L'Ultima difesa pontificia di Ancona . Gli avvenimenti 7 -29 settembre 1860

Investimento e Presa di Ancona

Investimento e Presa di Ancona
20 settembre - 3 ottbre 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860

L'Ultima difesa pontificia di Ancona 1860
Società Editrice Nuova Cultura. contatti: ordini@nuovacultura.it

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Onore ai Caduti

Onore ai Caduti
Sebastopoli. Vallata di Baraclava. Dopo la cerimonia a ricordo dei soldati sardi caduti nella Guerra di Crimea 1854-1855. Vedi spot in data 22 gennaio 2013

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il combattimento di Loreto detto di Castelfidardo 18 settembre 1860
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La sintesi del 1860

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Il combattimento di Loreto, detto di Castelfidardo 18 settembre 1860

Il Volume di Massimo Coltrinari, Il Combattimento di Loreto detto di Castelfidardo, 18 settembre 1860, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009, pagine 332, euro 21, ISBN 978-88-6134-379-5, è disponibile in
II Edizione - Accademia di Oplologia e Militaria
- in tutte le librerie d'Italia
- on line, all'indirizzo ordini@nuova cultura.it,
- catalogo, in www.nuovacultura.it
- Roma Universita La Sapienza, "Chioschi Gialli"
- in Ancona, presso Fogola Corso Mazzini e press o Copyemme

venerdì 5 aprile 2024

Albo d'Oro dei Decorati Italiani e Stranieri dal 1793 ad oggi. Situazione

 

ANNESSO

A: BOLLETTINO NOTIZIE DEL CENTRO STUDI SUL VALORE MILITARE

Situazione bimestrale dello stato di sviluppo, approntamento e finalizzazione de:

ALBO D’ORO NAZIONALE DEI DECORATI ITALIANI E STRANIERI DAL 1793 AD OGGI

Email: albodoro@istitutonastroazzurro.org

ANNO II, N. 3, Marzo - 2024, 1 Aprile 2024

 

II/3/176. La decodificazione di questi numeri è la seguente: II,  anno di edizione dell’annesso, 3 il mese di edizione di INFOCESVAM –ANNESSO ALBO D’ORO, 176 , il numero della comunicazione dal numero 1 ad oggi, riferita ad ogni Federazione/Provincia citata o altra notizia. Il presente Bollettino svolge anche la funzione di informazione “erga omnes” dello stato, sviluppo e realizzazione del ALBO D’ORO NAZIONALE DEI DECORATI ITALIANI E STRANIERI DAL 1793 AD OGGI”. Questo ANNESSO trova come naturale complemento la piattaforma www.cesvam.org.

1I/3/177. Provincia di Varese (78). Albo d’Oro della Lombardia. Utente Stefano Bodini. Mandato Progetto, Lineamenti e Guida all’Inserimento ed Home Page. Inizio inserimento dati mese di aprile  2024

II/3/178 - Alla data del 31 marzo 2024 gli inserimenti totali per Utente, le principali variazioni sono. R. Bottoni (2868), M. Brutti (628), C.M. Magnani (4865), S. Marsili (319), C. Mastrantonio (1508), R Quintili (1223), P. Tomasini (3563), W. Vignola (583).

 

II/3/179 - Provincia di Bari. L’Albo d’oro della Federazione di Bari che riporta oltre 3000 decorati sarà preso in esame per l’inserimento da Carlo Maria Magnani al termine degli inserimenti di Trieste.

II/3/180. Provincia di Catanzaro. Il Cap Dott. Vincenzo Santoro ha comunicato che inizierà nel mese di Marzo corr. L’inserimento dei dati disponibili. Segnala un Errore nella Guida (1.9 pag 77) in cui non è riportata la Regione Calabria e la suddivisione per provincie. Si è provveduto a correggere. Alla data del 31 marzo sono stati ineriti 209 Nominativi di Decorati

II/3/181 – Provincia di Verona (80). Albo d’Oro del Veneto Salvo nuovi elementi acquisti questa provincia sarà presa in esame per le fonti e l’inserimento dati nel 2026

II/3/182 Alla data del 31 marzo 2024 gli inserimenti totali per Utente, le principali variazioni sono. Sauro Marsili (319), Laura Monteverde (2742), Roberta Olevano (456), Niccolò Paganelli(39), Sergio Pirolozzi (245), Maria Luisa Querzoli (548) David Truscello (838)

II/3/183 – Inserimenti Collettivi. Prosegue l’inserimento dei Reggimenti di fanteria che hanno partecipato alla I Guerra Mondiale e che sono stati decorati di Croce di Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia, oggi d’Italia.

II/3/184 – Provincia di Trieste (76). Albo d’Oro del Friuli Venezia Giulia. Utente. Carlo Maria Magnani. Inserimento dal mese di Gennaio 2024. Alla data del 31 marzo 2024 i Decorati inseriti su questa fonte sono fino alla  lettera N.

II/3/185 –  La Edizione della Guida è in aggiornamento. Si crede opportuno predisporre una edizione il 30 giugno 2024 con gli aggiornamenti intercorsi. Chi non avesse avuto la Guida per l’Inserimento sia della Anagrafica che della Decorazione lo faccia presente ( albodoro@istitutonastroazzurro.org

II/3/186 – Provincia di Sondrio (69). Albo d’Oro della Lombardia. Utente Alberto Vido. Inviato l’Home Page per inserimento.  Fonte C. 1 11 Albo d’Oro della provincia di Sondrio ed 1970. Inserimento in corso.

II/3/187 – Provincia di Rovigo (65) Albo d’Oro del Veneto Salvo nuovi elementi acquisti questa provincia sarà presa in esame per le fonti e l’inserimento dati nel 2025

II/3/188 - Alla data del 31 marzo 2024 gli inserimenti totali per Utente, le principali variazioni sono. Monica Apostoli ((894), Giovanni Riccardo Baldelli (173), Alessia Biasiolo (1208), Osvaldo Biribicchi (8), Massimo Coltrinari (322), Claudio Fiori (256), Fabio Lombardelli (69), Giorgio Madeddu (254)

II/3/189 -  Provincia di Trento. (74). Albo d’Oro del Trentino Alto Adige. E’ stato individuato un Albo d’Oro su supporto informatico. Da individuare utente. Inserimento dati dal 2025

II/3/190 – Provincia di Bolzano. Claudio Fiori ha inserito i decorati della Provincia di Bolzano riportati sull’Albo d’oro di Bolzano e Merano. Il Dato che emerge che i decorati iscritti alla Federazione nell’anno di edizione dell’Albo d’Oro erano 252, ma effettivamente nati nella provincia di Bolzano erano in totale 8. Il dato all’esame di ulteriori considerazioni

II/3/191 – Provincia di Sassari (67). Albo d’Oro della Sardegna. Salvo nuovi elementi acquisti questa provincia sarà presa in esame per le fonti e l’inserimento dati nel 2025

II/3/192 -   Roberto Orioli sta predisponendo la Home Page dell’Albo d’Oro dei Decorati con tutte le sue componenti. Si pensa che sarà in prima versione disponibile per il mese di aprile.

II/3/193 – Provincia di Teramo (71). Albo d’Oro degli Abruzzi Salvo nuovi elementi acquisti questa provincia sarà presa in esame per le fonti e l’inserimento dati nel 2025

II/3/194 – Dal mese di aprile si inizierà a preparare le schede dedicate alla Statistica, iniziando a predisporre il rapporto tra numero mdi abitanti e numero dei decorati/ Poi tra decorazione concessa e tipo di decorazioni  e numero di abitanti.

II/3/195  Provincia di Taranto.(70). Albo d’Oro della Puglia. Salvo nuovi elementi acquisti questa provincia sarà presa in esame per le fonti e l’inserimento dati nel 2025

II/3/196. Congratulazioni vivissime a Sergio Pirolozzi al suo rientro da una missioni impegnativa all’estero. Quanto prima, recuperare tutte le energie psicofisiche e riambientatosi, riprenderà la collaborazione con il CESVAM e continuerà a dare il suo apporto all’Albo d’Oro per i decorati della provincia di Salerno.

II/3/197 – Provincia di Treviso (75). Albo d’Oro del Veneto. Salvo nuovi elementi acquisti questa provincia sarà presa in esame per le fonti e l’inserimento dati nel 2025

II/3/198, Alla data del 1 marzo 2024  il totale delle decorazioni inserite erano 21847  Alla data del 1 aprile 2024   il numero degli inserimenti di Decorati era pari a 19800  per un totale di 24026 Decorazioni

II/3/199 .Il Dott. Santoro segnala: Sono state concesse decorazioni al Valor Militare in A.O.I dal 1936 allo scoppio della seconda guerra mondiale per atti contro i ribelli etiopi. La Guerra in Etiopia si è conclusa il 5 maggio 1936. Tutte le Medaglie concesse vanno messe in “Tempo di Pace. Il Primo dopoguerra 1919-1939 (Attualmente è fino al 1934 sarà cambiato in 1939)

II/3/200 - – Prossimo INFOCESVAM – ANNESSO PER ALBO D’ORO sarà pubblicato il 1 maggio 2024.  precedenti numeri di Infocesvam (dal gennaio 2023) ANNESSO  sono,  pubblicati su www.cesvam.org e sul sito dell’Istituto del Nastro Azzurro/ comparto CESVAM e sui blog: www.associazionismomilitare e su www.valoremilitare.org. Dal gennaio 2024 L’ANNESSO  al Bollettino Infocesvam ha cadenza mensile ed uscirà in modo autonomo. Prossima edizione di  INFOCEVAM – ANNESSO II/4 Aprile 2024 che uscirà il 1 maggio 2024 (a cura di massimo coltrinari)

mercoledì 20 marzo 2024

Volume. La Giornata di Castelfidardo 18 settembre 1860.

 

La situazione nel settembre 1860

Il successo della spedizione dei Mille porta Garibaldi a Napoli, con il prossimo obbiettivo Roma. E’ necessario fermarlo per garantire l’equilibrio in Italia e garantire un residuo potere temporale ai Papi. I prodomi della invasione delle Marche e dell’Umbria.

 

L'entrata a Napoli di Garibaldi il 7 Settembre 1860 fece precipitare la situazione politico-militare ed istituzionale in Italia, alterando gli equilibri esistenti[1] Partito da Quarto nel maggio precedente, alla testa di 1089 volontari, per portare la Rivoluzione nel Regno delle Due Sicilie, con l'appoggio tacito ed indiretto del Governo di Torino, Garibaldi, sbarcato a Marsala, aveva conquistato la Sicilia nell'estate. Passato sul continente, non trovò validi ostacoli alla sua azione e ai primi di settembre era padrone della situazione. Re Francesco aveva lasciato Napoli e si era ritirato a Gaeta, con un forte nerbo d'esercito. Per Cavour il problema essenziale era quello di portare le conquiste garibaldine nell'alveo della volontà moderata, evitando che Garibaldi prendesse iniziative ulteriori. La presenza a Napoli di Giuseppe Mazzini, di numerosi repubblicani di Francia e d'Italia, degli elementi più accesi e decisi del partito d'azione, la dichiarata volontà di Garibaldi di voler proseguire per Roma, per abbattere il potere temporale dei Papi e dare Roma all'Italia, determinava una situazione inquietante, che avrebbe certamente provocato l'intervento o dell'Austria o della Francia, alterando i difficili equilibri europei.

La situazione politica, quindi, in quella estate del 1860 era quanto mai fluida e, anche sotto il profilo dell’equilibrio europeo, fonte di pericoli; occorreva prendere iniziative concrete. Se a Napoli il partito dei rivoluzionari, dei repubblicani, dei progressisti era fermamente intenzionato ad agire, a Roma le cose non erano certamente  più tranquille. Pio IX mostrava di gradire sempre più l'influenza del partito conservatore, chiamato in quel tempo, ultramontano, nonostante gli sforzi del Cardinale Antonelli, esponente del partito moderato,  di ricondurre tutto nell'alveo di un civile equilibrio, attraverso gli accordi con le potenze amiche, soprattutto Austria e Francia. Dopo la perdita delle Romane [2], il partito ultramontano aveva acquisito ulteriore influenza ed aveva imposto a Pio IX la nomina di Monsignor Xavier De Merode[3]. Questi era sempre più convinto che le corti europee, soprattutto dopo il Congresso di Parigi del 1856, andavano adottando principi e metodi che si discostavano sempre più dalla alleanza trono-altare. Lo Stato Pontificio doveva, quindi, in questa ottica, provvedere direttamente alla propria difesa e cercare di fare affidamento sulle proprie forze e risorse. E' una linea politica che si scontra con l'elemento moderato ed italiano del Quirinale[4] impersonificata dal Cardinale Antonelli, convinto assertore che contro gli eventi che si stavano maturando in Italia era stolto opporsi con la forza. Gli esponenti del  partito ultramontano e Mons. De Merode in particolare, non perdevano occasione  per scagliarsi contro la rivoluzione e di bandire, nel contempo, ogni elemento italiano, chiamato al tempo indigeno, dalla corte e dal governo pontificio, elemento ritenuto infido, corrotto e traditore. In questo fervore non poteva evidenziarsi la scarsa fiducia, se non il malanimo, verso la Francia di Napoleone III. Non si aveva più nessuna fiducia in Parigi ed a Roma si andò oltre le linee. L’ira contro Napoleone III era divenuta  così stranamente esagerata, che le dame del Sacro Cuore, nel convento di  Santa Rufina, gli avevano dato il nome di " primogenito del demonio" ed il Margotti lo aveva definito "l'uomo dalle tredici coscienze", per giungere alla "Civiltà Cattolica", la rivista dei gesuiti, che ad ogni numero non risparmiava i più ingiuriosi epiteti. In questo clima dichiaratamente ostile alla Francia, in cui sia il Comandante in Capo delle truppe francesi, gen. Goyon, sia l'Ambasciatore Gramont, mostravano di non padroneggiare a sufficienza la situazione, l'ambasciatore austriaco Hubner, recentemente nominato, lasciava credere a tutti che la guerra era imminente. Insisteva,inoltre, nel dire che una vittoria dell'Austria, sicuramente, sarebbe bastata a cancellare tutto quello che i Sardi e i loro amici rivoluzionari avevano conquistato negli ultimi mesi, umiliando l'influenza francese in Italia e dando una lezione al Regno di Sardegna dieci volte più significativa di quella del 1848-1849. Queste parole concretizzavano il grande desiderio e la grande speranza non solo di Pio IX ma di tutto il Partito Ultramontano. Nonostante le dichiarate asserzioni di Napoleone che la Francia non avrebbe mai abbandonato Roma, e la presenza stessa delle truppe francesi stava a significarlo, Mons. De Merode ed il suo partito confidavano nell'Austria e, subordinatamente, nell’Esercito Pontificio, a cui avevano iniziato a dare ogni cura.

Del resto la nomina di De La Moricière a Comandante in Capo dell'Esercito Pontificio  era stato un gesto  estremamente significativo in chiave antinapoleonica. Napoleone III, peraltro mal servito dalla sua diplomazia a Roma, non aveva chiara la situazione che si era maturata: comprendeva solo che il partito legittimista a lui ostile,  aveva una grande influenza su Pio IX, generando ulteriore confusione e dubbi. Nei contrasti fra Napoleone III ed i suoi protetti, si inserisce abilmente Cavour.  Nessuno meglio del Treitschke condensò, subito dopo gli avvenimenti, in poche parole l'opera audace e spregiudicata  del ministro sardo:

"Cavour concepì il disegno di annullare con un colpo improvviso l'esercito della ristorazione di Lamoricière, poi di effettuare l'unione del Mezzogiorno e così salvare coll'unità d'Italia, anche l'autorità della corona. Egli stesso considerò più tardi questo ardito pensiero come il migliore titolo della sua gloria: 'La monarchia era perduta se noi non eravamo presto al Volturno!'. Il 28 agosto Farini e Cialdini furono ricevuti dall'imperatore a Chambéry; essi rappresentavano che l'esercito legittimista della Curia minacciava il suo trono stesso; che Garibaldi voleva chiamare a sé Charras, l'antico avversario di Napoleone; che la spedizione del Veneto diventava una necessità, appena Garibaldi movesse sopra Roma. E allora che cosa  accadrebbe di ogni ordine civile, se la monarchia non istrappava il pugnale dalle mani del partito d'azione? Così stretto e messo al muro Napoleone non osò opporsi; ma il famoso “ faites, mais faites vite”, che gli fu posto in bocca, non lo ha mai detto."[5]

Napoleone III, quindi, non ha mai pronunciato tali parole, che segnarono i tempi della Campagna nelle Marche e nell’Umbria, ma appare chiaro che l'Imperatore si lasciò penetrare anche troppo dalla politica del Cavour, che intuì di poter osare. Napoleone III non voleva l'unità d'Italia, che significava una perdita di influenza nella penisola. Il suo atteggiamento nel 1859 era apparso quanto mai  chiaro. Mirava a sostituire l'influenza austriaca con quella francese per controbattere e di equilibrare quella inglese, in un contesto generale degli equilibri nel Mediterraneo. Per questo era risoluto a non voler abbandonare Roma, che cadrà in mani italiane solo quando lui cadrà a Sedan nel 1870. Quando le truppe Sarde passeranno il confine pontificio, l'11 settembre 1860, Napoleone III, estremamente turbato, richiamò il suo ambasciatore da Torino.[6] Nel  contempo ordinò di rafforzare la guarnigione francese a Roma. Questo ordine  fu interpretato  in modo equivoco dall'ambasciatore francese a Roma, Gramont, tanto che lo stesso Gramont telegrafò, l'11 settembre, al conte de Courcy, vice console francese ad Ancona, lasciando  prevedere un intervento francese.[7] Come vedremo copia di questo dispaccio fu inviata dal De Merode  a De La Moricière che lo ricevette il 16 settembre, mentre questi era in marcia dall’Umbria alle Marche, via Colfiorito.

L’atteggiamento della Corte Pontificia e del Governo nei confronti di Napoleone III era improntato, prima del settembre 1860, a diffidenza e sospetto; dopo gli avvenimenti nelle Marche e nell’Umbria a risentimento e ostilità. Roma e tutti i responsabili pontifici si attendevano da Parigi un sostegno concreto contro i rivoluzionari e gli scomunicati sardi, sull’esempio del 1849, quanto l’intervento francese determinò la fine della Repubblica Romana e il ripristino del Potere Temprale dei Papi. La diplomazia del Quirinale, però, non penetrò mai a fondo il pensiero di Napoleone III, orientato a permettere azioni Sarde nell’Italia centrale, purché il Lazio e Roma fossero salvaguardate. Di conseguenza, coloro che erano chiamati a difendere in armi i confini dello Stato Pontificio, non ebbero mai la certezza che i Francesi non si sarebbero mossi in loro aiuto per difendere le Marche e l’Umbria.  In realtà Napoleone III sarebbe intervenuto solo se i Sardi avessero attaccato Roma ed il Patrimonio di San Pietro, l'odierno Lazio;[8] e non si sarebbero mossi qualora le Marche e l'Umbria fossero state invase.  Napoleone III, da Chambéry,  non rientrò a Parigi, ma si recò in Algeria, dove si fermò fino al termine delle operazioni nell'Italia Centrale, nella convinzione che in Africa sarebbe stato ben più lontano dalle pressioni e dalle agitazione che sicuramente si sarebbero provocate  stando a  Parigi. Tutto questo generò l’equivoco di fondo di Chambéry del 28 agosto, basato tutto sul tacito consenso di Napoleone III. I Pontifici agivano nella speranza, che in qualcuno era certezza, dell’arrivo dell’Esercito Francese. Occorre rilevare che il De la Moriciére, nella sua relazione al Pro Ministro per le Armi, nega di aver creduto in questo soccorso, anche se numerosi atti stanno a dimostrare il contrario. Così si esprime “Conchiudo questo rapporto, già molto col rispondere una parola al rimprovero che mi è stato fatto per aver pubblicato, sul cominciamento della guerra, alcuni documenti che mi sembravano annunziare l’appoggio della Francia. Io non ho nessuna difficoltà di concedere che nei primi giorni ho creduto a questo appoggio, e quindi era naturalissimo il servirmi di quei documenti per sostenere il coraggio delle truppe che io comandava. Ma errerebbe grandemente chi volesse cercare la spiegazione del piano di guerra da me stabilito, nella speranza del soccorso che pareva a noi promesso. Io mi trovava innanzi ad una questione di dovere e di onore; e se io avessi voluto nelle mie risoluzioni tener conto della gravità del pericolo che poteva attenderci, i miei antichi compagni d’arme dell’Esercito Francese mi avrebbero rinnegato, ed ardisco anzi dire che non mi avrebbero riconosciuto”[9]   Le asserzioni del De la Moricière possono anche essere accolte, ma sicuramente il suo comportamento ebbe gravi ripercussioni sul piano operativo, sotto il profilo informativo.[10] Tutto l’ambiente legittimista si risentì contro Napoleone III e il suo atteggiamento di sostanziale avallo alla politica cavourriana.

 Questo gli attirò l'accusa di tradimento da parte del partito cattolico e l'odio viscerale di tutto il partito ultramontano, che vide in questo atteggiamento la conferma di quanto di negativo si pensasse a Roma riguardo all'Imperatore. Il Comte de Colleville, nella sua opera dal titolo estremamente significativo, “ Un crime du Second Empire” non ha difficoltà a scrivere che la maggior parte di coloro che erano accorsi sotto le bandiere pontificie speravano nell’aiuto francese. “Gli ufficiali, conformemente alla capitolazione, conservavano le loro armi e i loro cavalli, e i soldati deponevano i loro fucili in un immenso ammasso. Quando i Franco-Belgi gettarono con rabbia sul mucchio le loro armi con le baionette storte e insanguinate, ci fu un momento di emozione tragica che non fu possibile dissimulare. “L’indomani, 20 settembre – dice Alfred Nalbert nei suoi appunti sulla battaglia – ci fu permesso di passeggiare nella città. Sentì il generale Cialdini dire al conte di Becdeliévre.

- Comandante, voi dovete essere fiero di comandare gente tanto in gamba.

– Il Comandante gli rispose: - E’ vero, generale, ma mi farete un favore se vorreste scrivermi ciò che mi state dicendo. E’ inutile – rispose il generale – tutta l’Europa lo saprà”.

Cialdini desiderava vederci da vicino e, da parte nostra, la curiosità non era minore; così lo attorniammo nella piazza e si instaurò una conversazione tra lui ed i nostri ufficiali, guide e Franco-Belgi; alcuni lo interpellarono ed ottennero delle rivelazioni che ci aprirono all’improvviso gli occhi riguardo al governo francese. Cialdini, infatti, confessava cinicamente che il governo di Torino aveva ogni autorizzazione ad agire da parte dello stesso Napoleone III e che, di conseguenza, non doveva tener conto del dispaccio dell’ambasciatore francese a Roma. – Il vostro Imperatore è con noi – diceva – noi eravamo sicuri che voi non sareste stati soccorsi. La furberia dell’uomo di Dicembre era ben conosciuta da tutti quegli esponenti monarchici francesi, ma, veramente, questa volta essa superava ogni immaginazione ed essi ne restarono confusi.”[11] 

Ma se da parte francese il non intervento francese poteva anche essere ipotizzato, tutti gli eventi del settembre 1860 da parte pontificia furono condizionati dalla convinzione che l'Austria si sarebbe sicuramente mossa, e con una guerra decisiva, si sarebbe ripresa non solo la Lombardia ma avrebbe ripristinato il suo predominio e l'autorità dello Stato della Chiesa sulle Romagne e restituito i Lorena a Firenze. A Vienna, peraltro, si era iniziato a pensare che in Italia la migliore politica era quella della difensiva. Non era possibile tenere tutto l'Impero unito, lanciando guerre  successive. L'Ungheria era il vero problema e tutte le forze dovevano essere concentrate  affinché i magiari rimanessero nell'Impero, altrimenti tutto sarebbe crollato in una sorta di effetto domino. Vienna aveva timore che rivolte ed insurrezioni scoppiassero in Ungheria, dando inizio al processo di sfaldamento dell'Impero. Non ci si nascondeva che Kossuth era in Italia e con lui il Thurr e il Klapka e soprattutto non si ignorava i loro accordi e le loro intese con Cavour, la formazione della legione ungherese[12], e i progetti di portare la rivoluzione a Budapest. In quella estate del 1860, non per altro, dopo quanto stava successo nel meridione d’Italia, Vienna sottolineava che i tre principali indipendisti ungheresi, fraterni amici sia di Garibaldi che di Mazzini, erano a Napoli. Orientata al non intervento, in considerazione anche dei difficili rapporti con lo Zar, preoccupata dalla situazione interna, soprattutto ungherese,  l'Austria, aveva molte riserve mentali, ed alla fine,  non si mosse.

Lo Stato Pontificio doveva fare, in ultima analisi, assegnamento solo sulle proprie forze, secondo quanto sosteneva il De Merode, oppure seguire gli avvenimenti, senza opporvisi, cercando di sfruttare le occasioni che si presentavano, in un abile politica di contenimento, secondo quanto sosteneva  il Cardinale Antonelli e che aveva dato i suoi frutti  dieci anni prima, nel tremendo biennio 1848-1849.  Ottenuto il tacito accordo del non intervento francese, Cavour ordinò di provocare una sollevazione antipapale ad Urbino e nel Montefeltro nel nord delle Marche, mentre il Masi doveva sconfinare dalla Toscana  al fine di ottenere un pretesto per invadere le Marche e l'Umbria. Tale insurrezione  aveva anche lo scopo di giustificare, agli occhi degli Italiani, l'intervento nel sud, affinché non fosse palese che tutta l'operazione aveva lo scopo di assorbire, nella scena politica italiana, il partito d'azione e Garibaldi, inserendolo con la punta delle baionette nell’alveo moderato.  I rapporti tra Cavour e Garibaldi non furono mai sereni, spesso difficili, in qualche frangente pessimi. Durante tutta la spedizione dei Mille, Cavour  era impaziente di prendere iniziative ed azioni contro Garibaldi e contro la sua politica progressista, non facendone mistero con i suoi diretti collaboratori e con i suoi amici. Del resto in quei giorni Garibaldi , con frasi anche banali, additava Cavour  all'odio pubblico. Esempi significativi sono il proclama ai palermitani, il colloquio di Caserta con Silvio Spaventa[13], il non voler accettare il plebiscito, la grande intesa con Bertani e con Crispi, dichiaratamente anticavourriani,. Esempi chiari, sottolineati dall’ordine dato a settembre da Garibaldi al colonnello Tripoti a Teramo: "Ricevete i piemontesi a fucilate". L'insurrezione proposta nel nord delle Marche, quindi, serve anche a giustificare l'azione verso Garibaldi. Cavour aveva anche valutato che Re Francesco era abbastanza forte nel nord del suo Reame, ovvero a Napoli e negli Abruzzi.  E che cominciava a manifestarsi una reazione a suo favore da parte dei napoletani, con atteggiamenti non certo di abbandono in massa come i siciliani. I 40.000 soldati borbonici schierati sul Volturno erano una reale minaccia, che una calata da nord  delle regie truppe sarde, avrebbe di molto annullato. Cavour aveva le idee molto chiare e sapeva ben tenere in mano il bandolo della matassa degli equilibri internazionali e nazionali in quell’estate del 1860, ed il piano che via  via stava elaborando, alla fine di agosto, presentava le condizioni ottimali per essere attuato.  Cavour,  ai primi di settembre, scriveva al colonnello Efisio Cugia, capo di stato maggiore del IV Corpo d'Armata, quello destinato ad invadere le Marche,  la seguente lettera , che rileva la sua impazienza, le sue ansie e il suo animo verso Garibaldi:

 "Carissimo amico,ti ringrazio delle buone notizie, che mi trasmetti col tuo foglio del 31 andante. Se le Marche sono in condizione di fare un moto serio, lo aiuteremo, e la faremo finita con Lamoricière. Non possiamo aspettare Garibaldi alla Cattolica; ma lo incontreremo al confine del Regno di Napoli; credo che potremo lottare con lui. Il moto delle truppe verso il confine è cominciato. Tu sei all'avanguardia, ma ne consolo ché così avrai campo di farti onore e di passare presto dal comando di una brigata a quella di una divisione. Si cerca di tenere coperto il nostro progetto, col dire che gli apparecchi si fanno per Napoli. Addio, mi scriverai il giorno in cui sarai entrato in Ancona Tuo affezionatissimo C. Cavour. [14]

Il 7 Settembre 1'azione di quelle che successivamente saranno chiamate le forze insurrezionali, ha inizio, coordinata dal Comitato di Rimini. Insorgono oltre Pergola, Santa Agata Feltria, Fossombrone, Pesaro e Fano, avendo successo ovunque meno che a Pesaro e Fano ove la presenza di guarnigioni pontificie bloccò sul nascere ogni azione.  La notizia delle sollevazioni pro-nazionali nell'Urbinate provoca 1'immediata reazione pontificia: già il 9 Settembre 1860 due colonne mobili, della Brigata De Courten, muovono da Macerata verso il nord delle Marche, con il dichiarato scopo di soffocare ogni tentativo di ribellione al potere dei Papi. Questa iniziativa militare avrà delle ripercussioni nel corso delle operazioni iniziali della campagna delle Marche e dell'Umbria.[15]  Mentre le Marche settentrionali iniziano ad insorgere, il Cavour dà l’avvio al suo piano: i giornali di Torino annunziano a grossi caratteri la notizia che nelle Marche è in corso una insurrezione contro il papato e questa notizia viene diffusa, per telegrafo, in tutta Europa. Nel contempo prende l’avvio l'iniziativa diplomatica sarda con l’invio di  un ultimatum politico-diplomatico al Governo Pontificio. Il Cavour ordina al conte Della Minerva, che era stato l'ultimo ambasciatore a Roma, di partire per Roma. Della Minerva, partito il 7 settembre da Genova, sbarcò a Civitavecchia con un giorno di ritardo, il 9 anziché l'8 settembre, a causa di una burrasca nell'alto Tirreno. Il delegato pontificio di Civitavecchia, la massima autorità pontificia nel porto laziale, non gli permette di proseguire, benché il Della Minerva affermasse di essere latore di una lettera pressante del Primo Ministro Sardo, Cavour per il Cardinale Antonelli, capo della Segretaria di Stato. Il delegato pontificio ritira lui la lettera e la fece recapitare al Segretario di Stato a Roma con la massima urgenza possibile.

L’ ultimatum[16], concepito proprio per  non essere accettato, prevedeva che se le forze nazionali operanti nelle Marche venivano affrontate e disperse dall'Esercito Pontificio, questo avrebbe provocato 1'intervento dell'Esercito Sardo[17], intervento resosi necessario per tutelare gli interessi nazionali e le aspirazioni all'italianità dei marchigiani. Era un ultimatum non corretto nella forma, come si può notare,  soprattutto  in quei passi in cui chiedeva lo scioglimento dell'Esercito Pontificio. Questo fu fatto notare anche dalla stampa e dai partiti liberali inglesi, notoriamente vicini alle posizioni del Cavour. Ma Cavour aveva fretta ed agì di conseguenza. In attesa della risposta  pontificia, che Cavour si aspettava per il 9, al più tardi, per il 10 settembre, il 9 settembre comunicò a tutti i rappresentanti diplomatici del Regno di Sardegna presso le Corti d'Europa, che il Governo Pontificio si era rifiutato di soddisfare " le giuste richieste del suo sovrano e che perciò era costretto a far ricorso ad una azione di guerra" [18] Nel contempo aveva ordinato al generale Fanti  di avviare i preliminari per passare la frontiera pontificia con l’Armata d’invasione. La risposta pontificia,[19] l'11 Settembre 1860, non si fece attendere: 1'ultimatum è respinto con ferme parole, non prive di argomentazioni valide e con una certa dignità.

Ma oramai la parola era passata alle armi, essendosi già messa in moto la macchina dell'invasione. Alle ore 12 del 10 Settembre 1860 il capitano di Stato Maggiore dell'Esercito Sardo, Farini, si presentò al Quartier Generale dell'Esercito Pontificio a Spoleto, recante un ultimatum militare, che fu presentato al Generale De La Moricière, Comandante in Capo dell'Armata Papale. Questo ultimatum era a firma del Generale Fanti, posto dal Cavour a capo delle forze d'invasione sarde[20], ove "si dichiarava che, per ordine di Vittorio Emanuele , Re di Sardegna, il territorio pontificio sarebbe stato subito invaso dalle truppe sarde, se da parte dell'Esercito Pontificio vi fosse stata una qualsiasi repressione di manifestazioni di sentimenti popolari, e se manifestazioni del genere fossero assecondate , ritirando immediatamente l'Esercito dai luoghi dove esse avvenivano"[21] ovvero la richiesta[22] prevedeva la richiesta di sgombero delle Marche e dell'Umbria da parte dell'Esercito Pontificio. De La Moricière nella sua relazione così scrive:

"Fui indignato dalla lettera consegnatami e, poiché il capitano Farini, al quale avevo fatta cortese accoglienza, mi disse di essere a conoscenza del contenuto della lettera di cui era latore, gli feci osservare che mi si proponeva di evacuare senza conflitto provincie di cui mi era stata affidata la difesa: che per me e il mio esercito ciò sarebbe stata una vergogna e un disonore; che il Re del Piemonte ed il suo generale avrebbero potuto fare a meno di inviarmi tale diffida , dichiarandoci più lealmente  la guerra; infine , che, nonostante la superiorità numerica del Piemonte, noi non avremmo dimenticato che per difendere l'onore oltraggiato del governo di cui sono al servizio, ufficiali e soldati non devono tener conto né del numero dei nemici, né della salvezza della loro vita.”[23]

 Anche questo ultimatum venne naturalmente respinto determinando l'inizio delle ostilità, a decorrere dalla mezzanotte del 10 Settembre 1860. Alle truppe sarde furono indirizzati  ordini del giorno da parte del Re Vittorio Emanuele,  da parte dei generali Fanti, Morozzo della Rocca e Cialdini. Vittorio Emanuele  nel suo ordine del giorno sottolinea che le truppe entrano nelle Marche e nell'Umbria " per liberare le infelici provincie  dell'Italia  dalla presenza di avventurieri stranieri"[24] Un proclama che rivela gli accordi con la Francia e la parte del progetto cavourriano di intervento, ove si nasconde abilmente l'obbiettivo di giungere al Sud, a neutralizzare Garibaldi. Né il Governo né la diplomazia  pontificia riescono a cogliere questo messaggio, e per tutta la durata della campagna sperano in un intervento francese ed austriaco. Ci si attarda sulle recriminazioni ed invettive come quella del vescovo di Orlèans, che commentando l'invasione, così  scrive:

"Così, senza una dichiarazione di guerra . senza nessuna delle decorose forme convenzionali che sono l'ultima salvaguardia dell'onore fra i popoli civili, come se vivessimo ancora nella più oscura barbarie, masse armate invasero gli stati pontifici"[25]  Ma lo Stato Pontificio fu abbandonato da tutte le corti d'Europa. Le cattoliche Austria e Spagna, la scismatica Russia e la Prussia protestante, furono unanimi nel protestare e ritirare i loro  ambasciatori accreditati presso il Regno di Sardegna, come del resto fece la Francia. Solo la Gran Bretagna  lasciò il suo ambasciatore a Torino. Questa protesta, però, rimase solo tale e non fu seguita da alcun atto concreto. Nessuno in Europa voleva salvare gli ultramontani di Roma.

I proclami dei comandanti in capo delle truppe furono più rudi e militareschi, del resto indirizzati a truppe in procinto di entrare in azione. Fanti  sottolineava che i  soldati sardi  avevano dovuto abbandonare le proprie case ed il loro paese per combattere  quelli che venivano indicati come " uomini senza patria né tetto, che avevano piantato sul  suolo dell'Umbria la falsa bandiera di una assurda religione.”[26] Cialdini, dimenticando che nel 1848 aveva rivestito il grado di colonnello nell'Esercito Pontificio e sotto le sue bandiere aveva combattuto nel Veneto e vi era stato ferito, dal Quartier Generale di Rimini, l'11 settembre invia questo proclama: 

"Soldati del IV Corpo, vi conduco contro una masnada di briachi stranieri, che sete d'oro e vaghezza di saccheggio trasse nei nostri paesi. Combattete, disperdete inesorabilmente quei compri sicari, e per mano vostra sentano l'ira di un popolo, che vuole la sua nazionalità e indipendenza. Soldati! l'inulta Perugia[27] domanda vendetta  e, benché tarda, l'avrà. Il generale comandante il IV Corpo d’Armata, Enrico Cialdini"

All’alba dell’11 settembre le truppe Sarde passano il confine, dando inizio alle operazioni di invasione su due Corpi d’Armata: il IV, agli ordini di Cialdini nelle Marche, lungo la litoranea adriatica; il V, al comando del gen. Morozzo della Rocca, nell’Umbria. Una divisione, la 13a, doveva percorrere la dorsale appenninica, svolgendo azione di raccordo tra i due Corpi d’Armata. Ogni azione, ogni gesto da parte Sarda è indirizzato ad agganciare in campo aperto le forze mobili pontificie e disperderle; da parte pontificia tutto è indirizzato a resistere possibilmente in qualche piazzaforte, in attesa dei già annunciati aiuti delle Potenze amiche, sopratutto l’Austria.

Si delineano  così le volontà delle parti, che si esplicano in una fase concettuale, teorica per la focalizzazione degli obbiettivi, ed una fase esecutiva, ovvero la realizzazione di quelle azioni necessarie per la realizzazione ed il conseguimento dei medesimi. Nessuna delle due parti aveva progettato la battaglia che si accese il 18 settembre nella piana del Musone: una la ricercava, l’altra la voleva assolutamente evitare. Pertanto la battaglia di Castelfidardo fu una battaglia d’incontro, combattuta al seguito ed al susseguirsi degli eventi.

 



[1]Per i riflessi degli eventi del 1860, la Spedizione dei Mille, nello Stato della Chiesa, vds. il vol. II, M. Coltrinari, “l’Anno di Castelfidardo. 1860” secondo il programma editoriale e che sarà pubblicato nell’immediato futuro. (Vds. Nota, in prefazione)

[2]A seguito della guerra tra l’Austria, e la Francia e il Regno di Sardegna conclusasi con l’armistizio di Villafranca tutto il Nord Italia ebbe un assetto diverso. L’Austria conservò il Veneto, ma dovette cedere alla Francia, che poi la cedette al Regno di Sardegna, la Lombardia; Il Ducato di Toscana e le Legazioni si erano dati governi provvisori che, in seguito a plebisciti, confluirono nel Regno di Sardegna.

1 Federic Francois  Xavier de Merode nasce a Bruxelles nel 1820. Dopo aver ricevuto una educazione tipica della medio borghesia agiata, nel 1839 entra nella Scuola Militare, da cui ne esce due anni dopo con il grado di sottotenente, al 10° Reggimento di Linea.. L'impatto  con la vita militare non è positivo e chiede al Re Leopoldo I di accordargli il permesso di servire nell'esercito francese. Raggiunta l'Algeria, è aggregato allo Stato Maggiore personale del Maresciallo Bugeand. Nelle operazioni che seguono la battaglia d'Isly (1844) mette in luce coraggio e spirito d'iniziativa, meritando la croce della Legion d'Onore. Nel 1845 rientra in Francia. Dopo un viaggio a Roma, chiede di dimettersi dall'esercito per seguire  la vocazione religiosa. Dimesso con il grado di Capitano, il 22 dicembre 1847 è esonerato da tutti i servizi nell'esercito. Dopo un noviziato intenso, il  23 dicembre 1848 riceve la tonsura ed inizia la carriera religiosa. Il biennio 1848-1849 per l'Europa e per lo Stato Pontificio. De Merode in questi frangenti compie numerose azioni rischiose, tra cui quella di attaccare per i portoni della Roma rivoluzionaria ed anticlericale, la lettera di scomunica che Pio IX ha mandato al Governo Provvisorio. In una di queste è arrestato e tradotto in carcere. Evade, aiutato dalla figlia del suo carceriere: il giovane ex-capitano, anche se prete, sapeva usare ogni mezzo per uscire da difficili situazioni. Dopo il rientro in Roma del Papa, De Merode è ordinato sacerdote il 22 settembre 1849. Il 12 aprile 1850 Pio IX lo nomina cameriere segreto partecipante. Con il passare degli anni De Merode acquista sempre più influenza, divenendo uno degli esponenti di spicco del partito ultramontano. Con l'intervento della Francia in Italia, la perdita delle Romagne e l'annessione degli Stati dell'Italia Centrale al Regno di Sardegna, Pio IX si convince che lo Stato va difeso anche con il proprio esercito. E' il momento di maggior fulgore per De Merode: chiama al comando dell'Esercito Pontificio il gen. De La Moricière, bandisce una crociata legittimista in tutta Europa, chiama i cattolici a difendere la cattedra di San Pietro, svolge una azione diretta a rafforzare le difese. Dopo la caduta di Ancona continua a potenziare l'Esercito Pontificio.

Nell'evolversi della situazione internazionale e la convenzione di settembre (1864) lo pongono in contrasto con Pio IX e si accentua il suo disaccordo con l'Antonelli. Il 6 ottobre 1865 è sostituito come Pro Ministro per le Armi dal gen. Kanzler e, accettando di divenire il Cappellano Militare di Pio IX., perde via via ogni influenza politica. Con il 1870 si ritira a vita privata; conduce diverse speculazioni finanziare, tutte molto fortunate, con le quali da vita a numerose istituzioni di beneficenza. Si spegne nel 1874.

[4] Il Papa e la sua corte fino al 1870 risiedeva  al  Palazzo del Quirinale; con l'entrata delle truppe Italiane nel settembre 1870 si ritirò nella cosiddetta città Leonina, sul colle del Vaticano, che poi, nel 1929 divenne  la Città del Vaticano.

[5] De Treitschke ,E., Il Conte di Cavour, trad. di A. Guerrieri Gonzaga, Firenze, Barbera, 1873

[6] L'ambasciatore del Regno di Sardegna  a Parigi, Costantino Nigra, nella visita di congedo testimonia che Napoleone III, stringendogli la mano bonariamente, disse " au revoir, mon cher Nigra"., significando che una lezione ai legittimisti di Roma non gli sarebbe dispiaciuta.

[7] Il dispaccio così era concepito. "L'Imperatore ha scritto da Marsiglia al Re di Sardegna che se truppe piemontesi penetreranno nei territori pontifici, sarà costretto ad opporvisi; Ordini sono già stati impartiti per l'imbarco di truppe a Tolone e questi rinforzi giungeranno immediatamente. Il governo dell'Imperatore non tollererà la colpevole aggressione del governo Sardo. In qualità di viceconsole di Francia voi dovete regolare la vostra condotta in conformità. Firmato Gramont."

[8] Il 1 settembre 1860 il generale de Nouè, che comandava la guarnigione ausiliaria francese di Roma, pubblicò un significativo proclama, annunziando di avere avuto dall'Imperatore l'ordine di difendere da tutti gli attacchi la città di Roma, la Comarca e le provincie di Civitavecchia e di Viterbo; in altre parole, la massima parte del territorio lasciato alla Santa Sede dal 1860 al 1870. Il proclama aveva come significato che l'Esercito francese non avrebbe esteso le sue operazioni oltre i limiti predetti, a conferma delle intese di Chambéry.

[9] Relazione De la Moriciére.

[10] Su questo aspetto si rimanda al volume dedicato all’Assedio di Ancona, in cui si analizza il susseguirsi degli avvenimenti dall’11 settembre alla presa della piazzaforte dorica il 29 settembre. I Sardi, in pratica, furono costantemente aggiornati delle mosse del De la Moriciére, anche attraverso i manifesti che lo stesso De la Moriciére fece affiggere per la popolazione con le notizie relativo all’arrivo delle truppe francesi. In questo volume, poi, si analizza criticamente le scelte del De La Moriciére,  che determinarono il piano generale di difesa dello Stato agli inizi di settembre del 1860, incentrato sulle alternative della difesa: o difesa dell’Umbria, la scelta ritenuta più probabile dal Comando Sardo, o la difesa di Ancona, per mantenere i contatti con l’Austria, scelta che presupponeva avere sicure le comunicazioni con Roma. Cfr. Coltrinari M, L’Assedio di Ancona nel 1860, Castelfidardo, Fondazione Duca Roberto di Castelferretto, manoscritto. 2004.

[11] Vds Comte de Colleville, Un crime du Second Empire, Juven, Paris, 1910, pag. 184 e ss. La traduzione è di M Moroni, così come presentata nel volume di Marinelli P., De Pugna ad Castrumficardum, Camerano, Cassa Rurale ed Artigiana “S. Giuseppe”, pag. 263

[12] Tale legione si formò, e nel 1867 ebbe stanza ad Ancona

[13]  Riportato dal De Cesari " il dittatore , battendo con la punta della sciabola il pavimento, diceva: - Cavour ha il cuore più duro di questo marmo e Napoleone III ha la coda di paglia, alla quale darò fuoco"

[14] De Cesare, R., Roma e lo Stato del Papa, cit., pag. 397

   De Casari R., Roma e Lo Stato del Papa, Longanesi e C, Milano, 1971, pag. 399

[15] Ad Urbino alle ore 7 dell' 8 settembre 1860, l'avanguardia delle forze insurrezionali, dopo un  breve scambio di fucilate con una pattuglia pontificia, occupò porta Santa Lucia e giunse a Piazza San Francesco. I pontifici, due compagnie di ausiliari ed una quarantina di gendarmi al comando del cap. Gennari, furono sorpresi ed opposero una resistenza che durò meno di un'ora. Si ebbero un morto ed una decina di feriti fra i pontifici, nessuno tra gli insorti. Abbattuti gli stemmi pontifici, fu subito creato un governo provvisorio  con a capo il marchese Luigi Tanari, che svolse anche le funzioni di regio Commissario Sardo. La sera del 9 settembre, due giorni prima dell'inizio dell'invasione vi erano concentrate circa 2000 uomini delle forze insurrezionali. Moti insurrezionali in quei giorni scoppiarono anche ad Ancona e a Camerano, ma la situazione fu subito posta sottocontrollo dal Comando della Piazza di Ancona.

[16] Il testo dell'ultimatum è il seguente:

Torino, lì 7 settembre 1860

Eminenza,

il governo di S.M. il Re di Sardegna non poté vedere senza grave rammarico la formazione e l'esistenza dei corpi di truppe mercenarie straniere al servizio del Governo Pontificio. L'ordinamento di siffatti corpi non formati, ad esempio di tutti i Governi civili, di cittadini del paese, ma di gente di ogni lingua, nazione, e religione, offende  profondamente la coscienza pubblica dell'Italia e dell'Europa. L'indisciplina inerente a tale genere di truppe, l'improvvida condotta dei loro capi, le minacce provocatrici di cui fanno pompa nei loro proclami, suscitano e mantengono un fenomeno oltremodo pericoloso. Vive pur sempre, negli abitanti delle Marche e dell'Umbria, la memoria dolorosa delle stragi e del saccheggio di Perugia. Questa condizione di cose, già da per se stessa funesta, lo divenne di più dopo i fatti che accaddero nella Sicilia e nel reame di Napoli. La presenza dei corpi stranieri, che ingiuria il sentimento nazionale, ed impedisce la manifestazione dei voti dei popoli, produrrà immancabilmente la estensione dei rivolgimenti nelle provincie vicine. Gl'intimi rapporti  che uniscono gli abitanti delle Marche e dell'Umbria con quelli delle Provincie annesse agli Stati del Re e le ragioni dell'ordine e della sicurezza dei propri Stati impongono al Governo di S. Maestà di porre per quanto sta in lui immediato riparo a questi mali. La coscienza del re Vittorio Emanuele non gli permette di rimanersi testimonio impassibile delle sanguinose repressioni, con cui le armi dei mercenari stranieri soffocherebbero nel sangue italiano ogni manifestazione di sentimento nazionale. Niun governo ha diritto di abbandonare all'arbitrio di una schiera di soldati di ventura gli averi, l'onore, la vita degli abitanti di un paese civile.

Per questi motivi, dopo aver chiesti gli Ordini di Sua Maestà il Re mio augusto  sovrano, ho l'onore di significare a Vostra Eminenze, che le truppe del Re hanno incarico d'impedire, in nome dei diritti dell'umanità, che i corpi mercenari Pontifici reprimano colla violenza l'espressione dei sentimenti delle popolazioni delle Marche e dell'Umbria.

Ho inoltre l'onore d'invitare Vostra Eminenza per i motivi sovraespressi a dar l'ordine immediato di disarmare e disciogliere quei corpi, la cui esistenza è una minaccia continua alla tranquillità d'Italia. Nella fiducia che Vostra Eminenza vorrà comunicarmi tosto le disposizioni date dal Governo di Sua Santità in proposito, ho l'onore di rinnovarle gli atti dall'altra mia considerazione.

Di Vostra Eminenza

Firmato C. Cavour.

[17] La dizione Esercito Italiano è usata in più testi. L'Esercito Sardo assume la dizione di “Esercito Italiano” nel 1861, il 4 maggio, ovvero l'anno dopo gli avvenimenti di Castelfidardo. Si userà quindi sempre in questo volume, la dizione di Esercito Sardo. Del pari, si userà anche la dizione "piemontese" per indicare il Regno di Sardegna e le sue Forze Armate, adottando l'uso comune di identificare il Regno di Sardegna con la regione del Piemonte, anche se tale Regno, nel 1860, comprendeva oltre la Sardegna e il Piemonte, anche la Valle d'Aosta, la Liguria, la Lombardia,  e per i plebisciti del 1959, la Toscana e l'Emilia Romagna.

[18] O'Clery K.P., Risorgimento Controluce, - La Questione italiana vista da uno zuavo di Pio IX, a cura di De Cesare G., Scognamiglio G., Editore Colombo,  Roma, 1965, pag, 169

[19] IL testo della risposta è il seguente:

Eccellenza

Astraendo dal mezzo di cui Vostra Eccellenza stimò valersi per farmi giungere il suo foglio del 7 corrente, ho voluto con tutta calma portare la mia attenzione a quanto Ella mi esponeva in nome del suo Sovrano, e non posso dissimularle che ebbi in ciò a farmi una ben forte violenza. I nuovi princìpi di diritto  pubblico, che Ella pone in campo nella sua rappresentanza, mi dispenserebbero per verità da qualsivoglia risposta, essendo essi troppo in opposizione con quelli sempre riconosciuti dall'universalità dei Governi e delle Nazioni. Ma tocco al vivo dalle incolpazioni, che si fanno al Governo di Sua Santità, non posso ritenermi dal rilevare dapprima essere quanto odiosa, altrettanto priva di ogni fondamento ed affatto ingiusta, la taccia che si porta contro le truppe recentemente formatesi dal Governo Pontificio; ad essere poi inqualificabile l'affronto che ad esso vien fatto nel disconoscere in lui un diritto a tutti gli altri comune, ignorandosi fino ad oggi che sia impedito ad alcun governo di avere al suo servigio truppe estere, siccome in fatto molti le hanno in Europa sotto i loro stipendi. Ed a questo proposito sembra qui opportuno notare che, stante il carattere che riveste il Sommo Pontefice di comune padre di tutti i fedeli, molto meno potrebbe a Lui impedirsi di accogliere nelle sue milizie quanti gli si offrono dalle varie parti dell'orbe cattolico, in sostegno della S. Sede degli Stati della Chiesa.

Niente poi potrebbe essere più falso ed ingiuroso, che l'attribuirsi alle truppe pontificie i disordini deplorevolmente avvenuti negli Stati della Santa Sede, né qui occorre il dimostrarlo. Doppoichè la storia ha già registrato quali e donde provenienti siano state le truppe, che violentemente imposero alla volontà delle popolazioni, e quali le arti messe in opera per gettare nello scompiglio la più gran parte dell'Italia, e manomettere quanto v'ha di più inviolabile e di più sacro per diritto e per giustizia.

E rispetto alle conseguenze, di cui si vorrebbe accagionare la legittima azione delle truppe della S. Sede, per reprimere la ribellione di Perugia, sarebbe invero stato più logico l'attribuirle a chi promosse la rivolta all'estero: ed Ella, signor Conte, troppo ben conosce donde quella venne suscitata, donde furono somministrati danaro, armi e mezzi di ogni genere, e donde partirono le istruzioni e gli ordini di insorgere. Tutto pertanto dà luogo a conchiudere, non avere che il carattere della calunnia quanto declamasi da un partito ostile al Governo della Santa Sede a carico delle milizie, ed essere non meno calunniose le imputazioni che si fanno ai loro capi, dando a crederli come autori di minacce provocatrici, e di proclami propri a suscitare un pericolo fermento. Dava poi termine alla sua disgustosa comunicazione l'Eccellenza Vostra, coll'invitarmi in nome del suo Sovrano ad ordinare immediatamente il disarmo e lo scioglimento delle suddette milizie, e tal invito non andava disgiunto da una specie di minaccia di volersi altrimenti dal Piemonte impedire l'azione di esse, per mezzo delle regie truppe. In ciò si manifesta una quasi intimazione, che io ben volentieri qui mi astengo di qualificare. La Santa Sede non potrebbe che respingerla con indignazione, conoscendosi forte del suo legittimo diritto, ed appellando al gius delle genti, sotto la cui egida ha fin qui vissuto l'Europa; qualunque siano del resto le violenze, alle quali potesse trovarsi esposta senza averle punto provocare, e contro le quali fin da ora mi corre il debito di protestare altamente in nome di Sua Santità

Di Vostra Eccellenza,

Firmato: G.Card Antonelli.     Roma 11 settembre 1860  

[20] Per il quadro di battaglia del Corpo di Invasione delle Marche e dell’Umbria, Corpo posto, sotto il comando del gen. Manfredo Fanti, e comprendente il IV e il V Corpo d’Armata, si invia al volume III, L’anno di Castelfidardo.

[21] O' Clery. K., Risorgimento controluce, cit., pag. 168

[22] Il Testo è il seguente: “Eccellenza. S.M. il re Vittorio Emanuele II che ha tanto interesse per la felicità dell’Italia, è preoccupatissimo degli avvenimenti che hanno luogo nell’Umbria e nelle Marche. Sua Maestà non ignora che qualunque manifestazione nel senso nazionale vicino alla frontiera meridionale del suo regno che venisse repressa da truppe straniere, le quali non  hanno fra loro alcun vincolo di nazionalità, produrrebbe inevitabilmente un contraccolpo in tutti i suoi Stati. E’ in seguito a queste sue considerazioni che Sua Maestà ha ordinato una concentrazione di truppe alle frontiere delle Marche e dell’Umbria, e che mi ha fatto l’onore di affidarmi il comando superiore di queste truppe. Nel medesimo tempo egli mi ha prescritto di dirigermi a Vostra Eccellenza per notificare che queste truppe occuperanno al più presto le Marche e l’Umbria nei seguenti casi:

1° se le truppe sotto gli ordini di Vostra Eccellenza trovandosi nelle città delle Marche e dell’Umbria facessero uso della forza per comprimere le manifestazioni nel senso nazionale.

2° se le truppe di cui ella ha il comando ricevessero l’ordine di marciare su qualche città delle stesse provincie pontificie, tuttavolta che si produca qualche manifestazione nel senso nazionale.

3° tuttavolta che essendosi prodotta qualche manifestazione nel senso nazionale ed essendo stata compressa coll’uso della forza dalla truppe di Vostra Eccellenza, queste non riceveranno immediatamente l’ordine di ritirarsi lasciano libera la città, che si fosse pronunciata, di esprimere suoi voti.

Nessuno meglio di Vostra Eccellenza può comprendere come il senso nazionale debba rivoltarsi davanti a un’oppressione straniera, ed io oso considerare che accettando francamente e tosto le preposizioni che le ho fatte a nome del governo del re, risparmierà la protezione delle nostre armi a queste province dell’Italia e le dolorose conseguenze che potrebbero derivarne. Aggredisca, Eccellenza………Segato: Manfredo Fanti.

[23] Relazione De La Moriciére

[24] Il testo è il seguente.

"Ordine del giorno del Re Vittorio Emanuele all'Esercito che entra nelle Marche e nell'Umbria.

Soldati!

Voi entrate nelle Marche e nell'Umbria per restaurare l'ordine civile nelle desolate città , e per dare ai popoli la libertà di esprimere i propri voti. Non avete a combattere potenti eserciti , ma liberare infelici provincie Italiane dalle straniere compagnie di ventura. Non andate a vendicare le ingiurie fatte a me e all'Italia, ma ad impedire che gli  odii popolari irrompano a vendetta della mala signoria. Voi insegnerete coll'esempio il perdono dell'offese e le tolleranze cristiane a chi stoltamente paragonò all'Islamismo lo amore alla patria Italiana. In pace con tutte le potenze, ed alieno da ogni provocazione, io intendo togliere dal centro dell'Italia una cagione perenne di turbamento e di dissensione. Io voglio rispettare la Sede del Capo della Chiesa al quale son sempre pronto a dare, d'accordo colle potenze alleate ed amiche, tutte quelle guarentigie d'indipendenza e sicurezza che i suoi ciechi consiglieri si sono indarno ripromessi dal fanatismo delle sette malvagie cospiranti contro la  mia autorità e la libertà della Nazione.

Soldati!

Mi accusano d'ambizione. Si, ho un'ambizione, ed è quella di rafforzare i principii dell'ordine morale in Italia, di preservare l'Europa dai continui pericoli della rivoluzione e della guerra.”

[25] O’Clery K., Risorgimento controluce,  cit., pag. 169

[26] Il testo del proclama è il seguente: “Arezzo, 11 settembre 1860. Soldati! Bande straniere convenute da ogni parte d’Europa nel suolo delle Marche e dell’Umbria vi piantarono lo stendardo mentito d’una religione che beffeggiano. Senza patria e senza tetto esse provocano ed insultano le popolazioni onde avere pretesto per signoreggiarli. Un tale martirio deve cessare, ed una tale tracotanza ha da sopprimersi portando il soccorso delle  nostre armi a quei figli sventurati d’Italia i quali sperano indarno giustizia e pietà dal loro governo. Questa missione che il re Vittorio Emanuele ci confida, noi compiremo, e sappia l’Europa che l’Italia non è più il convegno ed  il trionfo del più audace e fortunato avventuriero. Manfredo Fanti”

[27] In questo proclama si fa riferimento ai fatti del giugno del 1859, quando l’azione di repressione dell’esercito pontificio, in particolare dei soldati della Brigata Scmihd, contro i rivoluzionari insorti a Perugia fu particolarmente dura. Quei fatti ebbero echi in tutta Europa.