giovedì 28 novembre 2013
Ancona 1859. Una città ribelle.
Nota di base. 1849-1959. Scheda di ricerca. Il
decennio di preparazione in Ancona
Pio IX non aveva saputo porre un freno
all’azione repressiva dell’Austria all’indomani della caduta della Repubblica
Romana. Rientrato a Roma da Gaeta aveva avallato la politica antiliberale e
repressiva del Triumvirato dei Cardinali che dal luglio 1849 aveva governato
Roma e lo Stato Pontificio. La principale azione del Triumvirato cardinalizio
fu all’annullamento di tutte le leggi liberali ed innovative della Repubblica
romana e il ripristino della legislazione di Gregorio XVI. Sul piano strettamente
ideologico Pio IX riteneva che la
Chiesa potesse assolvere un ruolo fondamentale nella lotta
contro il liberalismo, ritenuto al tempo una piaga e una eresia da combattere
senza pari. Esponente di questa scelta politica era la rivista Civiltà Cattolica,
espressione dei Gesuiti, che assunse una importante funzione ideologica con
violenti attacchi contro i protagonisti del risorgimento.
Dal 1849 al 1856 operò come commissario
straordinario di Governo pontificio per le Marche, il cardinale Domenico
Savelli[1].
Il Cardinale Savelli operò in Ancona in stretta cooperazione con il Comando
militare austriaco, insediato in città dal giugno 1859. Savelli si rese famoso
soprattutto per i processi celebrati davanti al Consiglio di Guerra.
L’azione fu particolarmente dura e spietata[2].
Soprattutto colpì la pubblica opinione, come si dice oggi, o la credenza
popolare come si diceva allora, le 6 condanne a morte propinate in questo
periodo a persone coinvolte nei moti del 1848-1849, ma che nella realtà non
erano che poveri diavoli coinvolti dagli avvenimenti e presi dagli entusiasmi
più che veri e propri pericoli per lo stato.
Il decennio di occupazione austriaco in Ancona fu
la matrice della ostilità che il Governo Pontificio trovava in Ancona e nelle
Marche. I Delegati pontifici ad Ancona, Pesaro, Fermo, Ascoli e Macerata non
lasceranno un ricordo piacevole: le loro figure si avvicinano più a quella
fantomatica di Scapia, che a veri e propri uomini di Chiesa.
Ad
Ancona operava M. Randì.
La
chiesa governava attraverso i Delegati
Apostolici, veri e propri capi delle province.
A
Pesaro, M. Randì, Tancredi, Bellà
Il loro braccio operativo era la Gendarmeria, vera arma
politica, che operava senza scrupoli e per un non nulla arrestava e carcerava.
Inoltre, come vediamo, si servivano di ogni mezzo lecito ed illecito per avere
informazioni sui “rivoluzionari” e per questo fine si servivano di un servizio
segreto composto da agenti senza scrupoli.
Tutto questo fece si che il potere
governativo ed i suoi esponenti erano visti dalla popolazione, almeno quella
più impegnata, con disprezzo e distacco. Molti avevano paura, e la prudenza
dominava su tutto.
Con la partenza degli austriaci da
Ancona, i Rappresentanti pontifici non cambiarono atteggiamento, anzi
rafforzarono le misure preventive e repressive.
La situazione era quanto mai
difficile per i Pontifici, frutto di una politica decennale repressiva[3]
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