lunedì 10 febbraio 2020
La Guerra del 1866. III di Indipendenza 6 Custoza 3
a. Le forze in campo
(1) Entità e qualità: funzionalità e costituzione,
capacità interforze, caratteristiche tattico-operative, armamento e mobilità
(a) Esercito Italiano
Il
contingente destinato alla campagna contro l’Austria fu organizzato come di
seguito riportato:
- Armata del Mincio,
organizzato in tre Corpi d’Armata, da quattro divisioni ciascuno:
· I Corpo d’Armata
comandato dal Generale Giovanni Durando;
· II Corpo d’Armata
comandato dal Generale Domenico Cucchiari;
· III Corpo d’Armata
comandato dal Generale Enrico Morozzo Della Rocca.
- Armata del Po
comandata dal Generale Cialdini organizzata invece su otto divisioni.
Tanto
nella prima quanto nella seconda armata, c’erano in organico divisioni e
brigate di cavalleria alle dirette dipendenze del Comando di Armata, gruppi di
artiglieria, unità del genio pontieri e servizi occorrenti.
In
particolare, il Gen. Cialdini alla vigilia della guerra con l’Austria si
trovava al comando di un Corpo d’Armata che costava di otto divisioni,
moltissimi comandi subordinati, un immenso traino di materiali di ogni specie.
In altre parole, un vero e proprio esercito, molto difficile da muovere e
manovrare soprattutto in un terreno che era notoriamente complicatissimo e
intricatissimo. L’Esercito messo a disposizione per le operazioni consta,
dunque, di ben 20 divisioni, i cui comandanti furono scelti direttamente dal
Ministro della Guerra, Ignazio de Genova di Pettinengo, e dal Generale La Marmora.
Completava il dispositivo italiano, il Corpo di Volontari Italiani, istituito
con un Regio Decreto quale strumento militare che, in caso di guerra, avrebbe
contribuito alla difesa del paese. Il Comando di tale Corpo venne affidato a
Garibaldi. Il 22 giugno 1866 la forza complessiva del
Corpo dei Volontari Italiani avrebbe dovuto contare 38.041 uomini, 873 cavalli,
24 cannoni e due cannoniere a vapore.
L’unità tattica era la brigata che operava all’interno
delle divisioni. Ciò permetteva di disporre di unità più piccole e più
manovrabili. Per contro le compagnie di fanteria, così come gli squadroni di
cavalleria, erano sottodimensionate,
a causa dei tagli di bilancio che c’erano stati da poco e non avevano permesso
di adeguare gli organici.
Tutto il personale era equipaggiato con fucile mod.
1860, cal. 17,4 mm, ad anima rigata, con una gittata utile di circa 400 m,
disponibile in versione per fanteria e per il personale a cavallo. La
cavalleria leggera, inoltre, era equipaggiata anche
con sciabola. L’artiglieria era del tipo da campagna da 90 mm.
Il Regno di Italia era nato nel 1861 e da allora
l’esercito aveva subito successivi interventi di ristrutturazione a partire da
quello fondamentale dal Generale Manfredo Fanti che permise di integrare perfettamente
nell’armata piemontese gli eserciti della Toscana e dell’Emilia a cui si
aggiunse, non senza dibattiti e dissidi, anche quello borbonico. Il significato
di parole come patria, unità e libertà era vago e incerto. Inoltre,
l’imposizione della leva obbligatoria aveva creato forti dissensi che si
manifestavano attraverso fenomeni di renitenza di massa, coperti e sostenuti
dalle comunità di origine. Comunque, sia, alla vigilia della guerra con
l’Austria, l’Italia possedeva un esercito numeroso, ben equipaggiato,
addirittura superiore a quello del nemico. L’impianto dello strumento militare
italiano era stata un’idea di La Marmora che era riuscito ad imporre la sua
visione di dotarsi di un esercito moderno, al passo con le minacce e i rischi
del tempo e in grado di salvaguardare la monarchia e la pace in tutto il regno[i].
In merito, è bene ricordare che all’epoca esistevano due teorie dominanti in
Europa: quella dell’esercito di quantità, sul modello prussiano, e quella
dell’esercito di qualità, modello francese. La prima prevedeva la costituzione
di un piccolo core di ufficiali e
sottufficiali di professione, in servizio permanente, che veniva integrato
dalla leva richiamata in caso di mobilitazione. Tutti erano obbligati ad un
periodo di addestramento, distribuito in due/tre anni, al termine del quale
venivano posti in congedo. Il modello francese, o di qualità, prevedeva,
invece, un esercito a lunga ferma, cinque/otto anni. In caso di guerra i suoi
organici venivano integrati con poche unità provenienti dalla coscrizione
obbligatoria. La differenza tra i due modelli risiedeva nel fatto che mentre il
modello prussiano si basava sul principio del cittadino-soldato, quello
francese faceva gravare l’onere del sistema sulle classi più povere. La Marmora
aveva optato per il modello francese che aveva introdotto nell’esercito
piemontese sin dal 1854.[ii]
Dopo l'armistizio di Villafranca (11 luglio 1859),
Manfredo Fanti venne incaricato della riorganizzazione delle nuove
divisioni formate dalle Lega dell'Italia Centrale (comprendente Granducato di
Toscana, Ducato di Parma, Ducato di Modena, Legazioni) e, nel giro di pochi
mesi, seppe trasformarle in un funzionante corpo di 45.000 uomini. Per dare
manifestazione visibile al nuovo stato di cose, diede avvio alla nuova Scuola
Militare di Fanteria di Modena, ospitata nel palazzo del deposto duca.
Certo è che, dopo cinque anni, l’Esercito Italiano non
aveva ancora la coesione necessaria per sostenere una guerra contro
un solido esercito come era quello austriaco: la leadership era costituita da ufficiali che si erano ottimamente
distinti come generali nel piccolo esercito piemontese, nell’esercito
garibaldino e nell’esercito napoletano, ma che erano ben lontani dall’essere
ottimi generali. In quell’epoca “pochi
generali sapevano e i grandissimi insegnamenti delle guerre napoleoniche erano
stati lasciati nel più completo oblio, tranne che da alcuni generali prussiani
della scuola di Clausewitz”[iii].
Più in particolare, i generali italiani avevano una competenza tecnica ed
un’esperienza decisamente inferiore rispetto a quella degli ufficiali austriaci
e prussiani.
(b) Esercito Imperiale
L’Armata
del Sud era formata da tre Corpi d’Armata, il V, il VII e il IX, da una
Divisione di fanteria di “riserva”, dai presidi delle fortezze e dalle milizie
territoriali in Tirolo. A comandare i tre Corpi destinati alla fronte
meridionale furono chiamati, rispettivamente, il principe Federico di
Liechtenstein (V), sostituito poi, per motivi di salute, dal maggior generale
Rodich, il Generale Möring (VII), il tenente maresciallo Hartung (IX). Il
Comandante della Divisione di Riserva, dapprima assegnata al Maggior Generale
Rodich, fu il Maggior Generale Rupprecht.
In
totale l'Armata Imperiale del Sud disponeva di
143000 uomini, 15000 cavalli e 192 pezzi d'artiglieria. Escludendo le
forze impegnate nei servizi di fortezza e nel controllo delle vie di
comunicazioni, per le operazioni vere e proprie rimanevano circa 94500 uomini,
12500 cavali e 168 pezzi di artiglieria, di cui 19000 uomini e 24 cannoni
impegnati nel Tirolo. Il Comandante in capo dell’Armata, Arciduca Alberto,
adattò il piano di battaglia, solo dopo essere venuto a conoscenza della
disposizione delle truppe italiane in due masse distinte. Sfruttando, infatti,
la posizione centrale delle proprie truppe, l’Arciduca Alberto aveva la
possibilità di operare per linee interne ed affrontare separatamente le due
armate italiane.
L'unità
tattica dell'Esercito imperiale era la Brigata. Ogni Corpo d'Armata, infatti,
era composto di tre brigate di fanteria, da quattro squadroni di cavalleria, da
tre batterie d’artiglieria. La brigata austriaca, così come era concepita, era
molto pesante e in quanto tale molto difficile da manovrare, ma allo stesso
tempo troppo piccola per operare con la stessa autonomia di una divisione (7000
unità). Non a caso, dopo la Guerra austro-prussiana del 1866, l’Austria decise
di tornare alle divisioni.
Infine,
l’Armata austriaca del sud, come del resto tutto l’Esercito Imperiale, era
dotato di gavette-marmitta che permetteva di cucinare il rancio senza aspettare
tutto l’apparato logistico di supporto.
L’Esercito
Imperiale era tradizionalmente composto da soldati diversi per etnia,
estrazione sociale, lingua e religione. Pur tuttavia, appariva come una delle
istituzioni più solide e civili dell’epoca soprattutto per l’attenzione che
veniva posta nell’amalgamare “tanti
individui di diversa nazionalità, per il sistema di stanziamento e di
trasferimento delle truppe” [iv] che
contribuivano a sedare gli eccessi di persone che, comunque, erano docili e
umili per natura. La forza di questo esercito era nella disciplina, nella
fedeltà alla corona, nella devozione, nello spirito di sacrificio. Pur avendo
conosciuto sonore sconfitte, soprattutto ad opera delle forze napoleoniche,
l’Esercito Austriaco non si era mai sfaldato soprattutto all’orgoglio dei
propri soldati, allo spirito di corpo e al cameratismo[v].
Da
un punto di vista tattico, la fanteria austriaca era ben equipaggiata (Lorenz,
cal. 13,9 mm) e ben addestrata, soprattutto nell’arte della difesa; la
cavalleria era tradizionalmente buona, ben montata e addestrata. La cavalleria
leggera, costituita da ussari e ulani[vi], era
molto efficiente e tradizionalmente temuta da tutti gli eserciti europei. Tutta
la cavalleria era equipaggiata con fucile Lorenz, cal. 13,9 mm, modificata per
personale a cavallo.
L’artiglieria
non era conosciuta per le sue gesta, pur essendo ben equipaggiata con pezzi da
8 e 4 libbre, nonché dotata di artiglierie di tipo shrapnel, cioè in grado di lanciare granate a frammentazione.
Anche
il genio era ben addestrato e ben equipaggiato. Particolarmente conosciuto
all’epoca dei fatti era il genio pontieri.
Il
personale e l’organizzazione dello Stato Maggiore era il fiore all’occhiello
dell’Esercito Imperiale che, comunque, presentava dei grossi difetti
soprattutto per quanto riguardava la qualità dei comandanti e la scarsezza
degli ufficiali, in proporzione alla truppa[vii].
(2) Dislocazione iniziale. La posizione sul terreno delle
forze; 1° o 2° schiera. Dislocazione dell’organizzazione logistica
(a) Esercito Italiano
Secondo
quanto stabilito nella dichiarazione di guerra consegnata il 20 giugno 1866, le
ostilità avrebbero dovuto iniziare tre giorni dopo la consegna della missiva
avvenuta in pari data. A parte qualche isolato episodio, nulla aveva messo in
discussione la calma con la quale il 23 giugno 1866 si stavano svolgendo le
operazioni di attraverso del Mincio da parte dell’Armata sotto il comando del Re
Vittorio Emanuele II e del Generale Alfonso La Marmora.
Sin dalla mattina del 23 giugno 1866, il
comando supremo diede disposizioni affinché l’Armata del Mincio si assicurasse
nel più breve tempo possibile i passaggi sul fiume a Mozambano, Borghetto e
Goito. Il I e il III Corpo d’Armata dovevano passare il Mincio e spingere
l’avanguardia sino all’Adige. Il II Corpo d’Armata, operando più a sud, avrebbe
dovuto manovrare davanti a Mantova e Borgoforte. In particolare:
- I Corpo d’Armata:
passa il Mincio a Mozambano, Borghetto, Molini di Volta e Pozzolo e stanzia il
Quartier Generale a Volta:
· La 1^ Divisione
(Gen. Cerale) passa il Mincio a Monzambano e occupa la riva sinistra del fiume,
mentre l’avanguardia si trova in marcia tra Monte Sabbione, Monte Magrino e il
Torrione.
· La 2^ Divisione (Gen.
Pianell) rimane sulla destra del Mincio a difesa di eventuali incursioni
austriache provenienti dalla fortezza di Peschiera e a copertura di Pozzolengo.
· La 3^ Divisione
(Gen. Brignone) passa il Mincio, su ponte gettato dal genio militare, nei
pressi di Volta e prende posizione a Pozzolo.
· La 5^ Divisione
(Gen. Sirtori) passa il Mincio a Borghetto e si rafforza su Valeggio, lasciando
una Brigata sulla destra del Mincio.
- II Corpo: stanzia
il Quartier Generale a Castelluccio, marcia per occupare Curtatone e Montanara
per poi essere pronto a muovere verso Goito e Villafranca:
· La 4^ Divisione
(Gen. Nunziante) marcia su Borgoforte con un’aliquota sulla sinistra e
un’aliquota sulla destra del Po.
· La 6^ Divisione
(Gen. Cosenz) marcia per l’occupazione di Curtatone e Montanara e il controllo
della strada Mantova-Borgoforte.
· La 10^ Divisione
(Gen. Angioletti) si muove a cavallo della strada Gazzuolo-Mantova per il
controllo della stessa, attestata all’altezza di Gabbiana.
· La 19^ Divisione
(Gen. Longoni) stanzia tra Ospitaletto e Carobbio.
- III Corpo
d’Armata: l’intera unità passa il Mincio a Goito, sotto la protezione della
Divisione di Cavalleria, stanzia il proprio Quartier Generale a Goito e si
dirige verso Belvedere, Roverbella e Villabona. In particolare:
· La 7^ Divisione
(Gen. Bixio) passa il fiume Mincio a Goito, seguita dalla Divisione di
Cavalleria di linea (Gen. De Sonnaz), ricerca il collegamento a sinistra con la
3^ Divisione del I Corpo e si dirige verso Villafranca lungo le rotabili
Massimbona-Villafranca e Roverbella-Villafranca.
· La 8^ Divisione
(Gen. Cugia) passa il Mincio, su un ponte gettato dal genio militare, a nord di
Goito e prende posizione nei pressi di Pozzolo nei pressi di località Case alla
Pace.
· La 9^ Divisione
(Gen. Govone) passa il Mincio a Goito e si mette in marcia lungo la strada
Goito-Mantova.
· La 16^ Divisione
(Principe Umberto) passa il Mincio a Goito e, procedendo verso Villafranca, si
schiera a destra della 7^ Divisione.
· La Brigata di
Cavalleria Leggera (Gen. Pralormo) in esplorazione fra Marengo e Massimbona, si
attesta nell’area intorno a Casa Aldegatti.
- IV Corpo d’Armata
(detto Armata del Po), rimanendo sulla destra del Po, la sera del 23 giugno
1866 non era ancora in grado di passare il fiume, nonostante tutte le misure
fossero state adottate. Il piano adottato dal Gen. Cialdini, d’altronde,
prevedeva alcune attività dimostrative e diversive per il giorno 24 giugno per
richiamare l’attenzione del nemico a sud e sud-est di Rovigo, a premessa delle
vere operazioni di attraversamento del Po, tra Roversello e Ravalle, del grosso
del Corpo d’Armata previste per il giorno 25 giugno dopo che il genio avrà
gettato tre ponti sul fiume. L’obiettivo era quello di raggiungere la sponda
dell’Adige a circa venti chilometri dal Po, entro il giorno 26 giugno. Il piano
poteva andare a buon fine se l’Armata del Gen. La Marmora avesse condotto
adeguatamente le operazioni dimostrative sul Mincio in modo da attirare il
grosso delle forze austriache da quella parte.
In sintesi, il giorno 23 giugno, data di inizio delle
ostilità, l’Armata del Mincio era
disseminata su una fronte di circa 35 chilometri (Mozambano-San. Silvestro) con
un forte sbilanciamento verso sud-ovest tale per cui sulla linea del Mincio
l’esercito italiano veniva a perdere la superiorità numerica che tanto era
stata lodata all’inizio della guerra.
Inoltre, tutte le unità che si trovano sulla sinistra
del Mincio, ad eccezione di quella del Gen. Brignone (3^ Divisione), hanno al
seguito tutti i carriaggi necessari al sostegno logistico delle unità.
(b) Esercito Imperiale
Alla
data di inizio delle ostilità il dispositivo militare imperiale ha eseguito
perfettamente gli ordini impartiti dall’Arciduca Alberto tesi ad ammassare le
forze sulla destra dell’Adige, occupare il terreno ad est di Peschiera, pronte
ad attaccare il nemico sul fianco sinistro. In particolare:
- la Divisione di
Riserva, dopo essersi ammassata attorno a Pastrengo, avanza con una brigata al
fine di occupare Castelnovo.
- Il V Corpo d’Armata,
dopo essersi organizzata nella zona di Chievo, muove per raggiungere Santa
Giustina.
- Il VII Corpo
d’Armata è disposto vicino a San Massimo.
- Il IX Corpo
d’Armata, dopo aver passato l’Adige, è ubicata nei pressi di Santa Lucia.
- le Brigate di
cavalleria Pulz e Bujanovics in attività di esplorazione verso Sommacampagna e
Villafranca.
Ad eccezione di un battaglione e quattro squadroni di
cavalleria, lasciati a guardia del Po, tutte le forze austriache sono
concentrate in un fazzoletto di terreno ad ovest di Verona pronti a muovere
contro l’esercito italiano.
Inoltre, tutti i bagagli di tutte le unità e i
carriaggi vengono lasciati sulla sinistra dell’Adige, mentre il Quartier
Generale dell’Armata del sud veniva ubicato a San Massimo.
( il prossimo post sarà pubblicato il 25 febbraio 2020)
[vi] I primi, di origine ungherese, e i secondi, di origine tartara e
polacca, vantavano una secolare tradizione nella cavalleria leggera con compiti
di esplorazione e di offensiva.
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