolico Tancredi Bellà? E’ l’animatore dell’ultima resistenza
papalina, quella del giugno 1859, che stronca la ribellione nell’Umbria e nelle
Marche. Uomo risoluto ed energico, perde tuttavia la Romagna che il 7 settembre
è annessa al Regno di Sardegna. Uomo di complotti e segreti, reazionario e
inviso al popolo, cederà al corpo d’armata di Cialdini un anno dopo per finire
prigioniero a Bologna e Torino.
Sta di fatto
che il tentativo di Garibaldi su Ancona è prematuro. Contrario è il governo piemontese che teme
l’intervento di Napoleone III. Si oppone il generale Fanti e Garibaldi riflette
su un piano differente, via nave dalla Liguria che mette in atto giusto
centocinquanta anni fa. Ad Ancona, intanto, i piani dei patrioti, scoperti
dalle autorità pontificie, provocano un inasprimento delle misure di polizia. L’insurrezione
non si farà mai ma nel giro di un anno, grazie alle armate sarde, la città farà
parte della giovane nazione. E le spie papaline? Con scarso successo
continueranno a spargere il seme …
lunedì 22 settembre 2014
Monografia. 1984. In ricordo di alcuni giorni indimenticabili del 1977
In questo giorni, nel 1977, era ospite a casa ad Ancona l'ambasciatore d'Anethan, dopo una sessione del Nato Defence College in cui facemmo amicizia. Nel giugno precedente, quando Laura nacque, eravamo alle isole Lofoten, dopo aver visitato Bergen e Bodo. Parlavamo molto degli avvenimenti del 1860, e, giunti a Bruxelles, in particolare al suo castello di Gringen acquisii molto materiale d'archivio su quelle vicende. La sua venuta in Ancona fu breve, non lo presentai a nessuno e quindi feci bella figura, al contrario delle visite successive in cui "magre" si susseguirono a "magre" che Lui fece finta, da gran Signore quale era, di non rilevare e vedere. Ma il contesto era quello che era. Una vicenda gli era particolarmente cara. Una storia marginale che riuscimmo a ricostruire e che gli fece piace. Nel ricordo di momenti bellissimi e cari, riportiamo quella pubblicazione, naturalmente accolta dagli indigeni nella classica indifferenza, ma che abbiamo avuto il piacere di vedere in bella mostra in un recente convegno proprio nella Sua patria belga.
(mc)
La Morte del gen. De Pimodan e l’enigma della sua sciabola
di
Massimo
Coltrinari[1]
Il Gen. De Pimodan, capo di Stato
Maggiore dell’Esercito Pontificio fu ferito mortalmente alle 11, 30 del 18
settembre 1860, al momento di condurre l’ennesino assalto contro le truppe
sarde del generale Pes di Villamarina sulle pendici di colle Oro, tra Loreto e
le Crocette, nel tentativo messo in atto dal Comandate in capo dell’Esercito Pontificio,
gen. De La Moriciére, di portare le truppe operative e mobili dall’Umbria ad
Ancona. Qui chiudersi nella piazzaforte dorica ed attendere l’aiuto delle
potenze alleate ed amiche, Francia ed Austria, e quindi sconfiggere l’invasione
messa in atto dalle truppe del Re di Sardegna al comando del gen. Manfredo
Fanti. Nella nostra storia risorgimentale è la Battaglia di Castelfidardo. Ne
retaggio dei legittimisti pontifici è l’epopea della crociata a difesa del
potere temporale dei Papi. Questo scontro ebbe riverberi ben marcati per oltre
mezzo secolo, e solo nel 1929 con il Concordato vi si pose termine. La
Questione Romana segnò e caratterizzò oltre cinquant’anni di vita unitaria. E’
questa contrapposizione la si può cogliere anche in un occasionale fatto, come
la vicenda della sciabola che il Gen. De Pimodan aveva sul campo di battaglia
il 18 settembre. La ricostruzione di quegli avvenimenti, a scontri ormai
composti, è oggetto di questa nota.
Il Racconto del Col. Dovara e la polemica con “La Fedeltà”
“La battaglia era finita. Non si sentivano più che – qua e là – pochi
e rari colpi di fucile e le trombe nostre che suonavano ripetutamente: ‘
cessate il ‘foc’, ritirata, assemblea, passo di corsa. Poco lungi, un gran
polverone: uno scalpito rumoroso e il nitrito allegro dei cavalli. Era ‘Novara
Cavalleria’ che, al trotto
allungato, muoveva all’inseguimento dei
corpi nemici sbandati nella sconfitta.”
Così inizia un suo articolo il Colonnello dei Bersaglieri
Angelo Dovara apparso su La Grande Italia del 12 marzo 1911 e ripreso
dal foglio, cattolico e legittimista, “La Fedeltà” del 12 marzo 1911
riguardante gli avvenimenti del 18 settembre 1860 [2](16).
“La radunata, intanto, delle compagnie 41°, 42°, 43° -
proseguì Dovara – si stava effettuando. Erano in pensiero per la 44° che,
staccata fin dall’alba dal battaglione, era stata fortemente impegnata sulla
sinistra verso il mare ed erano corse su di essa le più brutte notizie.Come
succede ad ogni fine combattimento le accoglienze erano fatte a coloro che, via
via, giungevano e i più strani commenti si facevano intorno alla battaglia.Una
voce sola, generale, proclamava i bersaglieri del 26° che per due lunghe,
eterne ore – avevano sostenuto – da soli – l’urto all’avanguardia nemica
condotta dal Generale Pimodan e resistito agli attacchi furiosi ed ostinati di
un numeroso ed agguerrito nemico.Eravamo riuniti in gruppo parecchi Ufficiali
ad attendere il momento della partenza, intanto ognuno a dire la sua, quando
insieme ad alcuni bersaglieri tornò anche il nostro dottore Viaroli che, non
molto distante da noi, aveva trovato disteso al suolo un Generale nemico
gravemente ferito e lo aveva curato.Era il Generale Pimodan, comandante in
seconda dell’esercito pontificio.Una cassetta dei ferri chirurgici che stava lì
al suo fianco provava che era stato vigliaccamente abbandonato da tutti –
persino dai suoi medici. Al dottore Viaroli, tenete medico del nostro
battaglione – chirurgo valente quanto soldato coraggioso – riuscì facilissima
l’estrazione del proiettile dalla gravissima ferita. Il benessere, la gioia
provata, in quel momento, dallo sfortunato generale, furono così grandi che
egli, dopo aver voluto esaminare il proiettile – una pallottola da carabina da
bersagliere – e postoselo in tasca, presa la sua sciabola, la porse al dottore,
pregandolo di accettarla in dono e conservarla per suo ricordo.Il dott.
Viaroli, durante tutto il tempo che rimase con noi all’11 battaglione e dopo,
cinse sempre – con giusto orgoglio – quella sciabola sostituendo alla
impugnatura francese la nostra allora in uso.”
Dovara, nominato Direttore del Museo dei Bersaglieri nel
1908, fece delle ricerche e chiese alla Signora Sartorio, vedova del Dott.
Viaroli, che la sciabola del marito fosse donata al Museo del quale era
Direttore. La Signora acconsentì; l’atto di donazione fu sottoscritto e la
sciabola consegnata insieme ad altri ricordi[3]
(17).
A commento dell’articolo di Dovara, il foglio “La Fedeltà”,
pubblicò la seguente Nota..
“Nota della Direzione del nostro giornale. Non
vogliamo fare polemiche né commenti. Faremo soltanto osservare che il Generale
De Pimodan, stante la gravità delle riportate ferite, non fu possibile
trasportarlo a Loreto, ma fu condotto in una vicina casupola della Santa Casa
di Loreto, (ora di proprietà della famiglia Pimodan) dal suo Aiutante di campo
Capitano Conte Carpegna cui il generale donò il proprio cavallo, e dai suoi
ufficiali di ordinanza, le guide Principe di Ligne e Conte de Rainveille, che
non l’abbandonarono mai. Di più c’era il sergente maggiore dei Franco – Belgi,
Ernesto Maestraeten, valente chirurgo di Lovanio, che nello scoprire le ferite
del Generale vide che erano mortali e non potendo fare altro cercò in mille
guise di lenire i di lui dolori atrocissimi. E questa è storia. In quanto alla
sciabola, di cui è parola nell’articolo che abbiamo riportato, risponderà, se
lo crederà opportuna, la Famiglia de Pimodan.”[4]
(18)
E’ bene precisare che gli aiutanti di campo del generale, per
vari motivi, non ebbero modo di assisterlo durante il pomeriggio del 18 settembre
né tanto meno di essere presenti al momento dell’operazione chirurgica. Nella
Biografia del gen. De Pimodan vi è scritto: “Cepandant,
le soir le vicomte Joseph de Rainneville, aide de camp dei Pimodan, et le
prince Fdauard de ligne, officier dans le corps allemand des chevaulégers
obtenir de Cialdini l’autorisation réfusée une premiére foi. Environ une huere
de matin MM. De Rainneville et de Ligne purent efin pénétrer dans la chambre de
de Pimodan.[5] (19).
All’articolo del Dovara così rispose la famiglia de Pimodan
sul numero successivo della Fedeltà.
“In relazione a quanto osservammo nel passato circa la
sciabola del generale de Pimodan, l’illustre Duca de Rarecourt – Pimodan,
figlio primogenito dell’eroe ci ha trasmesso la seguente nota:
‘Le genéral de Pimodan possedait
naturellement plusierus armes sabres et épées. La sabre qu’il portait au
momento où il fut mortellement blessé à la tête des troupes sur le champ de
bataille de Castelfidardo fut rapporté ne France par M. le viscomnte de
Rainneville aide de camp du général et remis à la famille de Pimodan qui le
conserve piusement [6]’(20).
La famiglia del generale, quindi, sostiene che de Rainneville
portò la sciabola di de Pimodan in Francia.
La versione del Generale Emilio Castelli
Il Generale Emilio Castelli, che partecipò alla campagna
delle Marche nello Stato Maggiore del Cialdini come Ufficiale addetto, ritenne
suo dovere intervenire nella vicenda, dopo aver preso visione dell’articolo
apparso su “La Patria”.
Pubblico la sua versione apparsa sul Giornale di Vicenza.
Questa versione fu ripresa dalla Rivista
“Picenum”, nel numero dedicato al Cinquantenario di Castelfidardo.
Dopo aver riportato l’essenza dell’articolo, Castelli si
interroga sul suo contenuto:
“E’ possibile tutto ciò? Non è anzitutto vero che sia
stato abbandonato da tutti e perfino dai suoi medici; e il dott. Viaroli non
poteva aver trovato, alla fine della battaglia, per caso, un generale disteso
al suolo gravemente ferito, che dopo poche ore moriva, ed estrarne tanto
facilmente la palla. Io ho trovato, quando la battaglia non era ancora finita,
il Generale coricato in un grande letto contadinesco, regolarmente spogliato e
premurosamente assistito da un ufficiale medico pontificio, che dall’età e
dall’uniforme che indossava, mi parve di grado superiore; e seppi anche che
questi disse al tenente medico, se mi accompagnava quale addetto all’ambulanza,
che non era possibile fare tentativi per estrarre la palla. Non era stato
abbandonato; poco prima aveva ordinato ai suoi due aiutanti di Campo, De Ligne
e Renneveille, di correre a raccogliere le truppe e farle ritirare in buon
ordine, come essi stessi ci dissero quando per due giorni furono ospiti nel
nostro Quartiere Generale.Circa la spada dichiaro francamente che no l’ho
venduta, e nulla ne so; il Generale era a letto, spogliato; ho osservato sopra
una sedia l’uniforme e oggetti di vestiario, ma in quel mio breve colloquio con
lui non ha potuto osservare se vi fosse pure la spada. Non potrei affermarlo,
ma ritengo che sia stata ritirata o fatta ritirare dagli aiutanti di campo”[7]
Il Generale Castelli non ci fornisce, purtroppo, una
testimonianza diretta e chiarificatrice. Egli dice di aver osservato l’uniforme
e gli oggetti di vestiario ma di non aver visto propriamente la sciabola.
Ritiene che questa sia stata ritirata dagli aiutanti. Può essere considerata
una opinione come un’altra che purtroppo non porta quel chiarimento che è
necessario. A sostegno di questa tesi Castelli cita Cavour:
“Ad ogni modo che quella posseduta e usata dal dott.
Viaroli sia davvero la spada del Gen. Pimodan, un documento molto importante e
molto rispettabile verrebbe a negarlo.
Nelle lettere inedite del Conte di Cavour e della
contessa di Cricourt, pubblicate nel 1864 dal conte Nigra, ve n’è una che il
Conte di Cavour scriveva alla Contessa:
“Je vous ai exprimé mes
regrets de n’avoir rien su faire de ce que vous me demandiez pour M.me de
Pimodan. Maintenant une occasion se présente pour lui prouver que sonmalheur
excite chex nous une profonde sympatie, et que nous honorons la valeur même
chez nos ennemis. La Général Brignone à saisi sur un échappé de Castelfidardo
l’épée et les décorations du général Pimodan. Il me les à envoyées comme une
espèce de trophée. Ayant pris les ordres du Rou, S. M. a décidé qu’en lieu d’être
placées dans sa magnifique salle d’armes, j’eusse à la les faire pervenir de sa
part a M.me de Pimodan comme un hommage à sa douleur et à la bravoure de son
mari.
Ne sachant pas où M.me de Pimodan
se trouve, je prends la liberté de vous les envoyer, avec une lettre pour elle,
en vous prinat de les faire parvenir à leur destination .
Io m’inchino d’innanzi ad una affermazione del nostro
grande immortale Ministro; può sorgere però qualche dubbio sul fatto che il
Generale Brignone, comandante di una Divisione a Perugia, abbia potuto
afferrare un fuggiasco di Castelfidardo, e prendergli la spada ed anche le
decorazioni del Pimodan; non si potrebbe pensare che ad un furto commesso da
qualche persona, non saprei quando né come, perché il Generale ferito non era,
lo ripeto, punto abbandonato e gli si poteva tanto impunemente la spada e
strappargli le decorazioni.
Questa
versione può essere tuttavia accettata con maggiore fiducia di quella che può
prestarsi al racconto della Preparazione.
I soli che
potrebbero informare con certezza sulla fine di quella spada, sarebbero i due
aiutanti, il Principe Ligne, belga, e il Conte Renneville, francese, se vivono
ancora; ma ad ogni modo si può essere sicuri che la spada dalla famiglia del
dott. Viaroli al Museo storico dei Bersaglieri, non è la spada che il generale
Pimodan cingeva alla battaglia di Castelfidardo, e parmi che fra tanti e
gloriosi e commoventi ricordi del nostro valoroso Corpo dei Bersaglieri, che
quel museo sta raccolgiendo, non possa trovar posto un cimelio che senza
esitazione deve ritenersi falso.”[8]
Il Generale Castelli non ha esitazioni. La sciabolala Museo
dei Bersaglieri di Porta Pia non è quella del generale De Pimodan, o meglio
quella che impugnava sul campo di battaglia di Castelfidardo.Questa asserzione,
drastica, è basata però su una opinione che il generale Castelli si è fatto
essendo testimone oculare degli avvenimenti. Più precisa sembra essere la
testimonianza del Signor De Buttet che, a seguito degli articoli pubblicati dal
Generale, indirizza allo stesso due lettere:
“Signor Generale, ho letto con grandissimo piacere che
ella ha pubblicato nella Gazzetta di Venezia del 26 maggio 1911 circa la spada
o sciabola – del generale de Pimodan, e sono stato lieto di vedere ristabilita,
dalla sua penna così autorevole, la verità dei fatti e tagliate le ali alla
leggenda del dottor Viaroli.
Ai suoi ricordi così preziosi permetta di aggiungere i
miei. Coloro che hanno vissuto quella giornata del 18 settembre 1860 sono rari
oggi, ma Dio mi ha permesso di essere di quel numero.
Il combattimento era finito, l’ultimo colpo di cannone
era tirato, l’ultima pallottola era venuta a perdersi fra gli alberi presso il
Musone; io ero ai piedi della collina di Loreto cercando di riunire gli uomini
della mia compagnia, che aveva assai sofferto.
Fui raggiunto dal visconte di Renneville, che io
conoscevo; egli mi annunciò che il generale de Pimodan era stato ferito e che
la di lui morte era probabile.
Alla sua sinistra, a lato della sua propria sciabola
pendeva quella del generale Pimodan, egli me lo fece notare. Nell’interno della
Guardia si vedevano delle gocce di sangue non ancora completamente disseccato,
e mi ricordo benissimo di avergli detto: “Se è sangue del generale guardatevi
bene dal toglierlo perché sarà un ricordo prezioso per la sua famiglia”.
Che ora era? Non saprei precisarlo. Quae quae ipse…
vidi.
I figli del generale de Pimodan possiedono questa
sciabola, che fu loro fedelmente portata dal visconte de Renneville.
A quel epoca io ero sottotenente del battaglione dei
cacciatori stranieri.
Delle decorazioni del generale non posso dir.
Dopo aver letto ciò che ella ha scritto nella Gazzetta
di Venezia ho pensato che le sarebbe grato conoscere la fine di questa storia.
Aggradisca, Signor Generale, l’espressione della mia
considerazione più distinta.
A questa lettere ne seguì una seconda.
Signor
Generale,
come annesso e conclusione della lettera che ho avuto
l’onore di indirizzarle or sono due giorni, mi permetto di aggiungere ciò che
mi scrive or ora il signor marchese di Pimodan, figlio del generale, a cui ha
scritto per la questione della spada restituita alla sua famiglia.
La sciabola che portava il Generale quando egli fu
ferito è stata rimessa alla vedova del signor visconte de Renneville, come già
le avevo detto. Quanto alla spada, che per ordine di Re Vittorio Emanuele fu
rinviata alla marchesa de Pimodan, essa è la spada della grande uniforme del
Generale, la quale si trovava nei bagagli alla coda dell’esercito. Tutto questo
è certo ed autentico. Il signor marchese de Pimodan non mi parla delle
decorazioni del padre.
Se, frattanto, si vuol azzardare una supposizione, si
può benissimo ammettere, poiché i bagagli furono manomessi, che tra le mani di
chi commise tale cattiva azione che la spada e le decorazioni di cui parla il
conte Cavour sono state trovate e recuperate.
Non ho altri particolari da aggiungere. Voglia
gradire, signor generale, l’espressione della mia distintissima considerazione.
Ch. De Buttet.”
Può essere utile a questo punto citare un passo delle memorie
del senatore di Prampero che partecipò alla battaglia di Castelfidardo come
tenente, riportate dal de Cesare [9](21).
Attingendo dai ricordi personali del senatore, de Cesare scrive che il cadavere
del generale de Pimodan fu prima seppellito, il 19 mattina, presso le Crocette
su ordine del generale Avenati; poi fu, su ordine del Cialdini, disseppellito
ed imbalsamato; indi, chiuso in una doppia cassa di zinco, consegnato agli
aiutanti De Ligne e de Ranneville. I piemontesi resero gli onori militari alla
salma del Generale.
“Ma queste testimonianze di generosità non calmarono
le ire degli ufficiali esteri prigionieri né quelle dei legittimisti, i quali
non risparmiarono al Cialdini ogni sorta d’ingiurie, per l’invio del cadavere
del Pimodan, che fu in verità un fatto che si prestava a commenti diversi; ma
essi forse ignorarono l’incidente disgustoso che seguì nel trasporto della
salma, la quale, consegnata ai due aiutanti, partì il 25, a piccole tappe. Non
essendovi ferrovie, al cassa venne legata sull’imperiale di una vettura da
viaggio, allo scoperto. Lungo la strada cadde una pioggia dirotta, e la vettura
fece alto presso un osteria. L’oste chiese ai due ufficiali, se non era meglio
mettere il legno al coperto, e uno dei due, con triste cinismo, rispose.< Celui-là n’a pas peur de la
pluie!>>. La cassa fu esposta alla pioggia nel tempo stesso che
i due ufficiali facevano colazione dentro la vettura!”[10](22).
La salma giunse a Roma il 30 settembre e fu accolta dai
famigliari e dalle massime autorità pontificie. Fu successivamente inumata a
San Luigi dei Francesi e qui il 2 ottobre 1860, si celebrò un solenne rito
funebre in memoria del Generale presenti tutte le più alte autorità pontificie
e il Corpo Diplomatico quasi al completo .[11](23).
La vicenda della sciabola del generale de Pimodan giunse così
al suo epilogo. La mattina del 18 settembre 1860 il Generale aveva lasciato
Loreto alla testa del secondo scaglione della colonna d’attacco in tenuta
d’attacco e così rimase fino a che non fu ferito.
Quando la palla piemontese lo colpì, i suoi soldati lo
aiutarono a smontare da cavallo e a stendersi a terra; poco dopo fu trasportato
a Casa Andreani. De Ranneiville, che secondo la famiglia Pimodan portò la
sciabola del Generale in Francia, un momento prima che questi fosse ferito si
allontanò da lui avendo ricevuto un ordine. Al ritorno, non avendo trovato più
nessuno, si aggregò al battaglione di Fukmann né rivide più il generale fino
all0laba del giorno 19, quando quegli oramai era morto.
Esiste la possibilità che qualche soldato, raccolta la
sciabola del generale l’abbia consegnata al suo aiutante di Campo. Ma in questo
caso de Pimodan, nel suo letto di morte, non avrebbe avuto a disposizione
alcunché essendo il suo bagaglio con la colonna de Tourrane.
A casa Anreani de Pimodan, confuso con gli altri feriti,
cercava di superare con difficoltà quei difficili momenti ed espresse solo il
desiderio di morire sul campo di battaglia. Ringraziò quanti intorno a lui si
prodigavano per lenire i suoi dolori. Non mancò successivamente di ringraziare
il dott. Viaroli, che eseguì l’operazione chirurgica[12]
(24). Tutte le fonti concordano nel dire che egli fece ciò con grande
affidabilità, il Dovara aggiunge che, come segno tangibile volle donare al
Viaroli la sua sciabola, forse l’unica cosa che gli era rimasta nella
confusione della battaglia.
Tirando le somme si può dire che il dott. Viaroli, per tutto
il tempo che rimase al XI Btg. Bersaglieri fu sempre orgoglioso di portare la
sciabola ricevuta dal de Pimodan. E si fa mente locale ai costumi militari
allora vigenti bisogna ammettere che difficilmente un Ufficiale poteva
ostentare una sciabola e relativo aneddoto se questo non era universalmente
riconosciuto come realmente accaduto.
Se poi si tiene presente che il bagaglio del de Pimodan non
era aggregato alla colonna di attacco, o se lo era, difficilmente seguiva da
presso il generale al momento del combattimento, si può avanzare l’ipotesi, sui
dati a disposizione, che la sciabola avuta dal Viaroli sia quella che il De Pimodan
impugnava sul campo di battaglia di Poggio Montoro. Si può credere che gli
aiutanti di campo, recuperato il bagaglio del Generale, in tutta buona fede
abbiano riportato in Francia le sciabole, le spade e le armi del Generale e
consegnate alla famiglia.
Rimane da prendere in considerazione la versione fornita dal
generale Castelli. Il generale è risoluto nell’affermare che Viaroli si sia
inventato tutta la storia, arrivando alla conclusione che la sciabola al Museo
dei Bersaglieri è falsa. La polemica è basata sull’articolo di Dovara, a 50
anni dai fatti; Viaroli ne rimane estraneo.
Castelli può anche avere ragione; ma a questo punto rimane da
spiegare come mai Viaroli abbia sostenuto una versione che poteva essere
smentita da numerosi testimoni. Interessante la versione del de Buttet.
Egli ci dice che Renneiville aveva al fianco al sciabola che
doveva appartenere al de Pimodan. Ma Renneiville non era presente al momento
del ferimento e giunse sul luogo dopo che De Pimodan era stato trasportato
altrove. Può aver raccolto una sciabola di diversa oppure quella di Pimodan
abbandonata.
Il mistero della vicenda della sciabola del De Pimodan
rimane. Ogni versione può essere accettata oppure respinta. Ognuna è data di
buona fede. A noi piace pensare che la sciabola che il Pimodan impugnava sul
campo di battaglia di Castelfidardo contro i Bersaglieri è conservata con cura
e religiosità dai medesimi, ad onore di un avversario di valore, nel loro museo
di Porta Pia, a poca distanza dalla tomba del generale a San Luigi dei
Francesi, a Roma.
[1] Indirizzo e mail: risorgimento23@libero.it (oppure ricerca23@libero.it)
[2] “La Fedeltà” era un foglio
pubblicato a Roma molto vicino agli ambienti del Vaticano e si batteva per gli
stessi principi per cui si erano battuti i legittimisti d’Europa, in difesa del
potere temprale dei Papi. Era quindicinale con un frontespizio in cui appariva
un trofeo d’armi la triara papale ed il motto “Victoria quae vincit mundum
fides nostra”
[3] Al Museo dei Bersaglieri
di Porta Pia a Roma è conservata la sciabola di cui all’articolo del Bovara,
accanto ad una fotografia del dott. Viaroli. Nel cartello appeso all’elsa in
breve riassunto, è contenuto l’articolo del Bovara.
[4] “La Fedeltà”, Parte
Militare Anno XLI, 30 Marzo-15 Aprile 1911, n.6-7 pag. 23 e segg.
[5] Gabriel de Pimodan, Vie du General de Pimodan
1822-1860, Paris, Libraire Ancienne Honorè Champion, 1928.
[6] “La Fedeltà”, Parte
Militare Anno XLI, 30 Aprile 1911, n.8
pag. 20 e segg.
[7] Cfr.
“I ricordi del generale Emilio Castelli -
La condotta del generale Cialdini - Lettera ad un giovane clericale, in
"Ai vittoriosi di Castelfidardo", numero speciale a cura del
"Picenum" autorizzato dal Comitato Pro Monumento, anno IX, Roma,
settembre 1912. Emilio Castelli ha partecipato alla Battaglia come capitano,
esplicando le sue funzioni al Q.G. del IV Corpo d’Armata. Ebbe la Croce di
cavaliere dell’ordine Militare di Savoia.
[8] Cfr. “I ricordi del generale Emilio Castelli - La condotta del generale
Cialdini - Lettera ad un giovane clericale, in "Ai vittoriosi di
Castelfidardo", numero speciale a cura del "Picenum", cit.
[9] Raffaele de Cesare, Roma
e Lo Stato del Papa, Milano, Longanesi, 1970
[10] Raffaele de Cesare, Roma
e Lo Stato del Papa, cit, pag. 416 e segg.
[11] La Tomba del generale de
Pimodan e a San Luigi dei Francesi. Si trova entrando a sinistra tra la seconda
e la terza cappella , accanto ai celeberrimi affreschi di Michelangelo Merisi
detto il Caravaggio. Davanti ad una bandiera ed ad un fascio d’rarmi si rova un
busto del generale; sotto viene riportato il suo nome.
[12] Il Vigevano nella sua
operariporta che l’operazione fu diretta dal dott. Angonoa del XII Battaglione
Bersaglieri. Alla operazione chirurgica a cui fu sottoposto il generale de
Pimodan erano presenti diversi medici militari piemontesi tra cui certamente il
dott. Viaroli. Si ritiene che, date le fonti, l’operazione fosse stata
materialmente eseguita dal dott. Viaroli.
giovedì 18 settembre 2014
martedì 16 settembre 2014
L'anniversario del 18 settembre in un documento del 1922
Programma indirizzato al Sindaco di Falconara,
a sottolineare la dimensione extrapaesana dell'evento.
La partecipazione di tutti i cittadini era data per scontata ed era un evento sentito da tutti, sopratutto a livello popolare, come sta a dimostrare la Tombola con un premio finale di 1000 lire, cifra all'epoca veramente ragguardevole
mercoledì 10 settembre 2014
Biografia del gen. Cristoforo De La Moricière
lunedì 8 settembre 2014
Monografia dedicata ai Bersaglieri del Regno di Sardegna
PROTAGONISTI DELLO SCONTRO DEL 18 SETTEMBRE, I BERSAGLIERI DEL REGNO DI SARDEGNA EBBERO A SOSTENERE L'URTO DELLE FORZE ATTACANTI PONTIFICIE. LE LORO PERDITE FURONO GRAVI. TRE CAPITANI DI COMPAGNIA CADDERO SUL CAMPO, MENTRE LE COMPAGNIE DEL XXVI BATTAGLIONE FURONO PRATICAMENTE DISTRUTTE. CADDETO IN MANO PONTIFICIA ANCHE 113 PRIGIONIERI, CHE FURONO PRESTO LIBERATI A SEGUITO DELLA CAPITOLAZIONE DEL GIORNO SUCCESSIVO
LA MONOGRAFIA E' SCRITTA DA DUE BERSAGLIERI, CHE HANNO UNA PENNA FELICE NEI CONFRONTI DEI PROTAGONISTI, DANDOCI UN QUADRO QUANTO MAI ESAUSTIVO DI QUESTA ENNESIMA PAGINA DI STORIA DEI FANTI PIUMATI.
venerdì 5 settembre 2014
Volume: De Pugna ad Castrumficardum. Versione in lingua latina della Battaglia del 1860.
IL LIBRO RIPORTA LA VERSIONE IN LATINO DELLA BATTAGLIA DI CASTELFIDARDO SCRITTA DA GIUSEPPE PASQUALE MARINELLI NEL 1863
MASSIMO MORRONI HA CURATO LA TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA, MENTRE MASSIMO COLTRINARI HA CURATO L'ASPETTO STORICO E LA CONTESTUALIZZAZIONE DEGLI AVVENIMENTI
ulteriori informazioni: coltrinaristoria@gmail.com
giovedì 4 settembre 2014
Monografia dedicata alle forze pontificie
LA MONOGRAFIA RIPORTA L'ORGANIZAZZIONE TABELLARE DELLE FORZE PONTIFICIE NEL 1860.
L'ESERCITO DEL DE LA MORICIERE
CHE EVVE VITA SOTTO IL SUO COMANDO DALL'8 APRILE AL 4 OTTOBRE 1860
mercoledì 3 settembre 2014
Buona Lettura
Dopo la pausa estiva, riprendono le pubblicazioni dei post, frutto delle ricerche relative al 1860. A tutti i nostri lettori un augurio di un felice rientro dalle vacanze (MC)
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